Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10664 del 23/05/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 10664 Anno 2016
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI

Data pubblicazione: 23/05/2016

SENTENZA

sul ricorso 13823-2013 proposto da:
TRENITALIA S.P.A. C.F. 05403151003, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2016
935

contro
SECONDI SALVATORA, GEAS SOCIETA’ CONSORTILE A RL
– intimati –

avverso la sentenza n. 71/2013 della CORTE D’APPELLO

k0/

DI CAGLIARI – SEZ.DIST. DI SASSARI, depositata il
13/03/2013 R.G.N. 254/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/03/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO
PIERGIOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato MARESCA ARTURO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RICCARDO FUZIO che ha concluso per
accoglimento assorbito il quarto motivo del ricorso.

ti/17

RG 13823/2013

FATTO
Con sentenza 13 marzo 2013, la Corte d’appello di Cagliari, s,d. di Sassari, rigettava
l’appello proposto da Trenitalia s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva

essa e alla datrice Geas s.c.ar.l. (contumace in entrambi i gradi), in via solidale al sensi
dell’art. 29, secondo comma dig. 276/2003 (quale committente nel rapporto di appalto
con la seconda per i servizi e le pulizie del materiale rotabile del lotto 15 Sardegna), il
pagamento, in favore di Salvatora Secondi, dipendente della società appaltatrice (che vi
aveva lavorato da aprile 2006 a dicembre 2010), della somma di C 11.179,19 a titolo di
T.f.r., ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità, indennità per ferie non godute,
oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.
A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva l’infondatezza dell’appello,
meramente ripropositivo di argomentazioni già disattese dal primo giudice, ribadendo in
particolare l’applicabilità alla committente, in quanto soggetto privato, del regime di
solidarietà previsto dall’art. 29, secondo comma d.lg. 276/2003 (e non del d.Ig.
163/2006, recante codice degli appalti pubblici) e l’infondatezza della prospettata
questione di (iplegittimItà costituzionale della prima norma citata, nell’insussistenza di
violazioni di alcun parametro, né sotto il profilo dell’art. 3, né dell’art. 24 Cost. o di
eccesso di delega. Essa rilevava poi l’assenza di contestazioni sulla qualità di lavoratrice
nell’appalto di Secondi e neppure sull’entità della retribuzione ed infine riteneva
l’inammissibilità, per novità, della differente natura (risarcitoria) dell’indennità sostitutiva
delle ferie, pertanto da escludere dall’obbligo di solidarietà legale.
Con atto notificato il 1° giugno 2013, Trenitalia s.p.a. ricorre per cessazione con quattro
motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.; Salvatore Secondi e Geas
s.c.ar.l. sono rimasti intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 29
dig. 276/2003, 118, sesto comma dig. 163/2006 e 5 d.p.r. 207/2010, in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per la propria soggezione, in quanto

“ente

aggiudicatore nel campo dei servizi ferroviari” (secondo l’ali. D al clig. 163/2006) in

relazione ai servizi sussidiari prestati per il settore trasporti (pulizia dei rotabili ferroviari
e altri servizi connessi), al regime di responsabilità previsto dal citato decreto, di

respinto l’opposizione avverso il decreto con cui lo stesso Tribunale aveva ingiunto ad

RG 13823/2013
disciplina degli appalti pubblici, modulato sulla solidarietà solo tra appaltatore e
subappaltatore, nel coinvolgimento del committente soltanto nei limiti della disciplina
generale prevista dall’art. 1676 c.c.
Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 29 dig.

erronea inclusione nel regime di garanzia solidale del committente nei confronti dei
lavoratori impiegati nell’appalto, previsto soltanto per i “trattamenti retributivi”, anche
del credito per T.f.r., non riconducibile a detta nozione, come comprovato dalla
successiva modificazione della norma denunciata, per effetto dell’art. 21, primo comma
d.l. 5/2012, conv. con mod. in I. 35/2012, correttamente ritenuto non applicabile,
estensivo della garanzia legale per i trattamenti retributivi

