Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10661 del 23/05/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 10661 Anno 2016
Presidente: VENUTI PIETRO
Relatore: NEGRI DELLA TORRE PAOLO

SENTENZA

sul ricorso 16323-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del presidente legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B,
presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2016
contro

648

MOSCATELLI

ALESSANDRO

C.F.

MSCLSN54L16E202Y,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BOLZANO 15,
presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DE TOMMASO,

Data pubblicazione: 23/05/2016

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
GIAN PAOLO SCHEMBRI, giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 107/2013 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 22/03/2013 R.G.N. 820/2010;

udienza del 17/0212016 dal Consigliere Dott. PAOLO
NEGRI DELLA TORRE;
udito l’Avvocato SERRANI TIZIANA per delega orale
Avvocato PESSI ROBERTO;
udito l’Avvocato DE TOMMASO GIUSEPPE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G. 16323/2013

Svolgimento del processo
Con sentenza n. 107/2013, depositata il 22 marzo 2013, la Corte di appello di Firenze
confermava la sentenza del Tribunale di Grosseto che aveva respinto il ricorso di Poste
Italiane S.p.A. diretto all’accertamento della legittimità del licenziamento intimato ad
Alessandro Moscatelli per essere il dipendente, in stato di malattia, risultato assente

ingiustificato alla visita domiciliare del 7/6/2008.
La Corte – richiamata la lettera in data 31/5/2008, con cui il Moscatelli aveva comunicato
alla datrice di lavoro che “in data 30 maggio 2008” non sarebbe potuto “essere presente
alle eventuali visite di controllo”, atteso “il ricovero presso l’Ospedale di Grosseto” della
madre “persona con grave handicap riscontrato dalla Legge 104” – riteneva condivisibile
la sentenza di primo grado, la quale aveva considerato che la comunicazione in oggetto
non facesse riferimento all’assenza per il solo giorno del 30/5/2008 ma alle assenze per
i giorni successivi di durata del ricovero; e su tale premessa, essendo incontroverso e
comunque documentato l’avvenuto ricovero ospedaliero, osservava come l’esigenza di
prestare la necessaria assistenza al familiare configurasse un’ipotesi di “seria e valida
ragione” idonea a giustificare, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’assenza del
lavoratore dal proprio domicilio nelle fasce orarie di reperibilità.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la S.p.A. Poste Italiane, affidandosi
a sette motivi, illustrati da memoria; il Moscatelli ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697
e 2119 c.c. nonché degli aitt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., non
avendo la Corte territoriale correttamente valutato la comunicazione in data 31/5/2008.
In particolare, la Corte aveva errato nel ritenere che, con tale comunicazione, di cui era
stato forzato Il dato letterale, l’assenza del lavoratore fosse stata previamente portata
a conoscenza della società e che l’assenza fosse giustificata dall’esigenza di prestare
assistenza alla madre, ricoverata in ospedale dal 30 maggio 2008.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.,
avendo la Corte, nell’affermare che la comunicazione preannunciasse possibili assenze
nei giorni successivi al 31/5, ignorato il fatto che essa non conteneva alcun riferimento
a date posteriori al 30/5/2008.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 43,
comma 8, CCNL 2007 per il personale dipendente di Poste Italiane, in relazione agli artt.
1

1175, 1362, 1375, 2104, 2105, 2119 c.c., nonché dell’art. 7 I. n. 300/1970: deduce al
riguardo che la Corte territoriale aveva errato, anche alla luce dei principi di correttezza
e buona fede, nel non attribuire alcun rilievo al fatto che il Moscatelli fosse inadempiente
all’obbligo di tempestiva comunicazione dell’assenza posto dalla legge e dalla
contrattazione collettiva esclusivamente a carico del lavoratore; in particolare,
l’indicazione fornita dal Moscatelli nella comunicazione in data 31/5/2008, a causa del
contenuto letterale della stessa, non era sufficiente ad integrare l’obbligo di preventiva
comunicazione richiesto dall’art. 43, comma 8, CCNL per assenze successive al 30/5,

