Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1069 del 18/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 18/01/2011, (ud. 05/11/2010, dep. 18/01/2011), n.1069

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 20953-2009 proposto da:

I.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dagli avvocati TORTORELLA ANTONIETTA, CELENTANO GIOVANNI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dall’avvocato CORETTI

ANTONIETTA, giusta delega in calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 5029/2008 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 13/07/2009 R.G.N. 3655/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/11/2010 dal Consigliere Dott. MAURA LA TERZA;

udito l’Avvocato GIANMARCO CESARI per delega CELENTANO E TORTORELLA;

udito l’Avvocato CORETTI ANTONIETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso per l’accoglimento, in subordine

rimissione alle Sezioni Unite.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Il Tribunale del lavoro di Foggia rigettava la domanda proposta il 21 luglio 2003 nei confronti dell’Inps da I.M., operaio agricolo a tempo determinato, per la riliquidazione, sulla base della qualifica posseduta, dell’indennità di disoccupazione agricola già corrisposta in relazione alle giornate di lavoro effettuate nell’anno 1999, alla stregua della retribuzione fissata dalla contrattazione collettiva integrativa della provincia di Foggia, anzichè in base al salario medio convenzionale rilevato nell’anno 1995 e non più incrementato negli anni successivi, ai sensi del D.Lgs. n. 146 del 1997, art. 4. La Corte d’appello di Bari, con sentenza dell’11 dicembre 2008 confermava la statuizione, sul rilievo che, in ogni caso, si era maturata la decadenza del D.P.R. n. 639 del 1970, ex art. 47.

Avverso detta sentenza il lavoratore soccombente propone ricorso, lamentando che sia stato applicato l’istituto della decadenza ex art. 47, ancorchè la domanda giudiziale non vertesse sul diritto alla indennità di disoccupazione agricola, ma sulla riliquidazione della medesima, che era stata pagata dall’Inps, in misura inferiore a quella per legge spettante.

2. Viene quindi nuovamente all’esame della Corte la questione relativa all’applicabilità del termine di decadenza di cui alla disposizione citata, nei casi in cui non si tratti del pagamento di una prestazione negata in sede amministrativa, ma di una prestazione riconosciuta ed erogata, di cui l’interessato chiede la riliquidazione.

Sulla tematica in questione – che presenta il connotato della particolare rilevanza data la natura degli interessi coinvolti – non si riscontra una uniformità di statuizioni, prova ne sia che essa è stata rimessa per ben due volte alle Sezioni unite di questa Corte.

L’indirizzo prescelto dalle Sezioni unite è quello che nega, in questi casi, la applicabilità della decadenza.

Le argomentazioni essenziali a sostegno sono le seguenti: qualora la legge preveda la decadenza di un diritto di credito – per il caso di suo mancato esercizio entro un termine predeterminato – la richiesta di pagamento soltanto parziale è atto di esercizio idoneo ad impedire la decadenza con riguardo alla prestazione dovuta – stante la facoltà del creditore di chiedere ed accettare l’adempimento parziale ai sensi dell’art. 1181 c.c., – ed a fare sì che la richiesta di pagamento non sia poi soggetta ad alcun termine della stessa natura. Corollario di tale assunto è l’ulteriore affermazione che l’esercizio di un diritto di credito previdenziale – esercitato entro il termine decadenziale previsto dalla legge – impedisce tale decadenza anche in relazione alle somme ulteriori eventualmente richieste allo stesso titolo, dal momento che la somma successivamente richiesta costituisce sempre una componente essenziale del credito previdenziale ed atteso che non è prospettabile una rinunzia in assenza di uno specifico atto dal quale possa evincersi in maniera univoca una manifestazione di volontà in tali sensi. In conclusione, quindi, la richiesta di una prestazione previdenziale (soddisfatta solo in parte) impedirebbe definitivamente la decadenza di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, con l’effetto che la richiesta di integrazione non sarebbe più assoggettata al alcun termine decadenziale, per essere ad essa applicabile solo il termine di prescrizione. Così ebbero a decidere le Sezioni unite con la sentenza n. 6491 del 18/07/1996.

3. Nonostante l’autorevolezza del decisum non mancarono in prosieguo pronunzie discordanti, secondo cui la decadenza dall’azione giudiziaria opera anche per le riliquidazioni.

