Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10672 del 23/05/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 10672 Anno 2016
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GARRI FABRIZIA

(p04

ORDINANZA
sul ricorso 4301-2014 proposto da:
TELECOM ITALIA SPA 00471850016, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
LUIGI G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO
MARESCA, che la rappresenta e difende unitamente agli a.vvocati
FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ROBERTO ROMEI, giusta
mandato a margine del ricorso;
– ricorrente contro

BEDODI ALBERTO, elettivamente domiciliato presso la CORTE DI
CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso
dagli Avvocati DAVIDE DARIO BONSIGNORIO, MONICA
ROTA BRUNO VITTORIO MIRANDA, giusta delega a margine del
controricorso;

Data pubblicazione: 23/05/2016

- controricorrente avverso la sentenza n. 270/2013 della CORTE D’APPELLO di
MILANO del 28/02/2013, depositata il 29/07/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19/04/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI.

La Corte d’ appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale
della stessa città che in accoglimento della domanda di Alberto Bedodi
aveva accertato l’illegittimità della cessione del ramo di azienda che
aveva coinvolto il lavoratore.
La Corte territoriale, accertata l’esistenza dell’interesse ad agire del
lavoratore che ravvisava nel mantenimento di un rapporto di lavoro
con un datore piuttosto che con un altro (nella specie Telepost s.p.a.)
che non offriva le stesse garanzie di stabilità del posto di lavoro e di
condizioni economiche, ed esclusa la necessità di integrare in
contraddittorio nei confronti della cessionaria, ha poi ritenuto
accertato che non preesisteva al trasferimento l’entità economica
autosufficiente e funzionante denominata Document Managment
creata fittiziamente in vista del trasferimento.
Telecom Italia ha proposto ricorso per cassazione articolato su tre
motivi cui resiste Alberto Bedodi con controricorso.
Il contro ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c..
Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’ art.
100 c.p.c. e degli artt. 1406, 2094 e 2112 c.c. in relazione all’art. 360
c.p.c., n. 3; con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2112 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3
c.p.c. mentre con l’ultimo motivo si duole dell’omesso esame di un
fatto ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c..

Ric. 2014 n. 04301 sez. ML – ud. 19-04-2016
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FATTO E DIRVI-1D

Tanto premesso si osserva che questa Corte ha più volte esaminato
questioni del tutto sovrapponibili a quella oggi portata alla sua
attenzione ed ha affermato che:
1.- L’interesse ad agire in un’azione di mero accertamento non implica
necessariamente l’attualità della lesione di un diritto, essendo

processo, in quanto sorto nel corso di giudizio a seguito della
contestazione sull’esistenza di un rapporto giuridico o sull’esatta
portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, che non sia
superabile se non con l’intervento del giudice.
L’art. 2112 cod. civ., che permette all’imprenditore il trasferimento
dell’azienda, con successione del cessionario negli obblighi del cedente
e senza necessità di consenso del lavoratore, costituisce eccezione al
detto principio e non si applica se non sia identificabile, quale oggetto
del trasferimento, un’azienda o un suo ramo, da intendere come entità
economica organizzata in maniera stabile

e con idoneità alla

produzione e allo scambio di beni o di servizi.
Di conseguenza sussiste l’interesse del lavoratore ad accertare in
giudizio la non ravvisabilità di un ramo d’azienda in un complesso di
beni oggetto del trasferimento e perciò l’inefficacia di questo nei suoi
confronti, in assenza di consenso (cfr. Cass. n. 16262 del 2015, n.
25229 del 2015).
2.- L’art. 2112 c.c., sia nel testo sostituito dal d.lgs. n. 18 del 2001, art.
1, vigente a decorrere dal 1 luglio 2001, sia nel testo modificato dal
d.lgs. n. 276 del 2003, art. 32, applicabile alla presente controversia, ha
mantenuto immutata la definizione di “trasferimento di parte
dell’azienda” nella parte in cui essa è “intesa come articolazione
funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata”. Tale
nucleo della disposizione è rimasto intatto, non essendo stato toccato
Ric. 2014 n. 04301 sez. ML – ud. 19-04-2016
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sufficiente uno stato di incertezza oggettiva, anche non preesistente al

dalle modifiche normative che hanno invece riguardato, con
riferimento all’articolazione appena descritta, la soppressione
dell’inciso “preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel
trasferimento la propria identità” e l’aggiunta testuale “identificata
come tale dal cedente e da cessionario al momento del suo

