Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10682 del 03/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 03/05/2017, (ud. 20/12/2016, dep.03/05/2017),  n. 10682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11631/2013 proposto da:

N.M., C.F. (OMISSIS), in proprio e quale Presidente e

legale rappresentante della F.A.C.A.L. S.R.L., nonchè la F.A.C.A.L.

S.R.L. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MARIA

CRISTINA, 2, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO DOMENICO

PARLA, rappresentati e difesi dall’avvocato PAOLO CENNA, giusta

delega in atti;

– ricorrenti –

contro

DIREZIONE TERRITORIALE DEL LAVORO DI MANTOVA, C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 524/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 06/11/2012 R.G.N. 38/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/12/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 524/2012, depositata il 6 novembre 2012, la Corte di appello di Brescia rigettava il gravame proposto da N.M., in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro tempore della società F.A.C.A.L. S.r.l., avverso la sentenza di primo grado del Tribunale di Mantova, che ne aveva respinto l’opposizione nei confronti della ordinanza-ingiunzione n. 125 del 25 maggio 2011 della Direzione Territoriale del Lavoro di Mantova: provvedimento con cui era stato richiesto il pagamento della somma di Euro 19.564,74 per non avere la società proceduto all’assunzione di G.L., invalida avviata per l’assunzione obbligatoria.

La Corte osservava, a sostegno della propria decisione, come il provvedimento della DTL di Mantova si fondasse sul verbale ispettivo, dal quale risultava che la Grandi era stata accompagnata in azienda, in data 14/3/2006, dal funzionario incaricato D.F.G. e che i responsabili di questa si erano rifiutati di consentirne l’ingresso e di avere rapporti con la lavoratrice e con lo stesso funzionario: si trattava di fatti – rilevava la Corte – che già il Tribunale aveva correttamente ritenuto acquisiti al giudizio, in quanto riportati in un atto pubblico facente piena prova fino a querela di falso; osservava, poi, che dovevano ritenersi attendibili le dichiarazioni rese al funzionario dalla lavoratrice, la quale aveva riferito di avere avuto un colloquio con un responsabile aziendale in data 2 maggio 2006 e di averne ricevuto promesse generiche rimaste senza seguito.

La Corte di appello osservava, quindi, che nel corso di un’ispezione avvenuta nel maggio 2008 il legale rappresentante della società aveva riconosciuto che la lavoratrice si era presentata in azienda, quando a distanza di mesi era stata finalmente convocata, e che, trattandosi di dichiarazione confessoria resa alla parte, non vi era motivo di ammettere le prove testimoniali dirette a confutarla, prove che comunque erano inammissibili anche per la genericità dei capitoli.

Con riguardo infine alla questione della corrispondenza fra le mansioni richieste, indicate nel prospetto trasmesso all’ufficio pubblico, e la formazione professionale della G., la Corte escludeva che potesse configurarsi alcuna discrepanza, atteso che il prospetto risultava privo di qualunque specificazione.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza N.M., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società, nonchè la F.A.C.A.L. S.r.l., con quattro motivi; l’Amministrazione ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Con il primo motivo, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., in connessione con la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 c.c. e dell’art. 347 c.p., nonchè nullità della sentenza per violazione della disciplina delle prove legali, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere erroneamente posto a punto di partenza del proprio percorso motivazionale l’attribuzione al funzionario Dott. D.F.G. della qualità di pubblico ufficiale e della qualità di atto pubblico, facente piena prova fino a querela di falso, alla relazione dal medesimo formata, pur non essendo egli un ispettore della DTL ma un incaricato della Provincia di Mantova e non essendo la relazione un verbale ispettivo ma una semplice ricostruzione storica della vicenda realizzata sulla base di quanto riferito dalla lavoratrice, tale, pertanto, da poter assumere la sola valenza di documento proveniente da un terzo estraneo alla lite, con le relative conseguenze sul piano probatorio.

Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in connessione con la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2724, 2730 e 2735 c.c.; nullità della sentenza per violazione della disciplina delle prove legali ex artt. 2730 e 2735 c.c.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in connessione con la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 68 del 1999, artt. 3, 4, 7, 9, 11 e 12; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti: in particolare, con il motivo in esame i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata abbia assegnato valore confessorio alle dichiarazioni del legale rappresentante della società, nonostante che le stesse fossero state raccolte da un dipendente della Provincia di Mantova estraneo alla DTL e che la relazione, in cui erano riportate, non fosse munita di fede privilegiata; si dolgono, poi, che la Corte di appello abbia omesso di esaminare la circostanza decisiva costituita dal fatto che la lavoratrice non si era presentata all’incontro del 2 maggio 2006, fissato dall’azienda con lettera del 18/4/2006, così da rendere manifesto il suo rifiuto della prestazione lavorativa, da un lato, e da escludere, dall’altro, la presenza di animus confitenti nelle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società; censurano infine la sentenza di secondo grado per avere ritenuto tali dichiarazioni di natura confessoria, peraltro senza considerare che da esse non sarebbe derivato alcun vantaggio alla DTL di Mantova ma solo ad un terzo soggetto, e cioè alla lavoratrice, e per avere privilegiato, nella ricostruzione dei fatti, le risultanze di una prova legale, così escludendo la possibilità per la F.A.C.A.L. S.r.l. di fornire la prova contraria.