“comprese le quote di

trattamento di fine rapporto … in relazione al periodo di esecuzione del contratto di
appalto”.
Con il terzo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 437 c.p.c., in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea assunzione della novità in appello della dedotta
esclusione dalla garanzia solidale prevista dall’art. 29, secondo comma cl.1g. 276/2003
per l’indennità sostitutiva delle ferie, in quanto di natura risarcitoria: non già eccezione in
senso stretto, ma mera integrazione in diritto di un’allegazione in fatto tempestivamente
introdotta in primo grado, con la contestazione dell’applicabilità alla fattispecie della
normativa invocata a fondamento della pretesa della lavoratrice.
Con il quarto, la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia sul motivo di appello riguardante il
difetto di legittimazione passiva dell’appaltatrice datrice Geas s.c.ar.l. (e, di conseguenza,
propria), in ragione del trasferimento del debito per T.f.r., con decorrenza dal gennaio
2007, secondo le illustrate modalità previste dal dig. 252/2005, al Fondo di Tesoreria
istituito presso l’Inps.
In via preliminare deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso nei confronti di Geas
s.c.ar.I., in quanto non notificatole, non avendo avuto seguito l’omessa notificazione
“perchè trasferita altrove come da informazioni ivi assunte”, secondo la risultanza della
relazione dell’ufficiale giudiziario del 31 maggio 2013.
La scindibilità delle cause, per la natura solidale della responsabilità della committente
Trenitalia s.p.a. e dell’appaltatrice Geas s.c.ar.l. nei confronti della lavoratrice dipendente
della seconda, comporta la formazione del giudicato sulla sentenza della Corte territoriale
nei soli confronti della parte non attinta dalla notificazione del ricorso (Cass. 19 luglio
2004, n. 13334).

276/2003, 2094 e 2099 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per

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Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 29 d.Ig. 276/2003,
118, sesto comma d.Ig. 163/2006 e 5 d.p.r. 207/2010, per la soggezione di Trenitalia
s.p.a. al regime di responsabilità previsto dal codice di disciplina degli appalti pubblici, è
infondato.

dell’occupazione e del mercato del lavoro e quindi della tutela delle condizioni dei
lavoratori (clig. 276/2003) e dei contratti pubblici (c1.1g. 163/2006) e dei relativi regimi di
responsabilità: solidale dei committente con l’appaltatore per i trattamenti retributivi e i
contributi previdenziali da questo dovuti ai suoi lavoratori dipendenti (art. 29, secondo
comma d.Ig. 276/2003); diretta dell’appaltatore nei confronti dei propri dipendenti e
solidale con i subappaltatori per i loro per l’osservanza integrale del trattamento
economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore
per il settore e la zona di esecuzione delle prestazioni (art. 118, sesto comma d.Ig.
163/2006) e sostitutiva del committente (stazione appaltante) in caso di inadempienza
contributiva e retributiva dell’esecutore e dell’appaltatore (artt. 4 e 5 d.p.r. 207/2010,
recante regolamento di esecuzione ed attuazione del d.Ig. 163/2006, codice dei contratti
pubblici).
Come noto, la questione è stata risolta negativamente da un recente arresto di questa
Corte (Cass. 7 luglio 2014, n. 15432) in riferimento alle pubbliche amministrazioni (nel
caso di specie: ministero della giustizia). E ciò appare chiaro fin dall’esordio della sua
parte motiva, secondo cui: “La questione centrale per il presente giudizio è rappresentata
dallo stabilire se la delineata disciplina della responsabilità solidale tra committente e
appaltatore sia applicabile anche agli appalti pubblici e, conseguentemente, se gli obblighi
posti in capo al committente dall’art. 29 d./g. 276/2003 si applichino anche nell’ipotesi in
cui lo stesso sia una pubblica amministrazione’.
In esito ad un articolato procedimento argomentativo, di individuazione delle disposizioni
regolanti i rapporti tra i soggetti coinvolti nell’appalto pubblico e l’osservanza dei loro
obblighi retributivi e contributivi

(“Dall’insieme di tali disposizioni’ –

essenzialmente

quelle sopra citate – “si desume che a garanzia dei crediti retributivi e contributivi dei
lavoratori impegnati negli appalti – o nei subappalti – pubblici sono previsti specifici
strumenti che, se attivati nei tempi e nei modi prescritti, consentono agli interessati di
avere direttamente dall’amministrazione committente il pagamento delle retribuzioni
dovute dal loro datore di lavoro anche in corso d’opera. Al contempo, con l’attivazione di
tale tutela speciale, il lavoratore può consentire al committente di applicare le opportune
sanzioni … al datore di lavoro inadempiente ed ottenere un ristoro pieno del proprio

Esso pone la questione della compatibilità tra le due normative di disciplina della materia

