Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10668 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. I, 13/05/2011, (ud. 14/04/2011, dep. 13/05/2011), n.10668

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 8118 del Ruolo Generale degli affari

civili dell’anno 2007 da:

T.A., T.M., A.C., tutti in

persona del procuratore speciale N.L., per procure speciali

notarili in atti (per notar Tosco di Genova dell’8 ottobre 1988 rep.

n. 14457 e per notar Corsi di Genova del 21 luglio 1995, Rep. n.

19454), elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Ricciotti n. 11,

presso l’avv. Salluzzo Anna Claudia, rappresentati e difesi dall’avv.

Pierantoni Mario del foro di Sassari, per procura a margine del

ricorso.

– ricorrente –

contro

CONSORZIO INDUSTRIALE DI INTERESSE REGIONALE (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante p.t. ai sensi dell’art. 19 n. 4

dello Statuto consortile, dr. T.E., elettivamente

domiciliato in Roma, alla Via Paolo Emilio n. 34, presso l’avv. Porru

Daniele che, anche disgiuntamente con l’avv. Antonio Serra da

Sassari, lo rappresenta e difende, per procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Gagliari, sezione

distaccata di Sassari, n. 88/06, del 9 maggio 2005 – 13 marzo 2006;

Udita, all’udienza del 14 aprile 2011, la relazione del consigliere

dott. Fabrizio Forte;

Uditi l’avv. Perantoni, per i ricorrenti, l’avv. Serra, per il

controricorrente, e il P.M. Dott. Lettieri, che conclude per il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha rigettato l’appello di T. A., T.M. e di A.C. avverso la sentenza del Tribunale di Sassari n. 510 del 30 aprile 2003, che aveva dichiarato improponibile la domanda degli appellanti di retrocessione totale dell’area di HA. 1.85.16, loro espropriata dal Consorzio Industriale di interesse regionale (OMISSIS), con decreto del 1 marzo 1983 del Presidente della Giunta regionale della Sardegna, per essere divenuta inefficace la dichiarazione di pubblica utilità a causa della decorrenza del termine finale della procedura ablatoria e dei lavori, di cui alla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 13. Gli attori, nella loro domanda, avevano dedotto che dell’area espropriata erano stati destinati a strade mq. 2.380 e a verde pubblico e a parcheggio altri spazi, ma che i singoli lotti per gli insediamenti industriali predisposti dal Consorzio non erano stati occupati dagli acquirenti con gli opifici da costruire entro il quindicennio previsto come termine finale di efficacia del piano e della relativa dichiarazione di pubblica utilità.

I singoli lotti, inutilizzati per le finalità industriali alle quali erano destinati da parte dei loro acquirenti nel termine finale indicato per l’esecuzione dei lavori, non potevano più avere la destinazione di cui al piano di sviluppo industriale, essendo questa ultima cambiata a causa dei nuovi strumenti urbanistici nelle more approvati. Si è chiesto quindi di accertare la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e di condannare il Consorzio alla retrocessione totale dei beni espropriati e al risarcimento del danno.

Il Consorzio, costituitosi, aveva eccepito il giudicato per essersi già rigettata la stessa domanda dal Tribunale di Sassari, con decisione emessa tra le stesse parti e confermata dalla Corte d’appello di Cagliari con la sentenza n.. 112 del 1995.

