Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1066 del 18/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 18/01/2017, (ud. 14/10/2016, dep.18/01/2017),  n. 1066

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12485-2015 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIORGIO PINNA unitamente all’avvocato FRANCESCO LA SALA giusta

procura. speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.I., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

RAIMONDO SOLLAI unitamente all’avvocato MARIA DI PELLEGRINI giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 85/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

emessa il 17/12/2014 e depositata il 02/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. SCALISI ANTONINO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che il Consigliere designato, Dott. Scalisi A., ha depositato, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente proposta di definizione del giudizio:

S.I. il (OMISSIS) stipulava con M. un contratto preliminare di vendita avente ad oggetto un terreno edificabile sito nel Comune di Assemini della superfice di mq 527 e per il prezzo di L. 97.500.000 da corrispondere quanto a L. 15.000.000 contestualmente al contratto a titolo di caparra, quanto a L. 45.000.000 alla firma del contratto definitivo, da stipulare entro la metà di febbraio dello stesso anno. Secondo gli accordi, il definitivo avrebbe dovuto prevedere oneri di progettazione e di urbanizzazione a carico del promittente venditore. Al momento della stipula del contratto definitivo il M. chiedeva la modifica di alcune clausole inserite nel preliminare, rifiutandosi, in difetto di stipulare il definitivo. Ciò posto S. convocava in giudizio davanti al Tribunale di Cagliari M. e chiedeva che venisse pronunciata sentenza ex art. 2932 c.c., reiterando l’offerta di provvedere al saldo del prezzo e che M. venisse condannato al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede.

Si costituiva M., contestando la domanda dell’attore e proponendo domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per colpa del S..

Nel corso del giudizio è emerso che il M. aveva venduto il bene oggetto della causa ad un terzo.

Il Tribunale di Cagliari con sentenza n. 48 del 2009 pronunciava la risoluzione del contratto per inadempimento del M., con condanna di quest’ultimo alla restituzione a favore dell’attore della somma di L. 15.000.000 maggiorata degli interessi legali.

Avverso questa sentenza ha proposto appello M.L.. Si è costituito il S..

La Corte di appello di Cagliari, con sentenza n. 85 del 2015, rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese di lite. Secondo la Corte di Cagliari, la sentenza di primo grado andava confermata perchè, dai dati processuali emergeva la diversità della pattuizione oggetto del contratto definitivo rispetto a quella convenuta con il contratto preliminare, sottoscritto dalle parti, che espressamente limitava l’utilizzo della maggiore cubatura da parte del M. alla sola sopraelevazione. Pertanto, la mancata stipula del contratto definitivo era imputabile al M., dato che non poteva pretendere una modifica del contratto preliminare.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

che:

1.= Con l’unico motivo del ricorso M.L. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 244 e 253 c.p.c., e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 cpc. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe fondato la propria decisione sulla testimonianza resa dal notaio Sa., invalida e valutata in modo illogico. In particolare, specifica il ricorrente, posta la diversa formulazione della pattuizione contenuta nel preliminare che limitava l’utilizzo della maggiore cubatura eventualmente realizzabile da parte del M. alla sola sopraelevazione rispetto a quella della bozza di atto pubblico, laddove, tale diritto non appariva limitato alla sola soprelevazione, il vero tema del decidere era quello di verificare chi dei due contendenti avesse preteso la modifica delle clausole contenute nel preliminare. Ora, la Corte avrebbe ritenuto che la modifica fosse pretesa da M. e la prova sarebbe ricavata dalla deposizione del s. secondo cui Non posso ricordare se il S. si dichiarò pronto a sottoscrivere l’atto pubblico di compravendita che riproducesse integralmente gli accordi consacrati nel preliminare: ciò peraltro mi pare logico perchè era il S. a chiedere l’inserimento in rogito di una clausola che invece il M. non intendeva accertare (…). Epperò, la Corte avrebbe utilizzato quella parte della deposizione del testimone laddove questi non riferiva su una circostanza, ma esprimeva un proprio giudizio ovvero una propria supposizione. A sua volta, erroneamente la Corte avrebbe ritenuto che la deposizione troverebbe riscontro nella tesi attrice perchè dall’atto di citazione emergerebbe con chiarezza che “(…) era il S. a chiedere l’inserimento nel rogito di una clausola che, invece, il M. non voleva accettare(…).

1.1.= La censura non ha pregio, trattandosi di argomentazione che è conseguenza palese di un’inesatta lettura della sentenza impugnata e non merita, pertanto, accoglimento.

Come emerge dalla sentenza impugnata, la censura in esame riproduce, sostanzialmente, la stessa censura formulata in appello, esaminata e decisiva correttamente dalla Corte distrettuale, la quale ha avuto modo di accertare, attraverso la lettura e l’interpretazione degli atti acquisiti in giudizio e, soprattutto, del preliminare e della bozza del contratto pubblico, che la clausola presente nella bozza del contratto, che non limitava l’utilizzo della maggiore cubatura alla sola sopraelevazione, era e tornava utile al M. ed era ragionevole pensare che fosse il M. a pretendere una modifica delle clausole del preliminare. Nè il M. ha mai evidenziato, e neppure in questa sede, di aver manifestato la determinazione di stipulare un atto pubblico che riproducesse la clausola di cui al preliminare e di cui si dice.

Piuttosto, la stessa Corte territoriale ha specificato che la ricostruzione della vicenda proposta da M. era priva di fondamento ed era priva di fondamento, essenzialmente, anche la pura e semplice affermazione che “(…) appariva e appare evidentissimo che il S. aveva cambiato idea pretendendo, quindi, non già la riproduzione nel rogito del testo originario del preliminare, ma una successiva rilevante modifica tutto a proprio vantaggio (eliminazione della cubatura in aumento)”. Ed ha, ulteriormente, specificato che, al contrario, la prospettazione della parte attrice, cioè del S., secondo la quale il M. avrebbe voluto che la clausola del preliminare fosse trasformata nella clausola di cui alla bozza dell’atto pubblico, trovava conferma nella deposizione del notaio S..

La Corte di merito, in buona sostanza, non solo ha ritenuto che la prospettazione del M. non fosse convincente, nè provata, ma, a riprova, ha chiarito che la prospettazione della parte attrice trovava, comunque, conferma nella deposizione del notaio S. che ha esattamente indicato la clausola sulla quale le parti non avevano raggiunto l’accordo, riconfermando, dunque, ciò che emergeva dagli atti e, cioè, che la clausola sulla quale le parti non avevano raggiunto l’accordo era una clausola che tornava utile al M. e che modificava le clausole del preliminare.

In definitiva, si propone il rigetto del ricorso. Il Consigliere relatore.

Tale relazione veniva comunicata ai difensori delle parti in causa.

In prossimità dell’udienza pubblica M.L. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. Il Collegio, letta la memoria del ricorrente, condivide argomenti e proposte contenute nella relazione ex art. 380 bis c.p.c., rilevando, altresì, che le osservazioni espresse dal ricorrente con la memoria depositata in prossimità della Camera di Consiglio non consentono di superare le argomentazioni di cui alla relazione.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannato al pagamento delle spese del presente giudizio, che verranno liquidate con il dispositivo.

Il Collegio, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera del Consiglio, della Sesta Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2017

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