Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10692 del 04/05/2010

Cassazione civile sez. un., 04/05/2010, (ud. 27/04/2010, dep. 04/05/2010), n.10692

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. DE LUCA Michele – Presidente di Sezione –

Dott. SALME’ Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

SAVORELLI 11, presso lo studio dell’avvocato PEVERINI FABRIZIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato CAVALIERE ANGELO, per delega in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, CONSIGLIO

DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI LATINA;

– intimati –

avverso la decisione n. 207/2009 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 11/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE SALME’;

udito l’Avvocato Angelo CAVALIERE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con Delib. 8 aprile 2003 il consiglio dell’ordine degli avvocati di Latina ha aperto procedimento disciplinare nei confronti dell’avv. C.M. incolpandola della violazione dell’art. 22, comma 1, codice deontologico “per avere in più circostanze e in tempi diversi offeso, con il mezzo del telefono, l’onore ed il decoro di R.A. con le parole “te pagano per andare a fare le orge, devi andare dallo psicoterapeuta, devi andare sulla 148 a prostituire il culo e la fregna” e per averla minacciata dicendole “finisce nel secchio dell’immondizia, nell’inceneritore”. In (OMISSIS)”. Per un’imputazione pressochè identica l’avv. C. era stata condannata dal tribunale di Latina alla pena di mesi due di reclusione. Con decisione del 7 giugno 2005 il c.o.a. di Latina ha ritenuto l’avv. C. responsabile dell’illecito disciplinare contestato e le ha inflitto la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per tre mesi.

Il consiglio nazionale forense, con decisione del 27/11 novembre 2009, dopo avere acquisito informazioni sull’esito del processo penale, che risultava definito in data 10 ottobre 2005, a seguito del rigetto del ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte d’appello di Roma, che, confermata l’affermazione di responsabilità, aveva ridotto la pena a Euro 2.000,00 di multa, ha integralmente confermato la decisione del c.o.a. di Latina.

Per quel che rileva in questa sede, il c.n.f. ha affermato che non si era verificata alcuna nullità conseguente alla pretesa partecipazione alla deliberazione della decisione del c.o.a. di un consigliere che non aveva assistito alle udienze anteriori a quella in cui è stata deliberata la decisione e che si era astenuto. A parte l’inammissibilità della censura per non essere stata l’eccezione sollevata davanti al c.o.a., l’infondatezza derivava sia dalla non applicabilità del principio dell’immutabilità dell’organo giudicante al procedimento disciplinare davanti al c.o.a., che ha natura amministrativa e richiede soltanto che sia raggiunto il quorum dei votanti, sia dalle circostanze consistenti nel fatto che la trattazione, preceduta da udienze di mero rinvio, sia era concentrata nell’unica udienza del 7 giugno 2005, in cui venne assunta la decisione, e nel fatto che dal processo verbale di tale seduta risulta che la decisione fu votata all’unanimità dei presenti, tra i quali non viene indicato il consigliere che compare soltanto nell’intestazione della decisione, con la conseguenza che detta menzione sarebbe irrilevante e comunque superata dal verbale.

Per quanto attiene alla prescrizione dell’azione disciplinare il c.n.f., disattendendo la relativa eccezione dell’incolpata, che ha sostenuto che il termine avrebbe dovuto decorrere dalla data dei singoli episodi e non da quella in cui il comportamento complessivo era cessato, ha affermato che, pur essendo l’istituto della continuazione estraneo all’ambito disciplinare, è principio pacifico che nel caso in cui l’illecito consista in una condotta protratta nel tempo la decorrenza del termine di prescrizione deve essere fissata alla data della cessazione di tale condotta. Pertanto, poichè non vi sarebbe alcun dubbio sul fatto che la condotta contestata era consistita in una pluralità di episodi tra loro connessi sia in senso cronologico e obbiettivo che in senso psicologico, la prescrizione era iniziata a decorrere dal 30 novembre 1998, data di cessazione della condotta ed era stata interrotta dalla notifica dell’avvio del procedimento disciplinare in data 19 aprile 2003.

