Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10688 del 03/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 03/05/2017, (ud. 18/01/2017, dep.03/05/2017),  n. 10688

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12021/2014 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.L., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE GIULIO CESARE 61, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

MARIA TOSCANO, rappresentato e difeso dall’avvocato FERDINANDO

SALMERI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 257/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 05/11/2013 R.G.N. 490/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito l’Avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO;

udito l’Avvocato FERDINANDO SALMER;

Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine,

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 5.11.13 la Corte d’appello di Reggio Calabria rigettava il gravame di Poste Italiane S.p.A. contro la sentenza n. 961/12 del Tribunale della stessa sede che, dichiarato illegittimo per tardività della contestazione disciplinare il licenziamento intimato il 16.10.07 dalla società nei confronti di C.L., aveva ordinato la reintegra del dipendente nel posto di lavoro, con le conseguenze anche economiche di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Affermavano i giudici di merito che la società disponeva fin dal dicembre 2006 – gennaio 2007 (anche grazie alla confessione del lavoratore e ancor prima della conclusione dell’indagine ispettiva avviata in ordine ai fatti addebitatigli) di tutti gli elementi conoscitivi per procedere alla contestazione disciplinare, che invece era stata comunicata solo nel settembre 2007, all’esito dell’indagine predetta.

Per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. affidandosi ad un solo motivo, poi ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

C.L. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Con unico motivo si denuncia violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, perchè – contrariamente a quanto asserito dalla sentenza impugnata – per stabilire la tempestività o meno della contestazione disciplinare bisogna fare riferimento non già alle spontanee ammissioni del lavoratore, sempre revocabili e impugnabili, bensì all’esito dell’indagine ispettiva avviata dalla società, conclusasi solo nel luglio 2007, epoca rispetto alla quale la contestazione disciplinare – avvenuta nel settembre dello stesso anno – non può considerarsi tardiva.

Sostiene a riguardo la società di aver atteso, prima di contestare l’addebito, il risultato delle indagini ispettive al fine di avere la certezza della responsabilità dell’odierno controricorrente sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nonchè di accertare (eventuali) ulteriori irregolarità e di appurare se altri dipendenti avevano concorso con C.L. nell’annullare indebitamente, nel novembre-dicembre 2005, all’insaputa di tre clienti, tre deleghe di pagamento, utilizzando per due annullamenti lo username attribuito ad altra dipendente, ignara dell’accaduto.

Pertanto – conclude il ricorso – il contegno della società è stato garantista e ispirato ai principi di correttezza e buona fede, senza alcuna lesione del diritto di difesa del lavoratore.

2- Il ricorso è fondato.

La giurisprudenza di questa S.C. ha più volte precisato che, ove sussista un rilevante intervallo temporale tra i fatti contestati e l’esercizio del potere disciplinare, la tempestività di tale esercizio deve essere valutata in relazione al tempo necessario per acquisire conoscenza della riferibilità del fatto, nelle sue linee essenziali, al dipendente, riferibilità la cui prova è a carico del datore di lavoro (cfr., ex aliis, Cass. n. 4724/14; Cass. n. 7410/10).

Il principio dell’immediatezza della contestazione mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni di correttezza e buona fede sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto (cfr., ex aliis, Cass. n. 13167/09).

Sempre alla luce della giurisprudenza di questa S.C., il criterio dell’immediatezza va inteso in senso relativo, poichè si deve tener conto delle ragioni che possono far ritardare la contestazione, tra cui il tempo necessario per l’espletamento delle indagini dirette all’accertamento dei fatti, la complessità dell’organizzazione aziendale (la valutazione in proposito è riservata al giudice di merito: cfr., per tutte e da ultimo, Cass. n. 1248/16 e Cass. n. 281/16).

Nel caso di specie, la sentenza afferma che la società disponeva fin dal dicembre 2006 – gennaio 2007 (essenzialmente grazie alla confessione del lavoratore e ancor prima della conclusione dell’indagine ispettiva avviata in ordine ai fatti addebitati) di tutti gli elementi conoscitivi per procedere alla contestazione disciplinare, che invece era stata comunicata solo nel settembre 2007.

Nondimeno, considerato che (come sopra ricordato) uno dei fondamenti del principio di immediatezza della contestazione disciplinare è costituito dal rispetto del concreto esercizio del diritto di difesa del lavoratore, deve concludersi che più approfondite indagini del datore di lavoro sui fatti passibili di responsabilità disciplinare non contraddicono tale esercizio (cfr. Cass. n. 13482/04), anzi lo rafforzano.

Afferma la sentenza impugnata che le ammissioni fatte dal lavoratore non rendevano necessarie ulteriori verifiche prima di procedere alla contestazione. Ma in tal modo la pronuncia trascura che, come obiettato dalla società ricorrente, tali ammissioni ben potevano essere successivamente revocate dal lavoratore, così lasciando – in sostanza – irrimediabilmente sguarnita la reazione disciplinare del datore di lavoro dalla possibilità di integrare e provare gli elementi di addebito.

Invero, le ammissioni rese dal lavoratore al datore di lavoro hanno la natura giuridica, ove accompagnate dall’animus confitendi, di confessione stragiudiziale resa alla parte o a chi la rappresenta (e, infatti, proprio di confessione parla la Corte territoriale nel caso in oggetto), confessione equiparata a quella giudiziale (art. 2735 c.c., comma 1), ma pur sempre revocabile per errore di fatto o violenza (art. 2732 c.c.).

Pertanto, non si può asserire (contrariamente a quanto si legge nella sentenza impugnata) che la verifica della veridicità di tali ammissioni (anche per escludere che fossero funzionali a coprire proprie e/o altrui maggiori responsabilità) non fosse necessaria o che i tempi di indagine ispettiva violassero di per sè il diritto di difesa del lavoratore.

Si deve, in sintesi, formulare il seguente principio di diritto: “Non lede il principio di immediatezza di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, il datore di lavoro che, prima di procedere ad una contestazione disciplinare, disponga indagini ispettive per meglio approfondire natura e responsabilità passibili di sanzione ove a tal fine egli disponga, quali elementi conoscitivi, della sola confessione del lavoratore, essendo essa potenzialmente revocabile ex art. 2732 c.c.”.

3. In conclusione, il ricorso è da accogliersi, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Messina, che attenendosi al principio di diritto di cui sopra dovrà valutare nel merito l’addebito disciplinare per cui è causa.

PQM

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Messina.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2017

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