Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10687 del 03/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 03/05/2017, (ud. 11/01/2017, dep.03/05/2017),  n. 10687

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3329-2011 proposto da:

S.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA PREMUDA 2, presso lo studio dell’avvocato SERGIO BARATTA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LEANDRO BOMBARDIERI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE, (già COMUNE DI ROMA) C.F. (OMISSIS), in persona del

Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL

TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato CARLO SPORTELLI,

che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6562/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/01/2010, r.g.n. 5004/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2017 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito l’Avvocato LEANDRO BOMBARDIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di Appello di Roma ha respinto l’appello proposto da S.A. avverso la sentenza di primo grado, che aveva respinto il ricorso da questi proposto nei confronti del Comune di Roma per ottenerne la condanna al pagamento della somma di Euro 306.954,61, oltre accessori, e, in via subordinata, al pagamento del trattamento economico previsto nel verbale di conciliazione sottoscritto il 17.7.1997.

2. La Corte territoriale, per quanto oggi rileva, ha ritenuto che: nel ricorso introduttivo del giudizio non risultavano specificate le voci retributive componenti il trattamento economico dello S., e tanto sia in relazione al cd parametro 140 proprio dei diirigenti delle aziende municipalizzate, sia in relazione agli elementi aggiuntivi previsti dal CCNL dirigenti imprese pubbliche locali; al conteggio allegato al ricorso introduttivo non poteva attribuirsi il valore di “pista probatoria”, al fine di attivare indagini istruttorie officiose perchè vi risultavano esposte solo voci retributive assunte come spettanti senza ulteriori precisazioni (lo stesso consulente di parte aveva precisato che i conteggi costituivano un prospetto meramente “indicativo” di quelle che avrebbero potuto essere le differenze riscontrate e che il prospetto era stato sviluppato sulla base di un sommario e parziale confronto tra percepito e dovuto); la mancata specificazione dell’impegno qualitativo e quantitativo profuso nell’espletamento dell’incarico di Direttore di Mercato impediva la formulazione del giudizio di congruità delle retribuzioni rispetto ai parametri di cui all’art. 36 Cost.; al verbale di transazione, al quale non era stata data esecuzione per il mancato verificarsi della condizione della sua approvazione da parte dell’organo tutorio, non poteva attribuirsi il valore di “pista probatoria” perchè non vi risultavano ìndìcate le somme spetantì allo S. ma solo la generica previsione dell’ attribuzione di una somma annuale fissa con riferimento alla posizione del dirigente delle aziende municipalizzate; il Comune aveva dato prova dell’avvenuto pagamento dei contributi previdenziali e lo S. non aveva contestato nè allegato alcunchè sul danno di natura contributiva e/o pensionistica.

3. Avverso tale sentenza S.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria, al quale ha resistito con controricorso il Comune di Roma.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. La richiesta, formulata dal ricorrente nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., di acquisizione del fascicolo di ufficio del giudizio di merito, è stata disattesa dal Collegio perchè inutile, avuto riguardo al tenore delle censure formulate nei motivi di ricorso, di seguito esaminati. D’altra parte, l’eventuale sua acquisizione non avrebbe potuto superare la mancata riproduzione nel ricorso degli atti (sentenza di primo grado, verbali delle udienze celebrate nel primo e nel secondo grado) ai quali, senza altra specificazione, il ricorrente attribuisce, per quanto è dato capire, efficacia decisiva per la definizione del presente giudizio.

Sintesi dei motivi di ricorso.

5. Con il primo motivo motivo è denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e n. 2, mancato apprezzamento e valutazione delle “piste probatorie” indicate da esso ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, per avere la Corte territoriale, nel ritenere che esso ricorrente non aveva ottemperato agli oneri di cui all’art. 2697 c.c., violato i principi in tema di ricerca di prove suppletive o integrative ex art. 421 c.p.c.. Lamenta che la Corte territoriale non avrebbe spiegato in modo esaustivo le ragioni per le quali l’accordo transattivo non poteva essere utilmente apprezzato sul piano probatorio.

6. Con il secondo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme imperative di diritto e degli artt. 35 e 36 Cost.. Sostiene che la Corte territoriale non avrebbe applicato la legislazione regionale, che aveva regolato il rapporto dedotto in giudizio, prevedente l’equiparazione di coloro che svolgevano la mansione di direttore di mercato comunale al trattamento economico dei direttori delle aziende municipalizzate del Comune di Roma; che la mancata applicazione della legge regionale avrebbe determinato la violazione del principio del “favor prestatoris” di cui all’art. 35 Cost..Asserisce che le fonti normative che disciplinavano il suo rapporto di lavoro (Legge Regionale e Accordo Collettivo nazionale dei Dirigenti Imprese Pubbliche degli Enti locali) imponevano l’applicazione del trattamento più favorevole, questo da individuarsi nella Legge Regione Lazio, trattamento non corrisposto dal Comune.

