Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1067 del 18/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 18/01/2017, (ud. 14/10/2016, dep.18/01/2017),  n. 1067

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16961-2015 proposto da:

U.D., U.M.P., U.F., U.L., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONI,

rappresentati e difesi dall’avvocato MAURO PAOLO MAURI giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE SANT’ANTIOCO, C.F. (OMISSIS), in persona del Sindaco in

carica, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO

BARBERIO e STEFANO PORCU giusta procura a margine del controricorso

e giusta Delib. Giunta Comunale 2 luglio 2015, n. 115;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 699/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

emessa il 21/11/2014 e depositata il 17/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato Mauro Paolo Mauri, per i ricorrenti, che si riporta

all’istanza di rinunzia depositata in udienza ma già inviata a

mezzo fax in data 13/10/2016.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che il Consigliere designato, dott. A. Scalisi, ha depositato, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., la seguente proposta di definizione del giudizio:

La Corte di appello di Cagliari con sentenza n. 669 del 2014 accoglieva l’appello proposto dal Comune di Sant’Antioco, rigettava l’appello incidentale proposto dai sigg. U. e riformava la sentenza n. 2009/2008 con la quale il Tribunale di Cagliari, su domanda del Comune aveva risolto il contratto di compravendita per grave inadempimento dei venditori (i sigg. U.) dato che questi avevano garantito che l’immobile alienato fosse libero da vincoli, ipoteche, pegni etc. mentre era risultato gravato da tre ipoteche giudiziali per il valore di L. 1.580.000.000, aveva rigettato per mancanza di prova: la domanda di restituzione del prezzo corrisposto, oltre gli interessi dovuti alla Cassa Depositi e Prestiti da cui l’amministrazione aveva ottenuto l’erogazione del mutuo di pari importo, e quello di risarcimento del danno per mancata utilizzazione dell’immobile e gli interessi dovuti per il mutuo chiesto dall’amministrazione comunale per la ristrutturazione dell’immobile di cui si dice; aveva dichiarato integralmente compensate le spese del giudizio. Secondo la Corte di Cagliari il Comune di Sant’Antioco, sia pure in appello, aveva dimostrato di aver versato le somme di cui chiedeva la restituzione. La prova in appello era attività consentita posto che il giudizio era ordinato dalla normativa anteriore alla riforma del 1990.

Considerato che:

1.- Con l’unico motivo di ricorso i sigg. U. lamentano la violazione e falsa applicazione della legge con particolare riferimento all’art. 1224 cod. civ. Secondo i ricorrenti, la Corte di appello di Cagliari con la sentenza impugnata avrebbe ritenuto che il rimborso degli importi pagati dal Comune di sant’Antioco alla Cassa Debiti e prestiti per interessi corrispettivi relativo al finanziamento per l’acquisto dell’immobile di Piazza Italia, rappresentasse un debito di valore e non di valuta, ha condannato gli eredi U. solidalmente con il notaio An.Ma. al pagamento dell’importo con gli interessi e maggiorato dalla rivalutazione monetaria. Piuttosto, trattandosi di debito di valuta, perchè trattavisi di somma di denaro determinata fin dalla sua origine, il creditore avrebbe avuto diritto ai sensi dell’art. 1224 cod. civ. al rimborso della somme dovute maggiorate esclusivamente degli interessi legali se richiesti.

1.1.- Il motivo è infondato.

