Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10662 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. I, 13/05/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 13/05/2011), n.10662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

A.A., + ALTRI OMESSI

;

elettivamente domiciliati in ROMA, LUNGOTEVERE PIETRA PAPA 185,

presso l’avvocato DONATI SIMONA, rappresentati e difesi dall’avvocato

NOCELLA MARCO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

22/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2011 dal Consigliere Dott. CARLO DE CHIARA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinti ricorsi depositati nel 2006 i sigg. F.M. e + ALTRI OMESSI domandarono alla Corte d’appello di Roma l’equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e segg. del danno non patrimoniale derivante dall’eccessiva durata di una procedura fallimentare svoltasi davanti al Tribunale di Napoli, nella quale avevano insinuato il 15 maggio 1990 i loro crediti di lavoro, che vennero però soddisfatti soltanto nel marzo 2006.

Il Ministero della Giustizia si costituì e la Corte, ritenuto che la durata ragionevole del processo fosse da stimare in cinque anni, per cui la durata eccedente quella ragionevole era stata di 11 anni, lo condannò al pagamento di Euro 11.000,00 (Euro 1.000,00 per ciascun anno di ritardo) in favore di ognuno dei ricorrenti pro quota quanto a coloro che avevano agito come coeredi).

Il Ministero ha quindi proposto ricorso per cassazione articolando otto motivi di censura, cui gli intimati hanno resistito con controricorso.

In camera di consiglio il Collegio ha deliberato che la motivazione della presente sentenza sia redatta in maniera semplificata, non ponendosi questioni rilevanti sotto il profilo della nomofilachia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia “l’omesso esame su un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, per avere i giudici di merito omesso qualsiasi riferimento alla circostanziata eccezione di prescrizione quinquennale tempestivamente sollevata dal Ministero.

1.1. – Il motivo è inammissibile perchè viene denunciato un vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, senza la chiara indicazione del fatto controverso ai sensi dell’art. 366 bis, comma 2, (nella specie ancora applicabile ratione temporis) che sarebbe stato scorrettamente accertato dai giudici di merito.

2. – Con il secondo, terzo, quarto e quinto motivo – da esaminare congiuntamente attesa la loro connessione si ripropone, con vari argomenti, l’eccezione di prescrizione quantomeno decennale, se non quinquennale, per il periodo di durata eccessiva del processo anteriore al decennio o quinquennio precedente la domanda giudiziale, anche in considerazione della possibilità di agire per l’equa riparazione pure in pendenza del processo presupposto che abbia già superato la soglia della ragionevole durata.

2.1. – I motivi sono infondati, sulla base della giurisprudenza di questa Corte secondo cui nemmeno la L. n. 89 del 2001, art. 4 nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dallo stesso art. 4, in tal senso deponendo, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (Cass. 27719/2009, cit., 1886/2010, 3325/2010).

3. – Con il sesto motivo, denunciando vizio di motivazione, si lamenta che la Corte d’appello non abbia considerato il netto ridimensionamento della “posta in gioco” – influente sull’entità della riparazione, tuttavia ugualmente determinata dai giudici di merito in Euro 1.000,00 annui – conseguente all’intervenuto pagamento, nelle more della procedura fallimentare, delle ultime tre mensilità della retribuzione del trattamento di fine rapporto da parte dell’INPS, poi surrogatosi nel corrispondente credito degli attori insinuato al passivo.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello, invero, ha determinato l’equa riparazione nella misura sopra indicata dopo aver espressamente preso in considerazione il pagamento parziale di cui trattasi. La determinazione equitativa della somma dovuta a titolo di ristoro del danno non patrimoniale è potere riservato al giudice di merito, e il suo esercizio non è sindacabile in sede di legittimità, se motivato correttamente: il che è appunto avvenuto nella specie, tenuto conto che lo scostamento, da parte del giudice nazionale, dai minimi indennitari scaturenti dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo è bensì possibile, in presenza di particolari situazioni, ma giammai obbligatorio.

4. – Con il settimo motivo, denunciando violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 si deduce – con specifico riferimento alla posizione degli attori che agirono quali eredi del sig. A.M., deceduto il (OMISSIS), quali eredi del sig. D. A., deceduto il (OMISSIS), e del sig. D.M. P., deceduto l'(OMISSIS) – l’intervenuta decadenza ai sensi dell’art. 4r cit., dovendosi far decorrere il relativo termine semestrale dalla data del decesso del de cuius, e non da quella della definizione del processo presupposto.

4.1. – Il motivo è infondato, perchè l’art. 4, cit., configura la sola definitività della decisione del processo presupposto come dies a quo del termine di decadenza, mentre il diritto dell’erede di agire in tale qualità, dopo la morte del dante causa, si prospetta come mera possibilità di esercitare quel diritto, senza, quindi, che si possa ricollegare alla morte della parte alcun effetto giuridico incidente sul termine di proponibilità della domanda (Cass. 20564/2010).

5. – Con l’ottavo motivo si deduce invece il vizio di extrapetizione – sempre con riferimento alla posizione dei predetti eredi – perchè la Corte avrebbe riconosciuto il loro diritto alla riparazione anche per il periodo successivo alla morte dei rispettivi danti causa, mentre invece gli eredi avevano agito esclusivamente iure hereditatis e dunque il computo dell’indennizzo si sarebbe dovuto arrestare alla data del decesso dei loro autori.

5.1. – Il motivo è inammissibile.

Il presupposto da cui esso muove è che la Corte d’appello abbia accolto, quanto agli eredi di cui trattasi, due distinte pretese indennitarie, rette da differenti titoli, ossia una pretesa iure hereditatis e una pretesa iure proprio, nonostante solo la prima fosse stata dedotta in giudizio. Sennonchè l’accoglimento anche di una pretesa iure proprio non risulta dal decreto impugnato, che dunque, quanto alla liquidazione dell’indennizzo in favore degli eredi, potrebbe semmai essere viziato sotto altri profili – tuttavia non dedotti – e non certo per extrapetizione.

6. – Il ricorso va in conclusione respinto. Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 1.000,00, di cui 900,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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