Era stata eccepita dal convenuto pure la pendenza di altra causa tra le stesse parti di retrocessione parziale di uno solo dei mappali oggetto della presente causa, perchè fosse dichiarata la litispendenza tra le due controversie. In ordine alla retrocessione totale già oggetto della sentenza n. 112 del 1995, questa aveva respinto la relativa domanda ritenendo che l’espropriante avesse iniziato tempestivamente le opere e realizzato per intero tutto il progetto del piano alla data della pronuncia, entro i termini di esecuzione delle opere che scadevano nel 1998, avendo predisposto e assegnato i vari lotti già nel 1983 e avendo ultimato la rete viaria primaria e quella fognaria nel 1994, individuando nello stesso terreno pure le aree destinate a. infrastrutture, come il verde e i parcheggi. In quanto nelle aree oggetto di espropriazione si erano realizzate tutte le infrastrutture primarie e secondarie e risultavano utilizzate tutte le aree espropriate con l’assegnazione dei lotti ove realizzare gli impianti, esattamente, con la sentenza citata della stessa Corte d’appello del 1995 passata in giudicato, si era dichiarato inesistente ogni “diritto” degli attori alla retrocessione totale dei beni espropriati, non potendosi operare un accertamento sostitutivo dei provvedimenti amministrativi di inservibilità delle aree inutilizzate, collegato alla sola parziale mancata utilizzazione dei lotti dedotta dagli espropriati in rapporto alla retrocessione di una parte soltanto dei terreni già espropriati, anche essa domandata. In relazione a tale pronuncia del 1995, la sentenza del Tribunale n. 510 del 13 marzo 2003 emessa nella presente causa, ha affermato che il giudicato della stessa impediva di riconoscere il diritto alla retrocessione totale dei beni e la sussistenza della litispendenza con altra causa, su domanda di retrocessione parziale di un solo mappale, data la incompatibilità di quest’ultima con l’affermata acquisizione definitiva di tutte le aree oggetto del procedimento ablatorio già rilevata.

Ad avviso del tribunale pertanto la mancanza del diritto ad ottenere la retrocessione totale di cui sopra rendeva improponibile la domanda per l’accertamento negativo compiuto definitivamente nel 1995 della mancata decadenza della dichiarazione di pubblica utilità, dovendosi respingere quella di retrocessione parziale, non potendo i manufatti costruiti essere retrocessi senza provvedimenti amministrativi che lo consentissero e comunque perchè era stata accertata con effetto di giudicato la completa realizzazione del piano con la mera assegnazione dei lotti, che costituiva lo scopo della espropriazione.

Per la cassazione di tale sentenza della Corte d’appello di Cagliari del 13 marzo 2006, hanno proposto ricorso di due motivi, il secondo dei quali articolato in più punti, A. e M. T. e A.C., con atto notificato il 7 marzo 2007, cui resiste, con controricorso notificato ai ricorrenti il 16 aprile 2007 e illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., il Consorzio industriale di interesse regionale (OMISSIS).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione dell’art. 2909 c.c., della L. 25 giugno 1865, n. 2359, 60, artt. 61 e 63 e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto le domande di retrocessione a base della presente causa coperte dal giudicato della sentenza della stessa Corte n. 112 del 24 luglio 1995, relativa ad una domanda diversa di retrocessione totale proposta nel 1986, perchè l’intera area espropriata era rimasta inutilizzata per il mancato inizio della procedura ablatoria e dei lavori nel termine fissato nella dichiarazione di pubblica utilità.

Erroneamente si è rilevato il giudicato della predetta pronuncia, in rapporto alla domanda a base di questa causa, nella quale si denuncia solo il mancato rispetto del termine finale dei lavori come causa di decadenza dei poteri espropriativi del Consorzio e della conseguente retrocessione dei beni ablati.

La Corte d’appello ha violato l’art. 112 c.p.c., non rilevando che, nel caso, la retrocessione chiesta era parziale, riguardando mq.

11.750, mentre nel 1986 atteneva all’intera superficie espropriata di mq. 18.516; essa ritiene si sia ancora richiesta la retrocessione totale e non quella parziale, che invece era oggetto della domanda che era relativa solo ad alcuni dei mappali oggetto della espropriazione.

