Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10675 del 04/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 04/05/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 04/05/2010), n.10675

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

N.C., elettivamente domiciliato in Roma, viale Parioli n.

43, presso l’avv. Francesco D’Ayala Valva, rappresentato e difeso

dall’avv. LOVISOLO ANTONIO giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, domiciliata in Roma,

via dei Portoghesi 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria, sez. 8^, n. 94 del 23/10/07.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che il Consigliere relatore, nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione scritta prevista dall’art. 380 bis c.p.c., nei termini che di seguito si trascrivono:

“Il contribuente propone ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale che, in riforma della pronuncia di primo grado, ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento ai fini IVA impugnato.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso. I ricorso contiene quattro motivi. Può essere trattalo in camera di consiglio (art. 375 c.p.c., n. 5, e rigettato, per manifesta infondatezza, alla stregua delle considerazioni che seguono:

Con il primo motivo il contribuente invoca l’intervenuto condono IVA, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9.

I mezzo è manifestamente infondato.

A prescindere da ogni altra considerazione, è assorbente il rilievo che la Corte di giustizia, in un procedimento di infrazione promosso dalla Commissione nei confronti dell’Italia (sentenza del 17 luglio 2008 in causa C – 132/06), in relazione al condono IVA di cui alla L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9, affermando un principio estensibile ad ogni ipotesi di condono IVA, ha in sostanza affermato che non compete agli Stati membri disporre misure di condono in relazione all’IVA, quale imposta armonizzata, ostandovi il disposto degli artt. 2 e 22, della sesta direttiva e dell’art. 10 CE. Con il secondo motivo, sotto il profilo della violazione di legge, il ricorrente censura la sentenza impugnata quanto all’affermazione secondo cui la mancata instaurazione di contraddittorio con l’ufficio non comporta l’illegittimità dell’accertamento IVA. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.

L’attività di acquisizione e reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento del tributo, avendo natura amministrativa, non è retta dal principio del contraddittorio, si che l’art. 51, comma 2, n. 2, del precitato D.P.R., nel prevedere la convocazione del soggetto che esercita l’impresa con l’invito al medesimo a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari, attribuisce all’Amministrazione una facoltà discrezionale e non un obbligo, con l’ulteriore conseguenza che il mancato esercizio di tale facoltà non trasforma in presunzione semplice la presunzione legale che riferisce i movimenti bancari all’attività svolta dal contribuente, su cui grava perciò l’onere della prova contraria in sede contenziosa, a norma del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 32, (Cass. 26293/05, 20268/08).

Con il terzo e quarto motivo il ricorrente, sotto i profili del vizio di motivazione e della violazione di legge, censura la sentenza impugnata quanto alla ritenuta esistenza del provvedimento di autorizzazione alle indagini bancarie, in relazione alle censure con le quali aveva dedotto l’omessa esibizione e l’omessa motivazione di tale provvedimento.

Anche il terzo e quarto motivo sono manifestamente infondati, atteso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, affinchè l’erario possa utilizzare il risultato di accertamenti bancari effettuati nei confronti del contribuente è necessario che tali accertamenti siano stati debitamente autorizzati, ma non anche che il provvedimento di autorizzazione (la cui il legittimità può essere fatta valere dinanzi al giudice tributario soltanto quando venga ad inficiare il risultato fiscale del procedimento, e quindi l’accertamento tributario) venga esibito al contribuente (Cass. 14023/07), precisandosi inoltre che tale provvedimento non richiede alcuna motivazione (Cass., 6874/09)”;

che le parti non hanno presentato memorie;

che il collegio condivide la proposta del relatore, osservando in particolare, quanto al primo motivo, che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 3673/10 ed altre, hanno affermato che la citata sentenza della Corte di Giustizia ha sicuramente affermato l’incompatibilità del condono IVA di cui alla L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9, con l’art. 10 del Trattato e con gli artt. 2 e 22, della c.d. sesta direttiva in materia di IVA;

che pertanto il ricorso va rigettato;

che il ricorrente va condannato al pagamento delle spese, liquidate in Euro 2.100,00, di cui Euro 2.000,00, per onorari, oltre contributo unificato ed accessori di legge.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 2.100,00, di cui Euro 2.000,00, per onorari, oltre contributo unificato ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2010

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