Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10668 del 02/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 02/05/2017, (ud. 23/03/2017, dep.02/05/2017),  n. 10668

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9086-2015 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA C.F. (OMISSIS),in persona dell’Amministratore

Delegato e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato

ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

N.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ARCHIMEDE 10, presso lo studio dell’avvocato VIVIANA CALLINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RAFFAELE DE GIROLAMO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7727/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2017 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. La Corte di Appello di Roma confermava la decisione del primo giudice, nella parte in cui aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro, intercorso tra M.B. e Poste Italiane s.p.a., relativo al periodo dal 2 gennaio al 31 marzo 2004, ed accertato la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le parti, con condanna della società alla riammissione in servizio del lavoratore; la riformava sul capo relativo alla conseguenze economiche derivanti dalla declaratoria di nullità del termine e, in applicazione dello lus superveniens costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, determinava in cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto la misura dell’indennità prevista dal citato art. 32;

2. il termine era stato apposto per “esigenze di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio di recapito/smistamento e trasporto, presso la filiale di Frosinone assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro nel periodo dal 2 gennaio al 31 marzo 2004”;

3. per la Corte territoriale il contratto in esame non precisava, in concreto, la incidenza delle assenze con riferimento specifico alla struttura alla quale il lavoratore sarebbe stato addetto ed alle mansioni svolte; non era individuabile il nesso causale tra l’assunzione del predetto e le esigenze dichiarate dalla società, non potendo le dimensioni e la complessità organizzativa della datrice di lavoro valere ad attenuare l’onere di specificazione, e poi di prova, circa la effettiva esistenza delle ragioni giustificative dell’apposizione del termine; nel caso in esame, la enunciazione delle ragioni non consentiva di individuare il numero dei lavoratori da sostituire, le loro mansioni, il loro diritto alla conservazione del posto e non presentava, in generale, quegli elementi ulteriori rispetto alla semplice indicazione dell’esigenza sostitutiva, e cioè quella specificazione delle ragioni idonea a consentire al lavoratore la riconoscibilità e la verificabilità della motivazione addotta già nel momento della stipula del contratto;

4. propone ricorso Poste Italiane, affidato a quattro motivi, ulteriormente illustrati con memoria;

5. M. ha resistito con controricorso;

6. il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

7. il primo motivo – con il quale viene dedotta violazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2 e “nullità del precedimento (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), avendo il giudice del gravame rigettato l’eccezione di definitivo scioglimento del rapporto per tacito mutuo consenso dei contraenti senza tener conto che il comportamento inerte delle parti evidenziava il disinteresse al suo ripristino – è manifestamente infondato;

8. con plurime decisioni questa Corte ha affermato che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v, Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonchè più di recente, Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932)”;

9. la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine “è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso” (v. Cass. 15- 112010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre, Cass. 1- 2-2010 n. 2279);

10. l’indirizzo prevalente ormai consolidato si basa sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto;

11. nella vicenda all’esame la Corte d’Appello ha rilevato che il mero decorso del tempo (nel caso in esame di pochi mesi), in assenza di ulteriore allegazioni e prove significative della volontà negoziale contraria alla prosecuzione del rapporto non costituiva circostanza certamente incompatibile con la volontà di dar corso alle azioni a tutela dei propri diritti, con accertamento di fatto aderente ai richiamati principi e non incrinato dalle censure della società ricorrente, incentrate su una diversa lettura delle emergenze fattuali inidonee a dimostrare l’esistenza di un volontà risolutiva;

12. con il secondo articolato motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, in relazione agli artt. 115, 245, 421 e 437 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) in quanto il giudice del gravame erroneamente aveva ritenuto illegittima l’apposizione del termine nonostante la prova delle esigenze sostitutive fosse stata articolata e avesse omesso di considerare le prove dedotte per dimostrare l’effettiva ricorrenza in concreto dell’esigenza sostitutiva;

13. il giudice di appello ha ritenuto la clausola appositiva del termine priva di specificità difettando di qualsiasi riferimento ad alcuna circostanza concreta; in particolare il contratto era carente di indicazioni in ordine alle ragioni dell’assenza dei lavoratori da sostituire e del diritto degli assenti alla conservazione del posto (malattia, infortunio, ferie congedi…) e, in particolare, mancando in essa ogni correlazione tra le assenze riferite alla filiale di (OMISSIS) e la specifica unità organizzativa alla quale il lavoratore sarebbe stato addetto, tanto precludendo anche la verifica in concreto dell’effettiva sussistenza della causale;

14. Le ragioni esplicitate in sentenza in ordine alla ritenuta carenza di specificità della clausola appositiva del termine non sono validamente censurate;

15. questa Corte, con riferimento alle ragioni di carattere sostitutivo, ha ritenuto legittima la causale se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali, l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando in ogni caso la verificabilità della sussistenza effettiva del presupposto di legittimità prospettato (v. fra le altre, Cass. n. 565 del 2012, Cass. n. 8966 del 2012, n. 6216 del 2012, n. 8647 del 2012 n. 13239 del 2012, n. 9602 del 2011, n. 14868 del 2011);

16. La decisione impugnata risulta conforme alle indicazioni del giudice di legittimità e la valutazione del giudice di appello si sottrae al sindacato di legittimità invocato da Poste, attesa la individuata carenza di specificazione di tutti quegli elementi “ulteriori” quali il luogo ove si era determinata la necessità di sostituzione del personale e le ragioni delle assenze di quest’ultimo, parametri valutativi indispensabili per ritenere validamente stipulato il contratto in conformità alla previsione normativa;

17. i profili del mezzo d’impugnazione che investono la verifica della sussistenza in concreto delle esigenze sostitutive, risultano pertanto inconferenti;

18. il terzo mezzo, con il quale viene lamentata violazione e falsa applicazione dell’art. 1419 c.c. in quanto erroneamente la Corte di merito avrebbe ritenuto che dalla illegittimità apposizione del termine dovesse derivare la conversione del contratto in un rapporto a tempo indeterminato, è destituito di fondamento alla luce della giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. n. 3994 del 27 febbraio 2015; Cass. n. 17619 del 2014), da ribadirsi anche in questa sede, secondo cui il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”;

19. in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto) e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato da Corte cost. n. 210/92 e n. 283/05, all’illegittimità del termine e alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

20. il quarto mezzo, con il quale viene denunciata violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 8 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) deducendosi che la Corte di appello aveva proceduto ad una valutazione del tutto apparente dei criteri di cui alla citata norma, è inammissibile;

21. in applicazione dei principi generali in materia di sindacato di legittimità, con particolare riferimento all’art. 360 c.p.c., deve affermarsi, coerentemente con quanto più volte statuito da questa Corte in tema di indennità di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8 (cfr. Cass. 5 gennaio 2001 n. 107; Cass. 15 maggio 2006 n. 11 107; Cass. 14 giugno 2006 n. 13732; da ultimo, con riferimento all’art. 32 comma 5, per tutte, vedi Cass. n. 8747/2014) che la determinazione tra il minimo e il massimo della misura dell’indennità de qua spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria;

22. nel caso all’esame la Corte territoriale ha tenuto conto dei criteri stabiliti nella L. n. 604 del 1966, art. 8, ed ha concluso nel senso che ha ritenuto congruo determinare l’indennità onnicomprensiva in cinque mensilità in considerazione delle notevoli dimensioni aziendali e della limitata durata dell’assunzione a termine effettuata con l’unico contratto dedotto in giudizio;

23. al rigetto del ricorso segue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo;

24. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass. Sez. Un. 22035/2014 e alle numerose successive conformi) e di provvedere in conformità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1 – bis.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2017

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