con la conseguenza che l’assenza alla visita fiscale del 7/6/2008 non poteva ritenersi
giustificata.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.
2119 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., avendo la Corte territoriale ritenuto
dimostrata la sussistenza del giustificato motivo di esonero dall’obbligo di reperibilità
nonostante la mancata prova, cui era tenuto il lavoratore, della necessità di prestare
assistenza alla madre nell’orario in cui lo stesso era risultato assente alla visita fiscale
del 7/6/2008 e comunque nelle fasce orarie di reperibilità e avendo di conseguenza ed
erroneamente ritenuto che l’assenza a tale visita di controllo non configurasse illecito
disciplinare.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di
fonte collettiva e, in particolare, degli artt. 43, comma 8, 54, 55, 56 e 57 dei CCNL 2007
per il personale non dirigente di Poste Italiane nonché violazione e falsa applicazione
dell’art. 2119 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., non avendo la Corte considerato
che erano sussistenti nel comportamento tenuto dal lavoratore le condizioni individuate
dalla giurisprudenza e dalla contrattazione collettiva per ritenere legittima l’adozione
della sanzione espulsiva.
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo che è stato
oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., avendo la Corte
trascurato di valutare la condotta complessiva del lavoratore e, in particolare, i preg ressi
illeciti disciplinari a suo carico.
Con il settimo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 112 e 132, comma 2,
n. 4 c.p.c. e 118, comma 1, disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 3 1. n. 604/1966 (artt.
360 n. 3 e n. 5 c.p.c.), avendo la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sull’eccezione
svolta in via gradata dalla società datrice di lavoro e relativa alla possibilità per il giudice,
ove avesse ritenuto insussistente la giusta causa, di qualificare il recesso quanto meno
come licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Il ricorso deve essere respinto.
Il primo e il secondo motivo risultano inammissibili.
Entrambi, infatti, si sostanziano nella denuncia di un vizio di motivazione secondo lo
schema normativo di cui all’art. 360 n. 5 nella versione anteriore alla modifica introdotta
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con il decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in 1. 7 agosto 2012, n. 134, pur
in presenza di sentenza di appello depositata in data successiva all’entrata in vigore
della modifica (11 settembre 2012).
Come precisato da questa Corte a Sezioni Unite con le sentenze 7 aprile 2014 n. 8053
e n. 8054, l’art. 360 n. 5 c.p.c., così come riformulato a seguito della novella legislativa,
configura un vizio specifico denunciabile per cessazione, costituito dall’omesso esame di
un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dai testo della sentenza
o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia

carattere decisivo (e cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della
controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt.
366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., il ricorrente è tenuto ad
indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale,
da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione
processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di
elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo
qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione
dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Lo scostamento di entrambi i motivi dallo schema del nuovo art. 360 n. 5 è peraltro
riconosciuto dalla stessa ricorrente, con riferimento ai primo di essi, in vari luoghi della
relativa esposizione e, in particolare, là dove (pag. 10) viene affermato che “l’esame (e
la lettura) del documento in atti dimostra l’errata valutazione dello stesso compiuta dalla
Corte; pertanto, si censura la sentenza sia per tale vizio che per la mancanza di una
motivazione capace di offrire una giustificazione coerente, logica e congrua” e là dove,
nel capoverso successivo, il motivo è sintetizzato come “vizio di motivazione” e ribadito
come nel ragionamento seguito dal giudice di merito sia contenuta “traccia evidente
dell’erroneo” e di “un mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia”;
con riferimento al secondo, in quei luoghi della corrispondente parte espositiva, nei quali
– identificato il “fatto storico” nel dato letterale della comunicazione del 31/5/2008 – è
censurata la sentenza per avere ritenuto di poter interpretare le intenzioni del lavoratore
nel senso che, con tale comunicazione, egli avrebbe preannunciato possibili assenze nei
giorni successivi e conclusivamente affermato che l’accertamento operato dalla Corte
non potesse considerarsi “logicamente giustificato”, così da rendere necessario un suo
riesame (pag. 11).
Il terzo motivo è infondato.
La Corte ha, infatti, accertato, condividendo le conclusioni già raggiunte dal giudice di
primo grado, che la comunicazione non poteva avere ad oggetto la sola assenza per il
giorno 30/5/2008 ma doveva necessariamente riferirsi alle assenze nei giorni, successivi
al 30/5/2008, in cui il ricovero della madre del dipendente si sarebbe prolungato: e ciò
sulla base (a) del rilievo che, essendo la lettera datata 31/5/2008, non poteva ritenersi
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che con essa si fosse voluta comunicare un’assenza del giorno precedente; (b) sulla
base, inoltre, del rilievo che li riferimento alle “eventuali visite di controllo”, in essa
contenuto, denotava l’intenzione di preannunciare possibili assenze nei giorni successivi
al 31/5/08, dovendosi ritenere che l’indicazione dei 30/5 fosse invece riferita alla data
del ricovero.
Sulla scorta di tali rilievi (che – può osservarsi per inciso – avrebbero consentito alla
sentenza impugnata di resistere anche ad una censura avanzata ai sensi dell’art. 360 n.
5 c.p.c. nella formulazione anteriore alla novella legislativa) non pare dubbio che la