Con il terzo motivo, deducendo violazione e/o falsa applicazione della L. n. 68 del 1999, art. 9, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per non avere reso alcuna motivazione in ordine alla legittimità del rifiuto aziendale di procedere all’assunzione, stante il mancato rispetto delle indicazioni contenute nel prospetto inviato alla DTL, da ritenere integrato non solo in presenza di una qualifica diversa da quella richiesta ma anche di una qualifica simile, che non fosse stata preceduta da idoneo addestramento o tirocinio.

Con il quarto e subordinato motivo, deducendo violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 8, anche in relazione all’art. 360, n. 4, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere omesso di pronunciare sulla richiesta di limitazione della misura della sanzione amministrativa al minimo di legge e per non aver tenuto conto dei criteri normativi per la commisurazione della sanzione, oltre che della erroneità del termine di decorrenza.

Il primo motivo è inammissibile.

Si deve, infatti, rilevare che sia la questione dello status giuridico (di pubblico ufficiale) del funzionario D.F.G., sia quella del valore della relazione dal medesimo redatta, non hanno formato oggetto del ricorso di secondo grado, come è dato desumere dal par. D del presente ricorso per cassazione (pp. 9-10), ove sono riprodotti i motivi di gravame sottoposti alla cognizione della Corte di appello di Brescia, e come è dato altresì desumere dalla parte della sentenza impugnata (pp. 2-3) in cui gli stessi motivi vengono sinteticamente riportati.

Ne consegue che l’esame di tali questioni, risulta precluso in questa sede.

Il secondo motivo è anch’esso inammissibile, e per le ragioni già indicate, laddove, a proposito delle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società al D.F., ripropone i medesimi temi di indagine oggetto del primo motivo.

Il motivo è, poi, inammissibile, laddove rivolge alla sentenza impugnata una censura di omesso esame di fatto decisivo, non conformandosi allo schema normativo del nuovo vizio “motivazionale”, quale risultante a seguito delle modifiche introdotte con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, pur a fronte di sentenza depositata il 6 novembre 2012 e, pertanto, in epoca successiva all’entrata in vigore (11 settembre 2012) della novella legislativa.

Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, hanno precisato che l’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato a seguito dei recenti interventi, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Nella specie, peraltro, il fatto, di cui si denuncia l’omesso esame, vale a dire la mancata presentazione della lavoratrice all’incontro fissato per il 2 maggio 2006, ha formato oggetto di espressa considerazione da parte della Corte territoriale (cfr. sentenza, p. 4), nel senso del positivo accertamento di esso.

A fronte di tale accertamento, non investito da un ammissibile motivo di censura, restano ininfluenti gli ulteriori rilievi formulati nel corpo del motivo in esame (sui limiti di configurabilità nella specie di una dichiarazione confessoria, tanto sotto il profilo della assenza di animus confitendi, come sotto quello degli interessi rispettivi del dichiarante e del destinatario della dichiarazione), dovendosi rilevare come il giudice di merito sia pervenuto ad affermare la verità della presentazione in azienda della G. in data 2 maggio 2006 non sulla base della sola dichiarazione resa dal legale rappresentante di F.A.C.A.L. S.r.l. nel corso dell’ispezione del maggio 2008 ma sulla base di un ampio e articolato percorso argomentativo, in cui al riscontro di attendibilità delle dichiarazioni della lavoratrice si è accompagnata una ricostruzione del comportamento complessivo (di rifiuto) tenuto dalla società, condotta sulla base dei documenti allegati (cfr. ancora sentenza, p. 4) ed esclusa la possibilità di dare ingresso alla prova testimoniale in quanto ritenuta dalla Corte, con autonoma ragione decisoria, comunque inammissibile “per la genericità dei capitoli sui quali è stata dedotta” (p. 5).

Il terzo motivo di ricorso è, per un verso, inammissibile e, per altro verso, infondato: inammissibile, ove sembra risolversi, al di là della formulazione letterale della rubrica, in una censura di omesso esame di fatto decisivo (individuato nell’avviamento di un lavoratore privo delle caratteristiche professionali indicate nel prospetto inviato alla DPL) e ciò per le stesse considerazioni già svolte riguardo al secondo motivo, fermo restando che, anche in questo caso, il giudice di merito ha espressamente preso in considerazione la circostanza che si assume trascurata; infondato, perchè la Corte ha accertato la totale assenza di discrepanze tra le mansioni richieste nel prospetto inviato e la formazione professionale della G., sul rilievo che il documento in questione risulta “privo di qualsiasi specificazione”.

Il quarto motivo è inammissibile: in primo luogo, per l’inestricabile nodo aporetico cui dà luogo la contestuale formulazione di una censura di omessa pronuncia e di violazione di legge, la quale presuppone logicamente che una pronuncia, sebbene erronea, vi sia stata; in secondo luogo, e in ogni caso, per difetto di specificità, non risultando se, e come, le questioni poste con il motivo in esame siano state sollevate in sede di appello. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2017

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