La sentenza, ad avviso dei ricorrenti, è contraddittoria perchè, pur attestando di essere relativa ad una retrocessione totale, afferma la necessità dei provvedimenti amministrativi di dismissione dei beni inutilizzati di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 61 che la legge impone per la sola retrocessione parziale. I ricorrenti affermano che, con sentenza delle S.U. n. 1231 del 2000, relativa ad altro appezzamento di terreno oggetto di analogo esproprio nell’ambito del medesimo Piano, s’è negato il rilievo preclusivo della sentenza n. 112/95 della Corte sul diritto alla retrocessione totale per potere escludere la retrocessione parziale, riconosciuta con sentenza n. 398/2006 del Tribunale di Sassari, di cui si invoca l’efficacia di giudicato in questa sede. Il quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis, chiede a questa Corte di accertare “se il giudicato di rigetto sulla domanda di retrocessione totale di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 63 avente ad oggetto l’intera area espropriata proposta nel 1986, prima della scadenza del termine finale quindicennale dei lavori previsto nella dichiarazione di pubblica utilità, precluda la successiva domanda di retrocessione parziale degli stessi terreni, sulla base della decadenza della dichiarazione di pubblica utilità per l’inutile decorso dei quindici anni per il compimento delle opere non avvenuto e a seguito della modificazione della destinazione delle aree per la modifica degli strumenti urbanistici ostativi alla realizzazione dell’opera pubblica per cui si ebbe l’espropriazione”.

1.2. Si denuncia poi la violazione della L. 2359 del 1865, artt. 60, 61, 63 e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per non avere la Corte d’appello deciso alcunchè sulla prospettata modificazione del P.R.G. di Sassari e del Piano particolareggiato di (OMISSIS) dopo il decreto ablatorio, che avevano destinato la zona a insediamenti produttivi di nuova organizzazione, attrezzature di servizio e ricerca privata, abrogando la precedente destinazione di essa.

Si chiede con il quesito conclusivo di accertare “se la dichiarazione di pubblica utilità seguita da espropriazione finalizzata alla costruzione di ®rimpianti industriali e relative infrastrutture”, conservi la propria efficacia quando venga approvato un nuovo strumento urbanistico (PRG o PIP) che impedisca di realizzare impianti industriali prevedendo invece l’altra destinazione sopra indicata”. Nel caso di specie, in difetto della completa realizzazione di impianti industriali dagli acquirenti dei vari lotti predisposti dal Consorzio, doveva escludersi che si fossero realizzate le finalità dell’espropriazione e per la sopravvenuta impossibilità giuridica di dare esecuzione ad esse, doveva accogliersi la domanda di retrocessione anche parziale dal giudice adito.

Ad avviso della corte di merito, indipendentemente dalla costruzione degli impianti industriali nei singoli lotti dagli assegnatari, la mera individuazione di questi ultimi dal Consorzio imponeva di considerare realizzato lo scopo dell’espropriazione, non essendo compito diretto del Consorzio espropriante la costruzione degli impianti industriali cui erano tenuti i singoli assegnatari. Il quesito conclusivo del motivo di ricorso, per tale profilo, chiede alla Corte di accertare “se, in materia di consorzi di industrializzazione e di espropriazioni per la realizzazione di impianti industriali, possa qualificarsi compiuta l’opera con le sole opere di urbanizzazione e la liberazione e assegnazione delle aree entro i termini di efficacia indicati nella dichiarazione di pubblica utilità”.

La stessa Corte afferma erroneamente che le opere di urbanizzazione non furono tutte realizzate nel quindicennio perchè, successivamente al termine finale del piano, furono costruite reti minori infrastrutturali, come quella idrica, le canalizzazioni telefoniche e la rete elettrica, così contraddittoriamente ammettendo il mancato completamento nel termine finale dei lavori. I ricorrenti deducono che non è più necessario alcun atto amministrativo di inutilizzabilità delle aree espropriate già destinate dai nuovi strumenti urbanistici ad altri fini, per cui non si verte in una ipotesi di retrocessione parziale nè vi è difetto di giurisdizione dell’A.G.O. per la sussistenza di soli interessi legittimi alla restituzione, essendovi un diritto soggettivo alla retrocessione, concludendo il ricorso con il seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: “se sorga il diritto alla retrocessione dei beni espropriati parzialmente utilizzati, ove l’opera per la quale vi fu l’espropriazione non possa più realizzarsi per essere intervenuta la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità a causa del decorso del termine di quindici anni per il completamento dei lavori”.

