Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10660 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/06/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 05/06/2020), n.10660

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6024-2018 proposto da:

GI.MA., domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato DANIELE

CARRA giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.A., R.R., G.F., G.R.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA OSLAVIA 39-F, presso lo

studio dell’avvocato EMANUELE CARLONI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARCO ALBINO VOLPI gusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

G.I., GE.RO., G.L., M.B.,

M.V., V.A.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2034/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 12/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/12/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dal ricorrente.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con citazione del 1992 Ge.Ar., G.R., in proprio e quale tutore di G.G., G.A., Ge.Ro., G.L., G.M., Ge.Li. e G.F., deducendo di essere tutti fratelli o nipoti ex fratre di G.C., deceduto in data 18/2/1992, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Parma l’altra sorella del de cuius, Ge.As. ed il figlio Gi.Wa., affinchè fosse dichiarata la nullità per difetto di olografia e di sottoscrizione di tre testamenti olografi con i quali il defunto aveva istituito i convenuti quali eredi universali. Si costituivano i convenuti che resistevano alla domanda.

Nel corso del giudizio decedevano G.G. e Ge.As., ed in luogo di quest’ultima era chiamata in giudizio in sede di riassunzione la figlia Gi.Mi., la quale eccepiva di non essere erede della madre, la quale aveva istituto erede per testamento l’altro figlio Wa. e la nipote V.L..

Il Tribunale adito con sentenza n. 10113/2002 dichiarava la nullità dei testamenti, ma la Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 1205/2007 dichiarava la nullità della decisione di prime cure, in quanto al relativo giudizio non aveva preso parte V.L., quale litisconsorte necessaria.

Riassunto il processo dinanzi al Tribunale, instando per la riassunzione, degli originari attori, i soli R.R., G.F., G.R. e G.A., G.I., Ge.Ro., G.L., M.B. e M.V. nel costituirsi chiedevano di essere estromessi dal giudizio in quanto intendevano devolvere eventuali loro diritti agli altri attori.

Nella resistenza di Gi.Ma., quale erede del padre Gi.Wa., Gi.Mi., V.L. e O.L., moglie di Gi.Wa., il Tribunale di Parma con una prima sentenza n. 1132/2009 estrometteva dal giudizio gli attori che avevano dichiarato di non avervi interesse e affermava la carenza di legittimazione passiva di Gi.Mi..

Con successiva sentenza n. 154 del 2014 il Tribunale dichiarava la nullità dei testamenti, dichiarando per l’effetto aperta la successione legittima di G.C..

Averso entrambe le sentenze (avendo formulato tempestiva riserva di appello a seguito della pronuncia della prima), proponeva appello Gi.Ma., denunciando quanto alla sentenza del 2009 l’erroneità dell’estromissione degli altri attori non riassumenti, con la conseguente nullità della seconda sentenza in quanto emessa a contraddittorio non integro.

Si costituivano nel corso del giudizio di appello, oltre a R.R., G.F., G.R. e G.A. che ribadivano la loro carenza di interesse ed eccepivano altresì la carenza di interesse ad impugnare dell’appellante, anche G.I., Ge.Ro., G.L., M.B. e M.V. che concludevano anche loro per il rigetto del gravame.

La Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza n. 2034 del 12/9/2017 ha rigettato l’appello, confermando per l’effetto le sentenze gravate.

In primo luogo rilevava che effettivamente anche i soggetti estromessi con la prima sentenza erano da ritenersi parti necessarie del giudizio, in quanto all’impugnativa di testamento devono prendere parte tutti coloro che rivestirebbero la qualità di eredi legittimi in caso di invalidità dell’atto mortis causa.

Era pertanto erronea la decisione di estrometterli dal giudizio, atteso anche che tale istituto è legato ad ipotesi tassative che esulano da quella che era ricorsa nella fattispecie.

Non poteva poi ravvisarsi nella condotta degli estromessi una rinuncia all’eredità e ciò sia perchè, stante la non ancora accertata invalidità del testamento, difettava in capo agli stessi la qualità di chiamati all’eredità e quindi la possibilità di rinunciarvi, sia perchè la rinuncia doveva essere vestita di forme solenni che nella vicenda non ricorrevano.

Tuttavia, anche se l’appellante nutriva interesse ad appellare le sentenze denunciando la violazione del contraddittorio, peraltro rilevabile anche d’ufficio da parte del giudice, tuttavia i soggetti che risultavano essere stati illegittimamente estromessi dal processo, ed assenti quindi al momento dell’adozione della seconda sentenza, erano però intervenuti in appello, chiedendo che la causa fosse decisa conformemente a quanto statuito in prime cure, il che escludeva che potesse essere disposta la rimessione della causa in primo grado ex art. 354 c.p.c..

Pertanto, stante anche l’assenza di un concreto pregiudizio al diritto di difesa dell’appellante scaturente dall’assenza di alcuni dei litisconsorti, e non essendo stata sollevata alcuna doglianza di merito, l’appello andava disatteso, con la conferma delle decisioni impugnate.

Avverso tale sentenza propone ricorso G.M. sulla base di un motivo.

R.R., G.R., G.A. e G.F. resistono con controricorso.

Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.

Il motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c..

Si deduce che attesa la pacifica natura litisconsortile necessaria del giudizio di impugnazione del testamento, era erronea la decisione di estromettere alcuni dei potenziali chiamati alla successione legittima, il che comportava in maniera inconfutabile la nullità della seconda sentenza emessa a contraddittorio non integro.

La Corte di merito, nel prendere in esame la condotta tenuta dai litisconsorti estromessi in grado di appello, ha erroneamente valutato la fattispecie, dovendosi reputare che il difetto di integrità del contraddittorio sia insanabile, a nulla potendo valere opporre il diverso principio della durata ragionevole del processo.