7. Con il terzo motivo è denunciata omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio ed erronea valutazione dei principi giuridici, per avere la Corte territoriale disapplicato la L.R. n. 74 del 1984, recante la disciplina dei mercati all’ingrosso e prevedente all’art. 26 la possibilità di conservare in servizio i Direttori di Mercato, e per avere trascurato la Delib. Giunta Regionale Lazio 17 dicembre 1991, n. 11806, che aveva previsto che al Direttore preposto ad un Mercato spettava un trattamento economico non inferiore a quello previsto per il Direttore delle Aziende Municipalizzate dei Servizi Romani. Assume, inoltre, che la Corte territoriale avrebbe potuto accertare, nell’esercizio dei poteri officiosi, quanto effettivamente percepito da esso ricorrente e che dai documenti e dai conteggi allegati al ricorso introduttivo del giudizio poteva desumersi quanto corrisposto ad esso ricorrente.

Esame dei motivi.

8. Il primo motivo è infondato.

9. Il Collegio ritiene di dare continuità ai principi, ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui, nel rito del lavoro, l’esercizio di poteri istruttori d’ufficio, nell’ambito del contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca della verità, involge un giudizio di opportunità rimesso ad un apprezzamento meramente discrezionale, che può essere sottoposto al sindacato di legittimità soltanto come vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora la sentenza di merito non adduca un’adeguata spiegazione per disattendere la richiesta di mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia che, se esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione. E’ stato inoltre precisato che: il mancato esercizio dei poteri istruttori del giudice, previsti dall’art. 421 c.p.c., anche in difetto di espressa motivazione sul punto, non è sindacabile in sede di legittimità se non si traduce in un vizio di illogicità della sentenza; la deducibilità della omessa attivazione dei poteri istruttori come vizio motivazionale e non come “error in procedendo”, impedendo al giudice di legittimità l’esame diretto degli atti, impone al ricorrente, che muova alla sentenza impugnata siffatta censura, di riportare testualmente, in omaggio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, tutti quegli elementi dai quali è desumibile la sussistenza delle condizioni necessarie per l’esercizio degli invocati poteri. E’ stato affermato, inoltre, che il ricorrente deve riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emerge l’esistenza di una “pista probatoria”, ossia l’esistenza di fatti o mezzi di prova idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività, rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attività di integrazione istruttoria demandata al giudice di merito (ex multis, Cass. SS.UU. 11353/2004; Cass. 22484/2016, 22534/2014, 900/2014, 3047/2006, 9034/2000; Ord. 27431/2014).

10. Parte ricorrente si è sottratta a tali prescrizioni perchè, nell’illustrazione del motivo, nel quale sono incompresibilmente richiamati l’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 2 non ha riportato il contenuto degli atti ai quali la Corte territoriale non ha attribuito valore determinante per l’esercizio dei poteri istruttori officiosi. In realtà il ricorrente non si è confrontato pienamente con la nozione di “piste probatorie”, ma ha ricavato da essa il potere del giudice di disporre comunque mezzi istruttori ai quali le parti non hanno fatto alcun riferimento.

11. Il secondo motivo è infondato perchè non coglie la “ratio” della sentenza impugnata, la quale ha rigettato le domande sul rilievo che le allegazioni contenute nel ricorso, pur lette alla luce del conteggio allegato e qualificato dallo stesso consulente di parte che lo aveva redatto come “indicativo” di quelle che “possono essere le differenze riscontrate”, non consentivano di individuare le voci del trattamento economico rivendicato e, ai fini della applicazione del parametro di cui all’art. 36 Cost., l’impegno lavorativo qualitativo e quantitativo richiesto e disimpegnato dallo S. nell’adempimento dell’incarico dirigenziale affidato dal Comune. Nè le lacune allegatorie riscontrate dalla Corte territoriale possono ritenersi superate dalla invocazione del principio del “favor prestatoris”, atteso che il “decisum” è fondato sulla mancata allegazione di elementi idonei a ricostruire nel concreto il trattamento economico spettante, a fronte della incontestata erogazione da parte del Comune di somme di danaro ulteriori rispetto a quelle indicate come pagate.

12. Il terzo motivo è inammissibile perchè le censure che, addebitano alla sentenza vizi motivazionali, esorbitano dal perimetro del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, essendo riferiti non a fatti controversi, nemmeno dedotti, ma alla non corretta ricostruzione del quadro normativo di riferimento, secondo uno sviluppo di argomentazioni incoerenti con le argomentazioni spese dalla Corte territoriale la quale, come innanzi evidenziato, ha fondato il “decisum”, sulla insussistenza di dati fattuali necessari a ricostruire il trattamento spettante nel concreto.

13. Sulla scorta delle considerazioni svolte, il ricorso va rigettato.

14. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.000,00, per compensi professionali oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfettarie, oltre IVA e CPA.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2017

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