Come è stato affermato da questa Corte, in altra occasione, le obbligazioni di valore si qualificano tali allorchè l’oggetto diretto e originario della prestazione consista in una cosa diversa dal denaro, rappresentando la moneta solo un bene sostitutivo di una prestazione con diverso oggetto, mentre sono di valuta le obbligazioni aventi fin dall’origine ad oggetto una somma di denaro (cfr. Cassazione civile, sez. 1, sentenza del 20 gennaio 1995, n. 634). Pertanto, oggetto dei debiti di valuta è ab origine una somma di denaro determinata o, anche, solo determinabile, la quale è soggetta ex art. 1227 c.c. al principio nominalistico: le eventuali variazioni del valore reale della moneta non hanno alcuna incidenza sull’importo oggetto della prestazione, dovendo essere sempre corrisposta la somma originariamente indicata, salvo che le parti non abbia convenuto diversamente e salvo che la legge non abbia previsto delle eccezioni (a solo titolo esemplificativo si pensi alla normativa di cui alla L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 6, che, in materia di scioglimento del matrimonio, impongono l’indicizzazione dell’assegno divorziale e di quello di mantenimento della prole, attribuendo al giudice il compito di fissare un criterio di adeguamento automatico). Nei debiti di valore, invece, l’obbligazione pecuniaria non è originaria, ma rappresenta solo l’equivalente di una diversa obbligazione primaria, per cui l’oggetto della prestazione è ab origine diverso dalla dazione di una somma di denaro, che ne costituisce soltanto la traduzione in termini monetari. Sicchè, le obbligazioni aventi ad oggetto debiti di valore sono ontologicamente sottratte al principio nominalistico, perchè l’importo dovuto deve necessariamente esprimere il valore effettivo dell’obbligazione primaria sostituita e, pertanto, non resta insensibile alle oscillazioni del potere di acquisto della moneta.

Ora nel caso in esame, posto che, come ha avuto modo di chiarire la Corte distrettuale: “(….) dovendosi risarcire il danno entri limiti subiti, nel conteggio degli interessi dovuti (..)” alla Cassa Deposito e Prestiti per l’erogazione del mutuo per l’acquisto dell’immobile di cui si dice “(….) da effettuare secondo le formule matematiche relative ai piani di ammortamento (…..)” il calcolo degli interessi dovuti rappresentava un criterio di determinazione del danno subito dal Comune in conseguenza della risoluzione del contratto oggetto del giudizio e non invece una somma di denaro ab origine determinata o determinabile. In altri termini, la Corte distrettuale fa riferimento all’ammontare degli interessi che il Comune ha corrisposto alla Banca in ragione del pagamento del mutuo ottenuto per l’acquisto dell’immobile oggetto di causa, al solo fine di determinare il quantum del risarcimento dovuto dai sigg. U. al Comune. Sicchè, essendo la somma individuata (sicuramente individuabile sin dal momento della stipula del contratto risolto, sulla base del piano di ammortamento allegato al contratto di mutuo), il quantum del risarcimento dovuto al Comune per ristorare questi del danno subito a causa della risoluzione del contratto, oggetto del giudizio, non integra, come bene ha affermato la Corte distrettuale, gli estremi di un debito di valuta, come sostiene il ricorrente, ma un debito di valore. Con la conseguenza che trattandosi di debito di valore spetta anche in mancanza di domanda, la rivalutazione e il danno per la ritardata disponibilità del dovuto a decorrere da ciascun anno di riferimento, quali componenti del pregiudizio subito dovendosi reintegrare il patrimonio integralmente.

In definitiva, si propone il rigetto del ricorso. Il Consigliere relatore”.

Tale relazione veniva comunicata ai difensori delle parti in causa. In data 13 ottobre 2016 l’avv. Mauri ha depositato atto di rinuncia al ricorso sottoscritto dai sigg. U. accettata dal Comune di Sant’Antioco con dichiarazione dell’avv. Barberio.

Il Collegio, letta la memoria del ricorrente, prende atto dell’atto di rinunzia e della sua accettazione della parte intimata, ritenuto che la rinunzia al ricorso comporta l’estinzione del processo di Cassazione, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 3 (nel testo sostituito dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 1) e dell’art. 390 c.p.c.; da atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, non sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

PQM

La Corte dichiara l’estinzione del giudizio di Cassazione della causa iscritta al N. 16961 del 2015 del RG., per cessata materia del contendere.

Così deciso in Roma, nella Camera del Consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2017

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