Ed infatti, con la sentenza n. 4636 del 06/03/2004, si è affermato che “In materia di prestazioni previdenziali, la decadenza prevista dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, autenticamente interpretato dal D.L. n. 103 del 1991, art. 6, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 166 del 1991, si applica anche in caso di riconoscimento parziale del trattamento effettivamente dovuto, poichè il diritto alla somma residua è indistinguibile dal diritto all’intera somma prima del pagamento parziale, ma a seguito di quest’ultimo è configurabile come diritto separato, concettualmente distinto e suscettibile di autonome vicende, e quindi non sottratto a decadenze, come non lo è alla prescrizione. Ne consegue l’assoggettamento alla suindicata decadenza del diritto al conguaglio della indennità di disoccupazione agricola in relazione alla necessità del suo adeguamento alla svalutazione monetaria, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 497 del 1988”.

Dello stesso segno è la sentenza successiva n. 9560 del 11/04/2008 con cui si è affermato che “In tema di indennità di disoccupazione involontaria, soltanto l’esercizio dell’azione giudiziaria entro il termine previsto dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 impedisce la decadenza e la conseguente estinzione del diritto all’indennità anzidetta, sicchè l’accettazione del relativo pagamento parziale e, segnatamente, dell’importo base dell’indennità non integrato dalla rivalutazione monetaria prevista dalla sentenza della Corte costituzionale n. 497 del 1988, pur costituendo una facoltà del creditore (art. 1181 cod. civ.), non impedisce, tuttavia, la suddetta decadenza, in quanto l’adeguamento della misura dell’indennità non si configura come diritto autonomo. Ne consegue che il termine decadenziale deve essere calcolato con riferimento alla data di presentazione della iniziale domanda amministrativa di concessione dell’indennità – ed al procedimento amministrativo eventualmente instaurato in relazione alla stessa domanda – e non già con riferimento alla data di presentazione della richiesta di adeguamento della misura della indennità medesima”.

4. Il permanere del contrasto a fronte, peraltro, di un nutritissimo contenzioso in materia, ha indotto ad una ulteriore rimessione alle Sezioni unite, che con la sentenza n. 12720 del 29.5.2009, hanno riconfermato l’indirizzo precedente delle SU del 1996, avendo affermato che “La decadenza di cui al D.P.R 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 – come interpretato dal D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6 convertito, con modificazioni, nella L. 1 giugno 1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento dei diritto alla prestazione previdenziale in sè considerata, ma solo l’adeguamento di detta prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria prescrizione decennale”.

5. Le disposizioni da applicare sono le seguenti: (D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47, Attuazione delle deleghe conferite al Governo con della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 27 e 29, concernente revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale, come modificato del D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4, convertito in L. 14 novembre 1992, n. 438).

“Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l’azione dinanzi l’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 459 c.p.c., e segg..

Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell’Istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione. Per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui della L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 24, l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui al precedente comma.

Dalla data della reiezione della domanda di prestazione decorrono, a favore del ricorrente o dei suoi aventi causa, gli interessi legali sulle somme che risultino agli stessi dovute.

L’Istituto nazionale della previdenza sociale è tenuto ad indicare ai richiedenti le prestazioni o ai loro aventi causa, nel comunicare il provvedimento adottato sulla domanda di prestazione, i gravami che possono essere proposti, a quali organi debbono essere presentati ed entro quali termini. E’ tenuto, altresì, a precisare i presupposti ed i termini per l’esperimento dell’azione giudiziaria”.

Con successiva disposizione (del D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito il L. 1 giugno 1991, n. 166, Disposizioni urgenti in materia previdenziale) -“avente carattere di norma d’interpretazione autentica” (cosi, testualmente, Corte cost. n. 246 del 3 giugno 1992) – risulta, poi, stabilito testualmente: “1.1 termini previsti dal D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47, commi 2 e 3, sono posti a pena di decadenza per l’esercizio del diritto alla prestazione previdenziale. La decadenza determina l’estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l’inammissibilità della relativa domanda giudiziale. In caso di mancata proposizione di ricorso amministrativo, i termini decorrono dall’insorgenza del diritto ai singoli ratei.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 hanno efficacia retroattiva, ma non si applicano ai processi che sono in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

6. L’indirizzo seguito dalle Sezioni unite non convince per una pluralità di ragioni.

6.1. In primo luogo si osserva che il D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 sulla decadenza, definisce il proprio campo di applicazione con espressioni ampie (“azione davanti all’autorità giudiziaria”, “controversie in materia di”) per cui il tenore letterale della disposizione non autorizza l’interprete ad operare distinzioni di sorta, non essendovi dubbio che anche nel caso di controversie perequative, si tratta pur sempre di controversie in materia “di trattamenti pensionistici” ovvero in materia “di prestazioni della gestione trattamenti temporanei”.

