Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10688 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. II, 13/05/2011, (ud. 12/04/2011, dep. 13/05/2011), n.10688

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26704-2005 proposto da:

V.I. C.F. (OMISSIS), A.D. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI

11, presso lo studio dell’avvocato STELLA RICHTER PAOLO,

rappresentati e difesi dall’avvocato DALLA FIOR MARCO;

– ricorrenti –

contro

N.P. C.F. (OMISSIS) IN PROPRIO E QUALE EREDE DEL

DEFUNTO N.R., C.A. IN N. C.F.

(OMISSIS) IN QUALITA’ DI COEREDE DEL DEFUNTO N.

R., N.A. C.F. (OMISSIS) IN QUALITA’ DI COEREDE

DEL DEFUNTO N.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato MANZI LUIGI,

che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

N.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 203/2005 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 08/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2011 dal Consigliere Dott. BURSESE Gaetano Antonio;

udito l’Avvocato Serafini Rosanna con delega depositata in udienza

dell’Avv. Stella Richter Paolo difensore dei ricorrenti che ha

chiesto di riportarsi;

udito l’Avv. Coglitore Emanuele con delega depositata in udienza

dell’Avv. Manzi Luigi difensore dei resistenti che ha chiesto di

riportarsi;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

V.I. e A.D., proprietari intavolati della p. ed. 1798 in CC Riva del Garda, con atto notificato il 8.11.99, citavano in giudizio avanti al tribunale di Rovereto, A., R. e N.P., proprietari della confinante p.ed. 2454.

Deducevano gli attori che i convenuti avevano proceduto ad interventi edilizi sulla loro casa di abitazione, ampliandone la volumetria in modo da ricavare una nuova unità abitativa nel sottotetto e realizzando due balconi, modificando altresì l’andamento del tetto, dalle originarie quattro falde a due falde soltanto. Tali lavori, avevano quindi comportato la violazione della disciplina delle distanze legali, sia in relazione agli edifici che al balcone lato nord, con riferimento all’art. 873 c.c. come integrato dal locale regolamento (P.U.C. – Piano Urbanistico Compresoriale – avente all’epoca valenza di PRG, che prevedeva per gli edifici di altezza superiore a 10 m, una distanza pari all’edificio da edificare), nonchè dall’art. 905 c.c.. Chiedevano pertanto gli attori la condanna dei convenuti alla riduzione in pristino delle opere realizzate, oltre la risarcimento del danno. Si costituiva in giudizio N.P., erede di N.R. ed unico proprietario della particella oggetto del denunciato intervento edilizio, il quale contestava la domanda avversaria e proponeva domanda riconvenzionale diretta alla demolizione di un muro di contenimento e di un terrapieno posto nella vicina proprietà.

Deduceva in specie che l’edifico aveva mantenuto, anche dopo gli interventi edilizi di cui trattasi, l’ingombro e l’altezza originari, mentre il balcone era stato realizzato a distanza legale rispetto alla vicina proprietà. Espletata l’istruttoria (CTU redatta dal geom. B.), l’adito tribunale di Rovereto, con sentenza n. 304/2004 rigettava sia la domanda degli attori che la riconvenzionale della parte convenuta.

Avverso la suddetta sentenza proponevano appello i sigg.ri V. e A. i quali contestavano i criteri di misurazione dell’altezza dell’edificio p.ed. 2492, deducendo inoltre che il tribunale aveva negato la violazione dell’art. 905 c.c. con riferimento all’apertura del balcone, sull’erroneo presupposto dell’esistenza di una fascia di terreno, individuata dalla p. f.

4141/2, di proprietà di parte convenuta, posta tra gli edifici frontistanti: in realtà la suddetta particella era del tutto inesistente. Si costituiva l’appellato chiedendo il rigetto dell’impugnazione e formulando appello incidentale per la demolizione e l’arretramento a distanza legale del muro di contenimento e del terrapieno eseguito nella proprietà di controparte. L’adita Corte d’Appello di Trento, con sentenza n. 203/2005 depos. in data 8.6.05, rigettava entrambe le impugnazioni, regolando le spese processuali che poneva per la maggior misura a carico degli appellanti. La corte trentina confermava l’esistenza della particella 4141/2 di proprietà di N.P. posta tra gli edifici delle parti e la conseguente infondatezza dell’eccepita violazione dell’art. 905 c.c. con riferimento al balcone realizzato dallo stesso N. prospettante su tale striscia di terreno. Quanto alla dedotta sopraelevazione della p. ed. 2454 lo stesso giudice riteneva che l’edifico ristrutturato in realtà non aveva comportato alcuna modifica dell’altezza originaria in quanto erano state mutate solo l’inclinazione e la conformazione delle falde del tetto.