comunicazione In esame, così come (adeguatamente) letta e interpretata dalla Corte
territoriale, fosse del tutto idonea ad assolvere all’obbligo di cui all’art. 43 1 comma 8,
CCNL per i dipendenti di Poste Italiane, il quale prescrive unicamente che il lavoratore,
che debba assentarsi dal proprio domicilio durante le fasce orarie di reperibilità (per
visite, prestazioni o accertamenti specialistici o per altri giustificati motivi), provveda a
darne “preventiva” comunicazione alla società.
D’altra parte, la ricorrente, pur citando l’art. 1362 c.c., non ha spiegato in alcun modo
perché la Corte, nell’accertare l’effettivo contenuto della comunicazione, non abbia fatto
corretta applicazione di tale regola ermeneutica, limitandosi sui punto ad un’asserzione
dei tutto generica e sommaria.
Né, una volta stabilito che preventiva comunicazione ai datore di lavoro vi è stata, con
l’indicazione delle ragioni dell’assenza prevista, in conformità della specifica disciplina
dettata in materia, non residuano spazi ulteriori per ritenere la condotta dei lavoratore
carente In relazione ai canoni generali di correttezza e buona fede, dei quali l’autonomia
collettiva ha fissato, con le sue previsioni, la portata ed i confini, nella considerazione
degli interessi contrapposti e nella loro mediazione.
Il quarto motivo è infondato.
La sentenza, infatti, si è uniformata a quella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il
giustificato motivo di assenza, necessario per escludere la sanzione nei caso di mancato
reperimento del lavoratore alla visita di controllo durante le fasce orarie di reperibilità,
non si identifica esclusivamente nello stato di necessità o di forza maggiore, potendo
essere invece costituito, alla stregua della sentenza della Corte costituzionale n. 78/88,
“anche da una seria e valida ragione, socialmente apprezzabile”, la cui dimostrazione
spetta al lavoratore (cfr. Cass. 29 novembre 2002, n. 16996; conf. Cass. 2 agosto 2004
n. 14735).
Nell’applicazione del riportato principio di diritto, la sentenza peraltro non ha trascurato
che la ragione “socialmente apprezzabile”, la quale – si deve precisare – comprende ogni
situazione che sia tale secondo i parametri della coscienza collettiva e che è certamente
da ritenersi integrata tutte le volte in cui, come nella specie, il dovere di cooperazione
del lavoratore risulti posto in comparazione con un dovere etico generalmente
riconosciuto e con valore cogente, restando ad esso subordinato, deve pur sempre avere
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reso indifferibile la presenza del lavoratore in luogo diverso dal proprio domicilio durante
le fasce orarie di reperibilità.
La sentenza impugnata ha ben avuto presente tate elemento, rilevando che la necessaria
assistenza, prestata dal lavoratore alla madre, era idonea a giustificarne “l’assenza dal
domicilio nelle fasce orarie di reperibilità” e richiamando specificamente, in proposito, il
dato incontroverso di un ricovero ospedaliero che, per la gravità della condizione della
signora Moscatelli, risulta documentalmente essersi protratto per breve periodo, fino al
decesso della medesima in data 11/6/2008.

Devono essere disattesi altresì Il quinto, il sesto e il settimo motivo.
Con riferimento al quinto motivo, si osserva che la ricorrente si è limitata, con la censura
in esame, a riprodurre il testo di talune disposizioni del CCNL per il personale di Poste
Italiane e massime della giurisprudenza di questa Corte di legittimità in tema di giusta
causa e lesione del vincolo fiduciario, senza, tuttavia, fare oggetto di analisi specifica e
di critica le parti della motivazione della sentenza che si porrebbero in contrasto con le
une e con le altre.
D’altra parte, la sentenza, diversamente da quanto dedotto a sostegno dei motivo (in
cui è riportata la proposizione che si trova in apertura della pag. 4 della motivazione,
ma ne viene totalmente omesso il seguito), ha preso in esame anche gli ulteriori illeciti
disciplinari, richiamati nella lettera di contestazione, per affermare che gli stessi, in
quanto oggetto di sanzioni conservative, non avrebbero potuto costituire un’autonoma
causa giustificatrice del licenziamento.
Con riferimento al sesto motivo, con il quale è denunciato il vizio di cui all’art. 360 n. 5,
si devono ribadire le considerazioni già svolte, in relazione al primo e al secondo motivo,
mediante il richiamo alle sentenze delle Sezioni Unite n. 8053 e n. 8054 del 2014 e,
prima ancora, rilevare come esso tenda inammissibilmente a provocare un riesame del
merito della controversia, laddove questa Corte di legittimità è esplicitamente invitata
(cfr. ricorso, pag. 20, ultimo capoverso) a ‘valutare anche ai sensi deil’art. 55 dei ceni
di Poste Italiane la presenza dei precedenti addebiti a carico del Moscatelli che non
depongono affatto per la buona fede del lavoratore e per l’assenza di intenti elusivi”.
Con riferimento infine al settimo motivo di ricorso, si osserva che la Corte territoriale,
affermando che la contestata assenza alta visita di controllo domicitiare dei 7/6/2008
“non configura un illecito disciplinare” e che “gli ulteriori illeciti disciplinari, richiamati
dalla lettera di contestazione del 17/7/2008, in quanto oggetto di sanzioni conservative
non possono costituire autonoma causa giustificatrice del licenziamento”, e da queste
affermazioni traendo la conseguenza della “infondatezza dell’appello, stante la ritenuta
illegittimità del licenziamento intimato da Poste Italiane S.p.A.”, ha di fatto, sia pure con
motivazione implicita (ma non perciò meno chiara), preso posizione anche sul tema
della conversione del licenziamento intimato in licenziamento per giustificato motivo
soggettivo.
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Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

p.q.m.

la Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello
stesso articolo 13.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 febbraio 2016.

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