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credito per le retribuzioni corrisposte ai lavoratori, obiettivo raggiungibile anche
“detraendo il relativo importo dalle somme dovute all’esecutore del contratto ovvero dalle
somme dovute al subappaltatore inadempiente nel caso in cui sia previsto il pagamento
diretto ai sensi degli art. 37, comma 11, ultimo periodo e art. 118, comma 3, primo

degli appalti (anche) a tutela della natura pubblica della comrnittenza

(“Da tutto ciò si

desume che il mancato pagamento delle retribuzioni nell’ambito di un appalto pubblico è,
dal legislatore, considerato più grave del mancato pagamento delle retribuzioni
nell’ambito di un appalto privato, perché la questione non riguarda solo i lavoratori, ma
anche ?appaltatore inadempiente, nel suo rapporto con il committente pubblico”), la
Corte, previsto in via sussidiaria il ricorso dei lavoratori alla tutela stabilita dall’art. 1676
c.c. (“che in base ad orientamenti consolidati e condivisi di questa Corte, è applicabile
anche ai contratti di appalto stipulati con le pubbliche amministrazioni”),

risolve la

questione nel senso detto, di inapplicabilità della responsabilità prevista dall’art. 29,
secondo comma c1.1g. 276/2003 alle pubbliche amministrazioni con l’affermazione del
seguente principio di diritto: “per i contratti pubblici di appalto relativi a lavori, servizi e
forniture, in caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni o dei contributi dovuti al
personale dipendente dell’esecutore o del subappaltatore o dei soggetti titolari di
subappalti e cottimi di cui all’art. 118, comma 8, ultimo periodo, del relativo codice, di cui
al D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, i lavoratori devono avvalersi degli speciali strumenti di
tutela previsti dal codice citato, le cui modalità di utilizzazione sono determinate, in
particolare, dagli artt. 4 (per i contributi) e 5 (per le retribuzioni) del D.P.R. 5 ottobre
2010, n. 207 (recante il Regolamento di esecuzione ed attuazione del suddetto codice).
Tale disciplina che, peraltro, consente agli interessati di recuperare – anche in corso
d’opera – quanto dovuto, è articolata in modo tale da dimostrare che, nell’ambito degli
appalti pubblici, il legislatore attribuisce allo scorretto comportamento tenuto dal datore
di lavoro nei confronti dei propri dipendenti un disvalore maggiorato dal fatto di
considerarlo anche lesivo degli interessi pubblici al cui migliore perseguimento è
preordinata la complessiva disciplina regolatrice degli appalti pubblici. Ne consegue che
alla suindicata fattispecie non è applicabile il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2,
come peraltro stabilisce il precedente art. 1, comma 2, che esclude che il decreto stesso
sia applicabile “per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale” e come, di
recente ha confermato dal D.L. 28 giugno 2013, n. 76, art. 9, comma, (convertito dalla L.
9 agosto 2013, n. 99). Viceversa nel caso di mancata utilizzazione da parte dei lavoratori
degli strumenti previsti dalla suindicata normativa speciale, è possibile fare ricorso, in via

periodo del codice”), da cui trae la constatazione della più rigorosa disciplina del codice

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residuale, alla tutela di cui all’art. 1676 cod. civ., che in base alla consolidata
giurisprudenza di questa Corte, è applicabile anche ai contratti di appalto stipulati con le
pubbliche amministrazioni”.
E ciò si spiega per l’espresso divieto di applicazione del d.Ig. 276/2003 alle pubbliche

applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale”),

ulteriormente

ribadito da quello più specifico introdotto dall’art. 9, primo comma d.l. 76/2013 conv. con
mod. in I. 99/2013 (inapplicabile ratione temporis, ma utilizzabile in via interpretativa,
come anche ritenuto da Cass. 7 luglio 2014, n. 15432), secondo cui:

“Le disposizioni di

cui all’articolo 29, comma 2 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e
successive modificazioni … non trovano applicazione in relazione ai contratti di appalto
stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165” (secondo cui:

“Per amministrazioni pubbliche si

intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni
ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad
ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro
consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le
Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti
pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli
enti del Servizio sanitario nazionale”).
Ma un analogo divieto di applicazione dell’art. 29, secondo comma d.Ig. 276/2003 non
esiste nei confronti dei soggetti privati, quale Trenitalia s.p.a., cui pure si applica il codice
dei contratti pubblici, nella sua qualità di “ente aggiudicatore”, secondo la definizione
dell’art. 3, ventinovesimo comma c1.1g. 163/2006 (nel campo dei servizi ferroviari in base
all’allegato VI D ed ai fini dell’applicazione della parte