Avverso la predetta pronuncia, ricorrono per cassazione V. I. e A.D. sulla base di 4 mezzi, resistono gli intimati con controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce la carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie e l’omessa pronuncia. Gli esponenti censurano la sentenza nella parte in cui afferma l’esistenza della fascia di terreno contraddistinta con la particella 4141/2 posta tra le proprietà delle parti (che invece sono tra loro confinanti) e sulla quale prospetta il balcone lato nord di casa N.. In realtà tale lembo di terreno non sarebbe individuabile, in quanto la corrispondente particella esisterebbe solo a livello tavolare. Di conseguenza la proprietà dei V. si estenderebbe sin quasi all’edificio N., di talchè difetterebbe un distacco di almeno m. 1,50 tra il balcone realizzato nella p.ed. 2454 ed il confine con il fondo di proprietà di essi esponenti. Secondo costoro tale particella non è mai esistita, ma sarebbe soltanto il frutto di “un’operazione lottizzatoria che avrebbe vista in essa un’ipotesi di viabilità” mai realizzata ed anche perchè in un abbozzo di campagna del giugno 1959 si rinviene la scritta vergata a mano “non c’è più” in corrispondenza della suddetta particella. Nè il giudice d’appello aveva dato rilievo ad altre circostanze, come il fatto dell’uso pacifico più che trentennale della fascia di terreno in esame da parte degli attori e prima di loro dei danti causa dei medesimi e sulla conseguente eccezione di usucapione da essi formulata. Lo stesso giudice aveva preso in esame il tipo di frazionamento a firma de CTU geom. M. del 1968, “tralasciando invece di dare quantomeno la stessa valenza all’abbozzo di campagna del 1959 di ben 10 anni precedente”.

La doglianza non è fondata. Essa in realtà si risolve in una critica alla valutazione delle risultanze istruttorie come tale rientrante nel potere discrezionale del giudice di merito il cui esercizio si sottrae al sindacato di legittimità, attesa la congruità e correttezza della motivazione con cui la corte territoriale ha compiutamente giustificato le sue scelte (Cass. 12362 del 24.05.06). I ricorrenti inoltre violando il principio autosufficienza del ricorso per cassazione non hanno trascritto la parte della relazione del c.t.u. (che ha confermato l’esistenza della particella 4141/2) da essi non condivisa (Cass. Sez. U, n. 15781 del 28/07/2005) e che assumono acriticamente seguita dal giudice, il quale a loro avviso avrebbe dovuto invece privilegiare il c.d.

“abbozzo di campagna del 1959” contenente l’anonima, informale e non univoca annotazione “non c’è più”. Quanto all’eccezione di usucapione, la stessa non sembra sia stata proposta nel giudizio di primo grado come eccepito dai controricorrenti ed è dunque inammissibile. Comunque per il principio dell’autosufficienza i ricorrenti avrebbero dovuto indicare e precisare l’atto in cui tale eccezione era stata formulata (Cass. n. 6361 del 19.3.2007; Cass. n. 10605 del 30/04/2010).

Passando al secondo motivo del ricorso con esso gli esponenti denunciano “la violazione ed erronea applicazione… di norme regolamentari e non, delle norme di attuazione del PUC del comprensorio Alto Garda nonchè degli artt. 873 e ss. c.c.” oltre al vizio di motivazione della sentenza.

Sostengono che il convenuto con il suo intervento edilizio avrebbe mutato l’altezza del fabbricato con conseguente rilevanza sotto il profilo delle distanze dalla vicina costruzione. Critica l’assunto della corte secondo cui nella fattispecie non vi era stata alcuna sopraelevazione in quanto l’aumento della volumetria era stato ottenuto cambiando l’originaria falda del tetto mentre erano rimaste inalterate l’altezza e sagoma dell’edifico. A tal fine gli esponenti non condividono i criteri seguiti dal CTU per stabilire le altezze dell’edificio. Anche tale censura è infondata per gli stessi motivi evidenziati a proposito della precedente doglianza, in quanto sono introdotti – in violazione peraltro del principio di autosufficienza – questioni di fatto, non sindacabili in sede i legittimità, su cui la Corte di merito si è espressa con motivazione congrua.

Con il 3 motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art. 905 c.c. e nonchè l’omessa e carente motivazione su un punto decisivo. La doglianza si riferisce alla violazione della distanza dal confine a seguito della realizzazione del nuovo balcone: la censura deve ritenersi assorbita atteso che essa presuppone l’inesistenza della particella 4141/2 di cui al 1^ motivo (negata dalla corte), cui si rinvia. Deve ritenersi assorbito infine anche il 4^ motivo, con cui si denuncia genericamente l’omessa pronuncia “in relazione alla domanda attorea di risarcimento del danno”.

In conclusione il riscorso in esame dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorario, oltre spese ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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