parte di testo non modificata è coerente con la disciplina in materia
dell’Unione Europea (direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha
proceduto alla codificazione della direttiva 14 febbraio 1977,
77/187/CEE, come modificata dalla direttiva 29 giugno 1998,
98/50/CE) secondo cui “è considerato come trasferimento ai sensi
della presente direttiva quello di una entità economica che conserva la
propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di
svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria” (art. 1,
n. 1, direttiva 2001/23).
La Corte di Giustizia, cui compete il monopolio inrerpretativo del
diritto comunitario vivente (cfr. tra le tante Cass. n. 19740 del 2008),

ha ripetutamente individuato la nozione di entità economica come
complesso organizzato di persone e di elementi che consenta
l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un
determinato obbiettivo (cfr. Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C13/95, Suzen, punto 13; Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, C340/2001, _Abler, punto 30; Corte di Giustizia, 15 dicembre 2005, C232/04 e C-233/04, Guney-Gorres e Demir, punto 32) e sia
sufficientemente strutturata ed autonoma (cfr. Corte di Giustizia, 10
dicembre 1998, Hernandez Vic-lal, C-127/96, C-229/96, C-74/97,
punti 26 e 27; Corte di Giustizia, 13 settembre 2007, _i ouini, C-458/05,
punto 31; Corte di Giustizia, 6 settembre 2011, C-108/10, Scattolon,
punto 60).
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trasferimento”. Detta nozione di trasferimento di ramo d’ azienda nella

Il criterio selettivo dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda
ceduto, letto conformemente alla disciplina dell’Unione, consente di
affrontare e scongiurare ipotesi in cui le operazioni di trasferimento si
traducano in forme incontrollate di espulsione di personale.
Pertanto nessuna censura può essere addebitata alla sentenza

organizzata in maniera stabile e che conservi in occasione del suo
trasferimento la propria identità quale pre-requisito indispensabile per
configurare una efficace cessione del contratto di lavoro senza il
consenso del lavoratore, prima ed oltre la questione della preesistenza
del ramo ceduto.
Peraltro sull’aspetto della preesistenza del ramo ceduto di recente la
Corte di Giustizia, pregiudizialmente sollecitata da un giudice italiano
proprio in riferimento alla formulazione dell’art. 2112 c.c., novellata
dall’art. 32 del cit. D.Lgs., ha testualmente ritenuto che “L’art. 1,
paragrafo 1, lett. a) e b), della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del
12 marzo 2001, …, deve essere interpretato nel senso che non osta ad
una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento
principale, la quale, in presenza di un trasferimento di una parte di
impresa, consenta la successione del cessionario al cedente nei rapporti
di lavoro nell’ipotesi in cui la parte di impresa in questione non
costituisca un’entità economica funzionalmente autonoma preesistente
al suo trasferimento” (CGUE, 6 marzo 2014, C-458/12, Amatoti ed
a.).
Ciò posto la Corte territoriale ha escluso che nella fattispecie
sottoposta al suo vaglio fossero emerse circostanze tali da far ritenere
che fosse stata trasferita una attività organizzata “funzionalmente
autonoma”, con una valutazione di merito che sfugge al sindacato di
legittimità alla luce dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., come sostituito dal
Ric. 2014 n. 04301 sez. ML – ud, 19-04-2016
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impugnata laddove assume il canone della struttura autonoma

decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lettera b),
convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134 e
ratione temporis applicabile al caso in esame trattandosi di sentenza di
appello pubblicata dopo 1’11.9.2012 data di entrata in vigore della
novella (ex art. 54 comma 3 del decreto citato).

materiale probatorio e ne prospettano una differente ricostruzione
sono inammissibili.
La circostanza che dei computer e dei programmi non fosse stata
ceduta la proprietà ma solo l’uso per un certo tempo non è stata
ignorata dalla Corte di appello ma, piuttosto, valutata, nell’esercizio del
suo potere discrezionale di apprezzamento delle prove offerte che non
è più censurabile davanti alla Cassazione.
Altrettanto va detto con riguardo alla ritenuta esigua consistenza dei
beni materiali trasferiti in relazione all’importanza della struttura.
Si tratta in sostanza di un percorso motivazionale coerente
nell’equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono la struttura
argomentativa immune da vizi giuridici cui si pongono censure
generiche e comunque di merito.
Per tutto quanto sopra considerato, il ricorso, manifestamente
infondato deve essere rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella
misura indicata in dispositivo.
La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al

30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13,
corni-m 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base
al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o
meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo
Rìc. 2014 n. 04301 sez. ML – ud. 19-04-2016
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Inoltre le censure per la parte in cui investono la valutazione del

unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento
aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto
oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa
valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa
per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la

funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle,
pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n.
22035/2014).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si
liquidano in € 3.000,00 per compensi professionali, €_. 100,00 per
esborsi, 15% per spese forfetarie. Accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 cater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art.13 comma 1 bis
del citato d.P.R..
Così deciso in Roma il 19 aprile 2016

E Funzionas: .;)

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previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano

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