111, artt. 206 ss., secondo la

previsione del’art. 3, trentesimo comma d.Ig. cit.) e quindi anche l’art. 118, sesto
comma, neppure essendo la norma in esame stata abrogata dall’art. 256 d.1g. cit.
Giova poi ancora sottolineare come il codice dei contratti pubblici non contenga una
disciplina di legge autosufficiente, in sé esaustiva né aliunde integrabile: al contrario,
esso è compatibile con disposizioni ad esso esterne, come chiaramente denunciato dal
rinvio, per quanto in esso non espressamente previsto in riferimento all’attività
contrattuale, alle disposizioni stabilite dal codice civile (art. 2, quarto comma
163/2006). E proprio in virtù di un tale

rimando,

nei confronti delle pubbliche

amministrazioni, cui è preclusa per espresso divieto di legge l’integrazione con il c1.1g.
276/2003, sì è ritenuto applicabile il regime di garanzia dei lavoratori (più in generale

amministrazioni, a norma del suo art. 1, secondo comma (“Il presente decreto non trova

RG

13823/2013

degli ausiliari) dell’appaltatore previsto dall’art. 1676 c.c. (ancora da Cass. 7 luglio 2014,
n. 15432).
Sicchè, ben a ragione si deve ritenere applicabile II regime di responsabilità solidale
stabilito dall’art. 29, secondo comma clig. 276/2003 a quei soggetti privati, quale
Trenitalia s.p.a., anche qualora committenti in appalti pubblici, alla cui disciplina pure

Ed infatti, nessuna incompatibilità è ravvisabile tra le due discipline.
Il dig. 276/2003 regola la materia dell’occupazione e del mercato del lavoro, sul piano
della tutela delle condizioni dei lavoratori, con riserva di una più forte protezione ad essi,
titolari di un’azione diretta nei confronti (in via solidale con il proprio datare di lavoro) del
committente per ottenere i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti in
dipendenza dell’appalto e non soltanto, come a norma dell’art. 5, primo comma d.p.r.
207/2010, le retribuzioni arretrate (peraltro nei limiti delle somme dovute all’esecutore
del contratto ovvero al subappaltatore inadempiente nel caso in cui sia previsto il
pagamento diretto, con detrazione da queste del loro importo): e ciò non per
riconoscimento di un proprio diritto, ma per esercizio di una facoltà (“possono pagare
anche in corso d’opera”) attribuita ai soggetti indicati dall’art. 3, primo comma, lett. b)
d.p.r. cit.

(“amministrazioni aggiudicatric -i, organismi di diritto pubblico, enti

aggiudicatori, altri soggetti aggiudicatori, soggetti aggiudica tori e stazioni appaltanti: i
soggetti indicati rispettivamente dall’art. 3, commi 25, 26, 29, 31, 32 e 33, del codice”).
Il dig. 163/2006 opera, invece, sul diverso piano della disciplina degli appalti pubblici,
anche apprestando una tutela ai lavoratori, nei limiti detti, in corso d’opera, ma con più
intensa concentrazione sull’esecuzione dell’appalto in conformità a tutti gli obblighi
previsti dalla legge: e ciò mediante un costante monitoraggio dell’osservanza dei loro
regolare adempimento a cura dell’appaltatore e dei suoi subappaltatori, per effetto di una
disciplina sintomatica di una più preoccupata attenzione legislativa alla corretta
esecuzione dell’appalto pubblico, siccome non riguardante soltanto diritti dei lavoratori,
ma anche l’appaltatore inadempiente nel suo rapporto con il committente pubblico (come
osservato anche da Cass. 7 luglio 2014, n. 15432).
Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente la possibilità di un concorso, nei
confronti di un imprenditore soggetto di diritto privato come Trenitalia s.p.a., delle due
discipline, in assenza di un espresso divieto di legge e tra loro, per le ragioni dette, ben
compatibili.

siano soggetti.

RG 13823/2013
Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 29 d.Ig. 276/2003,
2094 e 2099 c.c., per erronea inclusione nei regime di garanzia solidale del committente
nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto anche del credito per T.f.r., è infondato.
Ed infatti, esso deve a pieno titolo essere compreso tra i “trattamenti retributivi” previsti

del giudice competente da adire dal lavoratore che, deducendo l’illegittimità della
trattenuta sulla retribuzione effettuata a titolo di T.f.r. e di indennità di mancato
preavviso, agisca contro l’appaltatore e il committente, facendo valere nei confronti di
quest’ultimo la responsabilità solidale con il primo ai sensi dell’art. 29, secondo comma
d.1g. cit.: Cass. 31 luglio 2013, n. 18384).