Sembra quindi che l’art. 47 si riferisca indistintamente ad ogni caso di proposizione dell’azione davanti all’autorità giudiziaria. Si può anche concedere che la disposizione sia stata pensata essenzialmente con riferimento all’ipotesi di originario diniego da parte dell’ente previdenziale, tuttavia è la stessa ratio della decadenza sostanziale (e che tale sia la natura non si può negare dopo la citata L. del 1991) a farvi rientrare anche il caso di successiva richiesta di riliquidazione. Ed infatti, posto un termine perentorio per l’esercizio dell’azione, se non si vuole vanificare l’effetto perseguito di certezza della situazione giuridica, appare improponibile la distinzione tra le varie pretese patrimoniali comunque ricollegabili a quel rapporto giuridico.

6.2 Per meglio precisare le questioni, si osserva – al fine di garantire una soluzione equilibrata, che contemperi da un lato la necessità di sottoporre alla giurisdizione tutti i contrasti tra assicurato ed ente previdenziale, e, dall’altro, l’interesse pubblico di dare in tempi contenuti definitività e certezza sull’assetto del rapporto previdenziale – che la decadenza in realtà non opera in “tutti” i casi in cui venga chiesta la riliquidazione, ma occorre distinguere di volta in volta quando il fatto costitutivo della pretesa attorea si è verificato nella cronologia del rapporto previdenziale: nessuna decadenza si può ipotizzare quando il diritto alla riliquidazione insorga a causa di una legge (o una sentenza della Corte Costituzionale “additiva”) sopravvenuta alla fase concessoria della prestazione, perchè all’assicurato non può in tal caso addebitarsi alcuna inerzia nè trascuratezza; se invece il fatto costitutivo della domanda di riliquidazione già sussisteva quando è stata effettuato il pagamento, sicchè l’assicurato poteva immediatamente dolersi del soddisfacimento incompleto del suo diritto, sarebbe ingiustificatamente premiale permettergli di avviare un processo dopo la maturazione della decadenza che gli è imputabile.

6.3. Non appare invero condivisibile quanto affermato con l’ultima sentenza dalle Sezioni unite e cioè che per applicale l’art. 47 sarebbe necessario ipotizzare l’operatività di due diversi termini di decadenza, dei quali il primo imponga – ai fini della conservazione del diritto – di farlo valere tempestivamente in sede amministrativa ed il secondo imponga, di contro, la necessità – una volta che sia stato riconosciuto in maniera definitiva il diritto stesso – di contestare le ulteriori decisioni dell’ente con la proposizione, entro un termine previsto anche esso a pena di decadenza, di una apposita domanda giudiziale.

Si può obiettare a queste argomentazioni che, in caso di liquidazione inesatta, nessuna legge prevede l’onere di proporre una ulteriore domanda amministrativa, perchè resta ferma quella già avanzata la quale non può avere altro significato se non quello di richiedere la prestazione nella misura dovuta. Sembra infatti, a termini di legge, che la domanda amministrativa debba essere una sola ed uno solo debba essere il termine decadenziale, il quale deve essere calcolato, come nel caso di diniego totale, con riferimento alla data di presentazione della iniziale domanda amministrativa di concessione dell’indennità, in considerazione del carattere unitario della prestazione rivendicata. L’assicurato è così sottoposto all’onere di attivarsi entro il medesimo termine qualunque sia l’ingiustizia riscontrata, e cioè sia che la sua domanda sia stata integralmente rigettata sia che sia stata accolta in misura inferiore alla legge. Solo così può essere salvaguardata la finalità dell’istituto della decadenza, con il quale si intende stabilire che non possa, in relazione a certi diritti, perdurare una situazione di incertezza, e ciò evidentemente sia in relazione all’an, sia in relazione al quantum della prestazione.

Si consideri peraltro che, in caso di pagamento parziale, l’interessato non riceve un provvedimento di diniego della prestazione ed ha quindi l’onere di attivarsi nel termine di un anno (che si applica per le prestazioni temporanee sulle quali si è appuntato il maggior contenzioso) e trecento giorni dalla domanda amministrativa (D.L. n. 384 del 1992, art. 4 ossia dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione).

Non sembra invero che tale termine sia irragionevole, avendo l’interessato tutto il tempo per rendersi conto dell’inesatto adempimento e quindi ricorrere al giudice.

6.4. Inoltre non appaiono condivisibili le affermazioni di cui alle Sezioni unite del 1996 per cui “… la somma successivamente richiesta costituisce sempre una componente essenziale del credito previdenziale ed atteso che non è prospettabile una rinunzia in assenza di uno specifico atto dal quale possa evincersi in maniera univoca una manifestazione di volontà in tali sensi….” Infatti se entrambi i rilievi appaiono condivisibili, gli stessi non valgono però a dimostrare la non operatività della decadenza.