1.3. Il controricorrente Consorzio che anzitutto eccepisce la inammissibilità del ricorso con procura a margine alla quale non sarebbe riconoscibile la natura speciale, deduce, in ordine al primo motivo di ricorso che esso è infondato, essendovi il giudicato sostanziale in ordine alla premessa logica della decisione del 1995 che ha ritenuto all’epoca completamente eseguita l’opera pubblica per cui vi fu l’esproprio negando ogni tipo di retrocessione, con assorbimento di ogni altra questione sul tipo di retrocessione in concreto richiesta in questa sede. La Corte d’appello ha anche essa motivatamente escluso la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità, avendo il Consorzio esaurito tutti gli oneri a suo carico per realizzare il piano industriale per il quale i terreni dei ricorrenti furono espropriati ed ha chiarito che i nuovi strumenti urbanistici non sono incompatibili con le strutture viarie e i servizi realizzati dal Consorzio, per cui è da negare la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità per effetto della loro approvazione.

2. Preliminarmente deve rigettarsi l’eccezione proposta nel controricorso di inammissibilità della impugnazione, come precisata anche nella memoria illustrativa, per la quale non potrebbe riconoscersi natura “speciale” alla procura a margine del ricorso per i riferimenti in essa contenuti a poteri esercitabili solo in sede di giudizio di merito e non in cassazione.

Si è già affermato che “il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione, essendo per sua natura speciale, non richiede ai fini della sua validità alcuno specifico riferimento ai giudizi in corso, sicchè risultano irrilevanti sia la mancanza di uno specifico richiamo al giudizio di legittimità sia il fatto che la formula adottata faccia cenno a poteri e facoltà solitamente rapportabili al giudizio di merito” (Cass. 17 dicembre 2009 n. 26504) e quindi il ricorso è ammissibile.

2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato, per la parte in cui non è inammissibile.

Invero la sentenza impugnata rileva il giudicato della motivazione della pronuncia n. 112 del 1995 della stessa Corte d’appello, rilevando che dal suo contenuto che essa condivide e fa proprio, emerge la ratio della negata decadenza della dichiarazione di pubblica utilità utilizzabile anche in questa sede, anche se nell’altra decisione la violazione denunciata attiene ai termini di inizio della procedura ablatoria e dei lavori e non alla mancata esecuzione dei lavori nel termine finale, come in questa causa.

In entrambi i giudizi si è definita la esecuzione del Piano come completata con la realizzazione della infrastrutture essenziali e la individuazione dei singoli lotti da assegnare ai privati, essendo tali circostanze sufficienti a far ritenere realizzato il fine di pubblica utilità del piano e dell’opera, anche se non erano stato costruiti dagli assegnatari gli impianti industriali. In tale contesto che attiene alla concreta utilizzazione di tutta l’area espropriata per l’opera per cui avvenne l’espropriazione, affermata nel 1995 con sentenza passata in giudicato e la decisione oggetto di ricorso fa propria la motivazione della sentenza del 1995, in rapporto alla situazione di fatto attuale delle aree espropriate e pertanto, anche a non volere estendere il giudicato al dedotto e al deducibile e alla motivazione della sentenza tra le stesse parti con oggetto analogo (Cass. 30 settembre 2009 n. 15343), giustifica il rigetto della retrocessione per la conclusione dell’attuazione del piano con la mera individuazione dei lotti da assegnare, così come aveva deciso la sentenza n. 112 del 1995, negando allo stesso modo che si versi in una ipotesi di mancata utilizzazione totale o parziale delle aree espropriate, per non essersi realizzati dagli assegnatari acquirenti gli opifici industriali che essi erano tenuti a costruire. E’ incensurata l’affermazione dei giudici di merito che l’opera per la quale è avvenuto l’espropriazione è stata completata, come già rilevato dalla motivazione identica sul punto della sentenza n. 112 del 1995, per cui il primo motivo di ricorso, non fondato in rapporto alla valutazione del giudicato come prospettata dai giudici di merito ed estesa alla motivazione della sentenza del 1995 con identico oggetto tra le stesse parti, è in ogni caso inammissibile, perchè non censura adeguatamente la tesi adottata nel merito dalla pronuncia impugnata, per la quale è sufficiente ad escludere ogni diritto alla retrocessione, il completamento delle infrastrutture principali e la individuazione e assegnazione dei lotti destinati agli insediamenti produttivi avvenuta prima del mutamento di destinazione urbanistica della zona in cui sono le aree oggetto della domanda.