Peraltro a conclusioni non diverse si perverrebbe anche se si volesse far decorrere il termine di prescrizione dal singolo episodio, in quanto sia le espressioni offensive che quelle minacciose specificate nel capo d’incolpazione, erano state profferite nel corso di una telefonata dell’avv. C. delle ore 19 del (OMISSIS), con la conseguenza che anche in tal caso il termine prescrizionale sarebbe stato utilmente interrotto con la notifica dell’avvio del procedimento.

Avverso la decisione del c.n.f. l’avv. C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. per avere il c.n.f. acquisito d’ufficio le informazioni circa l’esito del procedimento penale utilizzate ai fini della decisione.

Il motivo è infondato.

E’ orientamento pacifico (Cass., sez. un., n. 10995/2006, 20469/2005, 1988/1998) che nei procedimenti disciplinari relativi agli avvocati si devono seguire, quanto alla procedura, le norme particolari che per ogni singolo istituto sono dettate dalla legge professionale e, in mancanza, quelle del codice di procedura civile, mentre le norme del codice di procedura penale si applicano soltanto nelle ipotesi in cui la legge professionale faccia espresso rinvio ad esse, ovvero allorchè sorga la necessità di applicare istituti che hanno il loro regolamento esclusivamente nel codice di procedura penale. Ora, nulla disponendo la legge professionale in ordine alla richiesta di informazioni da parte del giudice disciplinare, deve trovare applicazione l’art. 213 c.p.c., a mente del quale le informazioni scritte e i documenti necessari al processo possono essere richiesti d’ufficio dal giudice. Nè è possibile dare alle espressioni utilizzate dalla citata disposizione un’ interpretazione che escluda la possibilità di richiedere informazioni e documenti all’amministrazione della giustizia, che non v’è motivo di escludere dall’ampia nozione di amministrazione pubblica (Cass., sez. 4, 12 marzo 2008, D’Innocente).

2. Con il secondo motivo viene riproposta l’eccezione di nullità della decisione per essere stata deliberata con la partecipazione dell’avv. S.U., che si era astenuto e non aveva partecipato alle udienze anteriori a quella in cui la decisione stessa era stata deliberata.

Il motivo è infondato.

Infatti, come è principio pacificamente affermato (Cass. N. 2691/2010, 12352/2009, 26372/2007, 22497/2006, 14113/2006, 6564/2006) l’indicazione, nell’intestazione della sentenza, del nome di un componente del collegio diverso da quelli facenti parte del collegio stesso che, secondo le risultanze del verbale d’udienza, si è riservato la decisione, ha natura di mero errore materiale, perchè in difetto di elementi contrari dedotti dal ricorrente, si devono ritenere coincidenti i magistrati indicati nel predetto verbale con quelli che in concreto hanno partecipato alla deliberazione, atteso che l’intestazione è priva di autonoma efficacia probatoria, esaurendosi nella riproduzione dei dati del verbale d’udienza.

Poichè risulta dal verbale dell’udienza in cui è stata adottata la decisione del c.n.f. che alla deliberazione non ha partecipato l’avv. S., l’indicazione dello stesso nell’intestazione della decisione deve ritenersi frutto di mero errore materiale non essendo stati dedotti elementi tali da mettere in dubbio l’attestazione contenuta nel verbale d’udienza.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione del R.D. n. 1578 del 1933, art. 51 per avere il c.n.f. ritenuto di far decorrere la data della prescrizione dalla cessazione della condotta contestata invece che dalle date delle singole condotte.

Il motivo è infondato.

A parte che, secondo il costante orientamento di questa corte (Cass. n. 20843/2007, 10816/2008, 14985/2005), nel caso dell’azione disciplinare a carico di un avvocato, esercitata per fatti costituenti reato per i quali sia iniziata l’azione penale, la prescrizione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza penale che nella specie si è verificato in data successiva all’inizio del procedimento disciplinare, è corretta l’affermazione del c.n.f.

secondo cui in presenza di una condotta illecita protratta nel tempo la prescrizione decorre dalla data di cessazione dell’illecito (Cass. n. 28159/2008, 14620/2003), senza che tale principio comporti l’applicazione in sede disciplinare dell’istituto della continuazione.

Il ricorso, in conclusione deve essere respinto.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle sezioni unite civili, il 27 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2010

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