6.5. Quanto poi alla applicabilità dell’art. 1181 cod. civ. per dimostrare la inoperatività della decadenza alle riliquidazioni, è stato effettivamente affermato (Cass. n. 12472 del 17/12/1993, seguita da moltissime altre conformi) che “Qualora l’esercizio di un diritto di credito sia sottoposto a termine di decadenza, la richiesta di un pagamento soltanto parziale, rientrante nelle facoltà del debitore ex art. 1181 cod. civ., vale ad impedire la decadenza ed a far sì che il creditore possa chiedere il pagamento residuo senza essere assoggettato ad alcun termine decadenziale. Ne consegue che la richiesta dell’indennità di disoccupazione entro il termine di sessanta giorni di cui al R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 129 impedisce la decadenza e fa sì che l’assicurato possa poi chiederne un’integrazione senza essere assoggettato al termine medesimo, restando il diritto all’integrazione stessa soggetto, in relazione alle rate non ancora liquidate, all’ordinaria prescrizione decennale”. Detto principio è stato però enunciato ancora in tema di indennità di disoccupazione agricola, ma in un caso diverso, nel caso cioè in cui gli interessati l’avevano chiesta ed ottenuta nella misura di L. 800 giornaliere, perchè così era previsto dal D.L. n. 30 del 1974, art. 13 convertito nella L. n. 114 del 1974, norma successivamente dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 497 del 1988, perchè non si era proceduto ad alcuna rivalutazione. Si ritenne quindi che la domanda amministrativa a suo tempo proposta costituiva richiesta di pagamento parziale, non potendo gli interessati richiedere la somma rivalutata prima dell’intervento della Corte Costituzionale. Ma non è questo il caso che ricorre nella specie, giacchè il fatto costitutivo posto a base della domanda di riliquidazione non è insorto a causa di una legge o di una sentenza della Corte Costituzionale sopravvenuta alla fase concessoria, nel qual caso nessuno dubita (cfr. punto 6.2) che la decadenza non operi; ma quando il fatto costitutivo già sussisteva alla data del pagamento, giacchè si controverte, alla luce della legge vigente a quella data, se la indennità di disoccupazione agricola doveva essere liquidata sulla base della retribuzione fissata dalla contrattazione collettiva integrativa della provincia di Foggia, oppure sulla base dei salari medi convenzionali del 1995.

Se così è, va logicamente escluso che la domanda amministrativa di concessione della indennità di disoccupazione a suo tempo proposta possa configurarsi come domanda di pagamento solo parziale, onde la disposizione codicistica non può essere applicata.

6.6. Mette conto infine rilevare che la diversa opinione legittimerebbe una ingiustificata dilatabilità dei tempi per il riconoscimento della prestazione previdenziale, consentendo lo “spezzettamento di un diritti) unitario” facendo così perdurare una situazione di incertezza, perchè si consentirebbe alla parte che ha ricevuto la prestazione – e che quindi è immediatamente a conoscenza del soddisfacimento parziale del suo diritto – di dolersene senza limiti di tempo (se non il decennio di prescrizione). Il che invero sembra in contrasto con la più recente giurisprudenza di legittimità, avendo riguardo alla pronuncia delle Sezioni unite n. 23726 del 2007, che ha configurato il divieto di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, sul presupposto della contrarietà di una simile condotta dell’avente diritto sia alla buona fede (art. 88 cod. proc. civ.) sia al principio costituzionale del giusto processo.

E’ stato inoltre affermato (Cass. Sezioni unite n. 20604 del 2008) che il filo conduttore comune degli ultimi arresti giurisprudenziali lo si può riscontrare in una lettura del dato normativo che, seppur nel doveroso rispetto della lettera delle singole norme scrutinate, privilegia opzioni ermeneutiche avversanti ogni inutile appesantimento dei giudizi per approdare, attraverso la riduzione dei tempi, al giusto processo.

7. Ritenuto quindi che: le perplessità sopra espresse inducono a rimettere nuovamente alle Sezioni unite di questa Corte, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 3, la questione relativa alla operatività della decadenza D.P.R. n. 639 del 1970, ex art. 47 della domanda giudiziale concernente la riliquidazione della indennità di disoccupazione agricola per cui è causa.

P.Q.M.

La Corte, visto l’art. 374 c.p.c., comma 3, rimette la causa alle Sezioni unite.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2011

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