E’ quindi irrilevante il collegamento della denegata retrocessione ad una carenza di potere dell’autorità espropriante connessa alla violazione dei termini di inizio della procedura ablatoria e dei lavori, posti a base della domanda del 1986 ovvero a quella del termine finale dei lavori dopo quindici anni dalla dichiarazione di cui alla domanda introduttiva del presente giudizio, una volta non impugnata la negazione della sopravvenuta carenza di potere del Consorzio di rimanere titolare delle aree espropriate, per essere completate le opere del piano nella situazione di fatto esistente nella quale non è dato rilievo alla costruzione degli opifici nei singoli lotti assegnati. La nuova sentenza del Tribunale di Sassari in sede di rinvio, della quale si invoca il giudicato esterno in questa sede, per negare ogni preclusione alla domanda di retrocessione parziale proposta, è stata emessa per effetto della sentenza della S.U. 29 novembre 2000 n. 1231, ma non ha rilievo in questa sede, perchè in quel caso, come risulta già dalla pronuncia di legittimità, l’autorizzazione a realizzare opere diverse da quelle a cui era finalizzato l’espropriazione da parte del Consorzio, aveva evidenziato la volontà di quest’ultimo di non utilizzare le aree al fine originariamente previsto nella dichiarazione di pubblica utilità, mentre in rapporto alla domanda proposta in questa sede, tutte le opere per la industrializzazione sono state ritenute completate. Nei sensi indicati deve quindi darsi risposta negativa al quesito di diritto conclusivo del primo motivo di ricorso, nessun rilievo avendo le statuizioni circa la dichiarazione di pubblica utilità delle due sentenze i cui effetti si raffrontano, ritenendosi invece preclusivo l’accertamento di merito condiviso da ambedue le sentenze sulla conclusione dei lavori entro i termini di efficacia del piano attuato dal Consorzio.

2.2. Il secondo motivo di ricorso che sollecita una diversa valutazione della domanda originaria dei ricorrenti come di retrocessione parziale, perchè relativa solo a parte delle aree espropriate, da non condizionare alla dichiarazione di inutilizzabilità delle aree da restituire da parte del Consorzio in ragione della modifica della destinazione di zona operata con i nuovi strumenti urbanistici approvati nelle more, resta assorbito da quanto affermato nel rigetto del primo motivo di ricorso, dovendosi negare vi sia alcun terreno inutilizzato e da restituire nella concreta fattispecie, senza rilevare il difetto di giurisdizione comunque implicitamente escluso dalla mancata impugnazione in appello per tale profilo della decisione del Tribunale (così da S..U. 9 ottobre 2008 n. 27348 a S.U. ord. 28 gennaio 2011 n. 2067).

3. In conclusione, il ricorso deve complessivamente essere rigettato e le spese di questa fase di legittimità vanno poste a carico dei ricorrenti, nella misura che si liquida in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a pagare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 8.200,00 (ottomiladuecento/00), di cui Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 14 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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