Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10670 del 07/05/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10670 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: CAMPANILE PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 14839-2011 proposto da:
COLUMBO ANTONIA CLMNTN49L52C927F, COLUMBO MARIA CLMMRA46P65C9270, elettivamente domiciliate in ROMA,
CORSO D’ITALIA 106, presso lo studio dell’avvocato DI MARTINO GAETANO, rappresentate e difese dall’avvocato MOLLICA
ANTONINO giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
80415740580, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

Au

Data pubblicazione: 07/05/2013

4

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo
rappresenta e difende ope legis;

con troricorrente

avverso il decreto nel procedimento n. 376/09 della CORTE D’AP-

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
04/12/2012 dal Consigliere Relatore Dott. PIETRO CAMPANILE;
è presente il P.G. in persona del Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per raccoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto
Con il decreto indicato in epigrafe la Corte di appello di Palermo ha rigettato la domanda di equa riparazione avanzata da Maria ed Antonia
Columbo, quali eredi di Iacchella Biagia, in relazione alla durata non
ragionevole di un giudizio da costei riassunto nel marzo del 1972 davanti alla Corte dei Conti per il trattamento pensionistico
dell’originario ricorrente, Salvatore Columbo, e definito con sentenza
del 10 febbraio 2009.
In particolare, rigettata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa
erariale, si osservava che all’accoglimento della domanda era ostativa la
temerarietà della lite, intesa quale consapevolezza, o colpevole ignoranza, dell’infondatezza della pretesa, desunta dal tenore della decisione di rigetto, nonché dalla laconicità del ricorso e dalla mancata produzione di documentazione sanitaria atta a contrastare le risultanze medico-legali della fase amministrativa.
Per la cassazione di tale decreto le predette hanno proposto ricorso, affidato ad un motivo, cui l’Amministrazione resiste con controricorso.

Motivi della decisione
Il Collegio ha deliberato la motivazione semplificata nella redazione
della sentenza.
Il ricorso, con il quale si deduce violazione e falsa applicazione dell’art.
2 della 1. n. 89 del 2001 e dell’art. 6 par. 1 Cedu, è fondato.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa
riparazione di cui alla 1. n. 89 del 2001, art. 2, spetta a tutte le parti del
processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittorioRic. 2011 n. 14839 sez. MI – ud. 04-12-2012
-2-

PELLO di PALERMO del 18/03/2010, depositato il 31/03/2010;

Ric. 2011 n. 14839 sez. M1 – ud. 04-12-2012
-3-

se o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in
ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il
soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente
resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una
condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste
situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la
deduzione che la domanda della parte – come nella specie – sia stata dichiarata manifestamente infondata (cfr., ex plurimis e tra le ultime, le
decisioni di questa Corte nn. 6685 del 2012, 9938 del 2010, 25595 del
2008, 21088 del 2005).
Nella specie, i Giudici a quibus hanno sostanzialmente – ed erroneamente – fondato la ratio decidendi sull’esito del giudizio presupposto —
desumendo apoditticamente la temerarietà della lite dal giudizio di infondatezza basato sulla mancanza di documentazione clinica atta a
contrastare le risultanze già acquisite in sede amministrativa, laddove
la proposizione di un ricorso al fine di ottenere una verifica in sede
giurisdizionale della stesse valutazioni, non può, di per se stessa, considerarsi associata alla consapevolezza dell’infondatezza della richiesta,
né tantomeno — per essere la stessa promossa ancor prima che divenisse efficace in Italia la ratifica della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo — allo scopo di lucrare i vantaggi derivanti dalla lesione del
diritto alla definizione del giudizio in tempi ragionevoli.
Il ricorso, pertanto deve essere accolto, con cassazione del decreto impugnato.
Ricorrono, per altro, i presupposti per la decisione della causa nel merito,m non essendo necessaria alcuna acquisizione.
Poiché la durata del giudizio presupposto – dall’agosto 1973, data di
accettazione, da parte dello Stato italiano, della clausola opzionale recante il riconoscimento, da parte degli Stati contraenti della competenza della Commissione (oggi, della Corte europea dei diritti dell’uomo):
Cass. 10 luglio 2009, 16284), al febbraio 2008, data di decesso della Iachella) va individuata in circa trentacinque anni, applicando il criterio
normalmente adottato da questa Corte, sulla base dei più recenti arresti
della Corte di Strasburgo per i giudizi amministrativi di lunga durata,
consistente nell’attribuzione di € 500,00 per ogni anno, il pregiudizio di
natura patrimoniale, la cui sussistenza deve presumersi sulla base delle
normali conseguenze della lesione del diritto in esame, deve complessivamente liquidarsi nella somma di € 17.500,00, sulla quale saranno
calcolati gli interessi legali dalla domanda al saldo.

Le spese di entrambi i gradi del giudizio seguono la soccombenza, e si
liquidano come in dispositivo.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo
nel merito, condanna l’Amministrazione resistente al pagamento in favore delle ricorrenti, complessivamente e pro quota, della somma di €
17.500,00, nonché alla rifusione delle spese del giudizio di merito, che
liquida in Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti e Euro 490,00
per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, e delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 510.00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – Prima, il dicembre 2012.

P.Q. M.

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