E ciò per il carattere retributivo e

sinallagmatico del T.f.r., che ne costituisce la natura di istituto di retribuzione differita
(Cass. 8 gennaio 2016, n. 164; Cass. 14 maggio 2013, n. 11479; Cass. 22 settembre
2011, n. 19291, con particolare riguardo a cessione d’azienda soggetta al regime previsto
dall’art. 2112 c.c.).
Una tale interpretazione ha quindi trovato conferma, sul piano del diritto positivo,
nell’esplicita previsione nell’inclusione delle quote di T.f.r. nei trattamenti retributivi, in
relazione ai periodi di esecuzione dell’appalto, del cui pagamento solidalmente
responsabile il committente, ai sensi dell’art. 29 d.Ig. 276/2003, come modificato dall’art.
21, primo comma d.l. 5/2012 conv. con mod. in I. 35/2012.
Il terzo motivo, relativo a violazione dell’art. 437 c.p.c., per erronea assunzione della
novità in appello della dedotta esclusione dalla garanzia solidale prevista dall’art. 29,
secondo comma d.19. 276/2003 per l’indennità sostitutiva delle ferie, in quanto di natura
risarcitoria, è infondato.
La generica prospettazione di integrazione “in diritto” senza alterazione delle allegazioni
introdotte in primo grado (penultimo capoverso di pg. 26 del ricorso), indubbiamente
carente sotto il profilo dell’autosufficienza per la mancata specifica indicazione e
trascrizione della allegazione tempestivamente dedotta in primo grado (Cass. 9 aprile
2013, n. 8569; Cass. 16 marzo 2012, n. 4220), non assolve all’obbligo di puntuale
dimostrazione della tempestiva contestazione a pena di decadenza, ai sensi dell’art. 416
c.p.c. Né, d’altro canto, il divieto di nova in appello, ai sensi dell’art. 437 c.p.c., riguarda
soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma anche le contestazioni nuove, non
esplicitate in primo grado: e ciò per l’evidente modificazione dei temi di indagine (e
trasformazione del giudizio di appello da revisio prioris instantiae in iudicium novum,
estraneo al vigente ordinamento processuale), con alterazione così della parità delle
parti, comportando l’esposizione dell’altra parte all’impossibilità di chiedere l’assunzione

dall’art. 29 d.Ig. 276/2003 (in questo senso, in più specifico riferimento all’individuazione

RG 13823/2013
di quelle prove alle quali, in ipotesi < abbia rinunciato, confidando proprio nella mancata contestazione ad opera dell'avversario (Cass. 28 febbraio 2014, n. 4854; Cass. 10 giugno 2009, n. 13369; Cass. 22 febbraio 2008, n. 4583). Il quarto motivo, relativo a violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul (e, di conseguenza, della ricorrente) per il trasferimento del debito per T.f.r. con decorrenza dal gennaio 2007 al Fondo di Tesoreria istituito presso l'Inps, è inammissibile. Su detta legittimazione è, infatti, precluso ogni esame, per la formazione di giudicato interno, ben rilevabile d'ufficio (Cass. 18 marzo 2014, n. 6246), al pari di quello esterno (Cass. 16 marzo 2010, n. 6326; Cass. su. 25 maggio 2001, n. 226) sull'accertamento di legittimazione passiva di Geas s.c.ar.l. (Cass. 16 ottobre 2015, n. 20928; Cass. 27 ottobre 2014, n. 22781), a seguito dell'accertata inammissibilità del ricorso nei suoi confronti per omessa notificazione. Dalle superiori argomentazioni discende coerente l'inammissibilità del ricorso nei confronti di Geas s.c.ar.l. ed il suo rigetto nei confronti di Salvatora Secondi; senza alcun provvedimento sulle spese, per la mancata costituzione in giudizio delle parti vittoriose. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di Geas s.c.ar.l. e lo rigetta nei confronti di Salvatora Secondi; nulla sulle spese. Ai sensi dell'art. 13, comma 1quater d.p.r. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma lbis dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma, il 2 marzo 2016 Il Presidente motivo di appello di difetto di legittimazione passiva dell'appaltatrice datrice Geas s.c.ar.l.

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