Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10679 del 07/05/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10679 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: SCALDAFERRI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso 19431-2011 proposto da:
DI PAOLO GIULIA DPLGLI35B46D315V, DI PAOLO TERESA
DPLTRS39H62D3155, DI PAOLO MARILISA
DPLMLS51A62D315G, nella loro qualità di eredi di Di Paolo
Giuseppe, elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE DELLE
MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato ANGELOZZI
GIOVANNI, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato
SALVIA ANTONIO giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti nonché contro

Data pubblicazione: 07/05/2013

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
80415740580;
– intimato avverso il decreto n. 109/2011 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
04/12/2012

dal Consigliere Relatore Dott.

ANDREA

SCALDAFERRI;
udito l’Avvocato Angelozzi Giovanni difensore delle ricorrenti che si
riporta al ricorso ed insiste per l’accoglimento;
è presente il P.G. in persona del Dott. LUCIO CAPASSO che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso.

In fatto e in diritto

Rilevato che Giulia, Teresa e Marilisa Di Paolo, nella qualità di eredi di
Giuseppe Di Paolo deceduto il 12 dicembre 1983, hanno, con atto
notificato il 23 luglio 2011, proposto ricorso per cassazione avverso il
decreto della Corte d’appello di Campobasso, in epigrafe indicato, che
ha dichiarato inammissibile, per omessa prova della tempestività sotto
il profilo del rispetto del termine di cui all’art.4 della legge n.89/2001,
la domanda, da esse proposta nella anzidetta qualità, di equa
riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata di un
giudizio in materia pensionistica iniziato dal loro dante causa dinanzi
alla Corte dei Conti nel luglio 1973 e definito in primo grado con
sentenza depositata in data 1 aprile 2009;
che il Ministero della economia e delle finanze non ha svolto difese;
rilevato che le ricorrenti denunciano la violazione dell’art.3 comma 5 e
dell’art.4 della legge n.89/2001 (in unione con l’art.115 c.p.c.) nonché il
Ric. 2011 n. 19431 sez. M1 – ud. 04-12-2012
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CAMPOBASSO del 26/04/2011, depositata 11 24/05/2011;

vizio di motivazione, evidenziando come la Corte territoriale abbia
erroneamente basato la sua pronuncia sull’onere posto a loro carico di
fornire la prova che la sentenza che ha definito il giudizio presupposto,
non essendo stata loro notificata, sia passata in giudicato nel
c.d.termine lungo (e che quindi il ricorso sia stato depositato entro il

resistente non avesse contestato tale circostanza, e nonostante
l’espressa formulazione in ricorso dell’istanza di acquisizione di cui
all’art.3 legge n.89/2001;
ritenuto che il ricorso è fondato; che, pur prescindendo dal generico
rilievo circa la non contestazione da parte della Amministrazione, deve
ribadirsi il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte,
secondo cui ove la parte ricorrente —come nella specie risulta dallo
stesso decreto impugnato- abbia formulato espressa richiesta di
acquisizione degli atti e dei documenti del processo presupposto ai
sensi dell’art.3 comma 5 della legge n.89/2001, la Corte d’appello non
può respingere la domanda sulla base di carenze documentali
superabili con l’esercizio di tale potere di acquisizione, senza esporre
congrua motivazione del suo convincimento in ordine alla inidoneità di
tale strumento processuale (cfr.ex multis: Sez.1 n.9381/11; Sez.6-1
n.16367/11; Sez.1 n.16836/10; Id.n.18603/05; cfr.anche Corte
Cost.n.74/05); che invero, contrariamente a quanto risulta
argomentato nel provvedimento impugnato, il potere officioso, che la
norma sopra richiamata —in coerenza con il potere di assumere
informazioni previsto dalla disposizione generale in tema di
procedimenti camerali dettata dall’art.738 comma 3 cod.proc.civ.attribuisce al giudice dell’equa riparazione in presenza di un’espressa
richiesta della parte istante, non consente in tal caso di includere tra gli
oneri gravanti sulle parti la produzione degli atti e dei documenti del
Ric. 2011 n. 19431 sez. M1 – ud. 04-12-2012
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termine semestrale di cui all’art.4), nonostante l’Amministrazione

processo presupposto, tra i quali va compreso sia l’avviso della
avvenuta notificazione della sentenza da parte dell’Ufficiale Giudiziario
ex art.112 D.P.R.n.1229/1959 —che il Cancelliere deve unire
all’originale della sentenza- sia l’avviso della avvenuta notificazione
dell’impugnazione ex art.123 disp.att.cod.proc.civ., da annotarsi

ritenuto pertanto che si impone la cassazione del decreto impugnato;
che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può
essere decisa nel merito a norma dell’art.384 c.p.c.;
che, in difetto di verifica d’ufficio in ordine alla ipotesi di intervenuta
notifica della sentenza che ha concluso il procedimento presupposto,
la domanda di equa riparazione, depositata il 12 ottobre 2010, risulta
proposta entro il termine semestrale di decadenza, decorrente dal
compimento -il 16 maggio 2010- del c.d. termine lungo per
l’impugnazione;
che, avendo le ricorrenti dichiarato di agire esclusivamente

iure

hereditatio (cfr.pag.4 ric.), cioè in quanto successori a causa di morte nel
diritto all’indennizzo maturato dal de cuius per l’irragionevole
protrazione del giudizio sino alla sua morte, quindi per circa dieci anni,
deve ritenersi che tale indennizzo debba essere commisurato, ex art.2
legge n.89/2001, ad una durata irragionevole di circa sette anni, tenuto
conto del termine triennale normalmente ritenuto ragionevole per
cause non risultanti —come nella specie- connotate da ragioni di
complessità;
che in ordine al quantum va fatta applicazione della giurisprudenza di
questa Corte (ex multis:n.1893/10; n.19054/10, n. 21840/09), a mente
della quale l’importo dell’indennizzo può essere di curo 750 per anno
per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole, in
considerazione del limitato paterna d’animo che consegue all’iniziale
Ric. 2011 n. 19431 sez. M1 – ud. 04-12-2012
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sull’originale della sentenza;

modesto superamento, mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere
richiamato il parametro di euro 1.000 per ciascun anno di ritardo;
che, pertanto, l’Amministrazione intimata deve essere condannata al
pagamento, a titolo di equo indennizzo per il periodo di sette anni di
irragionevole durata, della somma di curo 6.250, oltre interessi legali

che le spese di entrambi i gradi seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo tenendo conto, limitatamente al giudizio di
legittimità (cfr.S.U.n.17406/12), di quanto stabilito dal D.M. 20 luglio
2012 in attuazione dell’art.9 comma 2 D.L. n.1/2012 conv. in Legge
n.271/2012 (in particolare dei parametri indicati dalla Tabella AAvvocati per lo scaglione di riferimento, dei criteri di valutazione
previsti dall’art.4 e della riduzione prevista dall’art.9 del Decreto citato).
P. Q .M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il
decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della
economia e delle finanze a corrispondere alle ricorrenti la somma di
euro 6.250, oltre interessi legali a decorrere dalla data della domanda,
nonché al pagamento delle spese processuali, liquidate, quanto al
giudizio di merito, in complessivi euro 1.140 (di cui euro 490 per
onorari ed euro 600 per diritti) oltre spese generali e accessori di legge,
e, quanto al giudizio di legittimità, in curo 606,25 (di cui euro 100 per
esborsi) oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-1 Sezione civile
della Corte suprema di Cassazione, il 4 dicembre 2012.

dalla data della domanda;

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