La decisione risulta poi erronea anche laddove, pur affermando l’esistenza di un interesse ad impugnare del ricorrente ha poi inopinatamente optato per una non consentita sanatoria del vizio dedotto.

Il motivo è infondato.

La vicenda processuale che occasiona la proposizione del ricorso è assolutamente pacifica, essendo appunto emerso che alcuni dei soggetti pacificamente individuabili come litisconsorti necessari, erano stati estromessi dal Tribunale con una prima sentenza, essendosi dato credito alla loro volontà di non partecipare al giudizio, avendo inteso avvantaggiare gli altri originari attori dei diritti che sarebbero loro eventualmente spettati in caso di accoglimento della domanda.

La seconda pronuncia del Tribunale ha quindi dichiarato la nullità dei testamenti impugnati all’esito di una seconda parte del processo di primo grado alla quale erano rimasti estranei coloro di cui era stata disposta l’estromissione.

Con l’appello sono state impugnate entrambe le sentenze e precisamente la prima per l’errore commesso nell’avere estromesso dei litisconsorti necessari, e la seconda per il vizio del difetto di litisconsorzio necessario.

Tuttavia, al giudizio di appello hanno preso parte anche coloro che erano stati interessati dalla prima sentenza con la pronunzia di esclusione dal giudizio i quali, hanno ribadito il loro difetto di interesse al processo, ma in ogni caso hanno manifestato l’interesse al rigetto dell’appello, non avendo doglianze da muovere avverso la seconda sentenza emessa in loro assenza.

Rileva il Collegio che la decisione gravata ha deciso la controversia in conformità della giurisprudenza di questa Corte che ha costantemente affermato che (Cass. n. 23701/2014) nell’ipotesi in cui il litisconsorte necessario pretermesso intervenga volontariamente in appello ed accetti la causa nello stato in cui si trova, chiedendo che sia così decisa, e nessuna delle altre parti resti privata di facoltà processuali non già altrimenti pregiudicate, il giudice di appello non può rilevare d’ufficio il difetto di contraddittorio, nè è tenuto a rimettere la causa al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., ma deve trattenerla e decidere sul gravame, risultando altrimenti violato il principio fondamentale della ragionevole durata del processo, il quale impone al giudice di impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione della controversia (conf. Cass. n. 16504/2005; Cass. n. 7068/2009; Cass. n. 9752/2011).

Tale principio è stato poi di recente ribadito da (Cass. n. 26631/2018) secondo cui nell’ipotesi in cui il litisconsorte necessario pretermesso intervenga volontariamente in appello, accettando la causa nello stato in cui si trova, e nessuna delle altre parti resti privata di facoltà processuali non già altrimenti pregiudicate, il giudice di appello non può rilevare d’ufficio il difetto di contraddittorio, nè è tenuto a rimettere la causa al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., ma deve trattenerla e decidere sul gravame, risultando altrimenti violato il principio fondamentale della ragionevole durata del processo, il quale impone al giudice di impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione della controversia, ipotesi questa alla quale è equiparabile la fattispecie in esame, nella quale si contesta la validità di una sentenza emessa in primo grado senza la partecipazione di litisconsorti necessari che però sono intervenuti in appello chiedendo decidersi la causa in conformità di quanto statuito in primo grado.

Alla luce della condotta processuale tenuta dalle altre originarie parti attrici (e loro successori), parti individuate come litisconsorti pretermesse, le quale, pur costituendosi nuovamente in appello, hanno espressamente dichiarato che non intendevano far valere il vizio nel quale era incorsa la seconda sentenza in ordine di tempo, chiedendo quindi confermarsi la decisione adottata in primo grado, e senza quindi lamentare alcun pregiudizio per effetto della loro pretermissione, nè avendo introdotto elementi di novità tali da privare le altre parti di facoltà non altrimenti già pregiudicate, la Corte distrettuale non poteva quindi addivenire alla declaratoria di nullità del giudizio di primo grado e della relativa sentenza, avendo quindi preso correttamente atto del fatto che alla denuncia del vizio, de quo, non rilevabile alla luce della condotta tenuta nel corso del giudizio di appello, non si accompagnavano censure di merito, il che imponeva di dover confermare le statuizioni del giudice di prime cure.

Nè appare fondata la deduzione del ricorrente di cui alle memorie secondo cui la presente vicenda sarebbe diversa rispetto a quelle di cui ai precedenti sopra richiamati in tema di accettazione del processo da parte dei litisconsorti pretermessi, posto che, sebbene nel caso in esame i litisconsorti siano stati estromessi, sebbene inizialmente presenti, nel corso del processo di primo grado (con la conseguente adozione di una sentenza a contraddittorio non integro), resta identico il fatto che anche qui gli stessi sono intervenuti in appello, dichiarando di accettare l’esito del giudizio anche per la parte svoltasi senza la loro partecipazione.

Infine, non vi è contraddizione alcuna tra l’iniziale affermazione di interesse ad impugnare in capo al ricorrente e l’esito del giudizio di appello, essendosi correttamente rilevato che, stante anche la rilevabilità d’ufficio del vizio derivante dalla violazione dell’art. 102 c.p.c., ben poteva anche il Giuffredi dolersi della mancata partecipazione di alcune delle parti necessarie (la cui assenza determina la ben più grave ipotesi di nullità di cui all’art. 354 c.p.c.), ma che tale interesse era destinato a divenire recessivo nel momento in cui coloro che avevano subito un concreto pregiudizio per effetto della mancata partecipazione al prosieguo del giudizio di primo grado, avevano in realtà mostrato di aderire al contenuto della sentenza impugnata.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla per le spese per gli intimati che non hanno svolto attività difensiva.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato per il ricorso a norma del cit. art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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