Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10659 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/06/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 05/06/2020), n.10659

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5720-2018 proposto da:

E.M.F., domiciliata in ROMA presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione e rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE

MIRELLI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.C., A.O., A.R.,

A.G., domiciliate in ROMA presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione e rappresentate e difese dall’avvocato FRANCESCO

ORLANDO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

nonchè

A.A., AN.AN.MA.;

– intimati-

avverso la sentenza n. 404/2017 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. DI

TARANTO, depositata il 18/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/12/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dalla ricorrente.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Taranto con la sentenza n. 1288 del 13 aprile 2005 accoglieva la domanda proposta da E.M.F. nei confronti di M.C., volta ad accertare la piena proprietà su di un immobile sito in (OMISSIS), appartenuto in vita ad O.C., deceduta in data (OMISSIS), giusta testamento olografo del (OMISSIS), dovendo ritenersi privo di efficacia l’acquisto effettuato dalla convenuta, che aveva ricevuto il bene a seguito di testamento di S.C., alla quale il bene era pervenuto per successione legittima del defunto marito G.E., coniugato in prime nozze con l’ O..

La Corte d’Appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto con sentenza n. 404 del 18/12/2017 ha accolto l’appello proposto dagli aventi causa della M., deceduta nel corso del giudizio, rigettando la domanda dell’ E..

Disattese le eccezioni di nullità della CTU asseritamente insorte per essersi svolte delle operazioni peritali senza il preavviso delle parti, stante la mancata tempestiva eccezione della parte interessata, reputava invece fondati i motivi con i quali si contestava nella sostanza l’affermazione circa la validità del testamento del quale era beneficiaria l’attrice, validità che era stata sin dall’inizio contestata da parte convenuta.

In primo luogo reputava non condivisibile l’assunto del Tribunale che aveva del tutto svalutato gli esiti della CTU espletata in sede di giudizio di verificazione, avendo per converso reputato necessaria la proposizione della querela di falso al fine di inficiare la valenza probatoria della scheda testamentaria, occorrendo dare seguito a quanto precisato dalla successiva decisione delle Sezioni Unite n. 12307/2015, che aveva affermato che l’invalidità potesse essere dichiarata all’esito di un ordinario giudizio di accertamento negativo, il cui onere probatorio incombe su chi invoca la nullità.

Gli appellanti già all’atto della costituzione avevano disconosciuto il testamento, assumendone la falsità, ed avevano concluso per la declaratoria di invalidità.

Trattasi di un’eccezione riconvenzionale, la quale imponeva di accertare con efficacia di giudicato la validità o meno dell’atto di ultima volontà.

Alla luce degli elementi di prova raccolta doveva appunto propendersi per la falsità del testamento.

Dalla complessiva valutazione delle deposizioni rese dai testi emergeva la non attendibilità di quelli che avevano riferito di una consegna della scheda testamentaria ad opera della Santopietro, seconda moglie del marito della de cuius, all’attrice in occasione del ricovero del 1999, e ciò anche a voler soprassedere circa il fatto che alcune delle testi escusse fossero state condannate in sede penale, con sentenza non ancora definitiva, per il reato di falsa testimonianza (il che rende quindi irrilevante ai fini della presente decisione l’esito del giudizio penale al quale fa riferimento la difesa della ricorrente nelle proprie memorie).

Inoltre dalla cartella clinica emergeva che la data del ricovero della Santopietro era diversa da quella riferita dai testi di parte attrice, a differenza di quanto invece univocamente riferito da altri testi addotti dai convenuti.

Da tali deposizioni era da escludere che in quella circostanza fosse potuta avvenire la consegna all’attrice della scheda testamentaria, restando poi del tutto inspiegabile il consistente periodo di tempo intercorso tra la data in cui sarebbe avvenuta la consegna della scheda e quella della sua pubblicazione.

Quanto agli esiti della CTU, ad avviso della Corte distrettuale coglievano nel segno le osservazioni del consulente di parte appellante, il quale aveva appunto valorizzato le sottoscrizioni di cui era certa la riferibilità alla de cuius, in quanto apposte su atti pubblici (firma apposta in calce all’atto di matrimonio ed ad un atto di divisione notarile del 1947), ritenute prevalenti su di una sottoscrizione apposta su di un modulo di richiesta di fornitura di acqua, della quale non vi era altrettanta certezza circa l’autenticità.

La stessa visione oculare delle sottoscrizioni di comparazione e di quella in contestazione evidenziava come quest’ultima differisse in maniera evidente da quelle sicuramente riferibili alla de cuius, differenza riscontrata anche dal CTU, che invece aveva fatto affidamento sul detto modulo di richiesta della fornitura.

Secondo i giudici di appello era evidente che la similitudine tra quest’ultima firma e quella apposta sulla scheda testamentaria potesse spiegarsi per essere entrambe opera di un tentativo di riproduzione da parte di soggetti terzi, come confermato dal diverso tratto pressorio che connotava tali firme rispetto a quelle sicuramente appartenenti alla testatrice.

Confortava tale convincimento anche la spontaneità del gesto grafico che connotava le firme autentiche a raffronto con la firma in contestazione, sicchè doveva concludersi che l’intera scheda testamentaria fosse priva del carattere dell’autografia.

Avverso tale sentenza propone ricorso E.M.F. sulla base di tre motivi.

A.C., A.O., A.R. e A.G. resistono con controricorso.

An.An.Ma. ed A.A. non hanno svolto difese in questa fase.

Il primo motivo di ricorso lamenta “la violazione dell’art. 112 c.p.c., stante la natura devolutiva del giudizio di appello, la Corte d’Appello si è pronunziata in termini di decisività e di rilevanza facendo una mera disamina dell’elaborato peritale di una consulenza tecnica di parte corredata di motivazioni critiche con un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità, tenuto conto della richiesta formulata dagli appellanti di sospendere il giudizio ex art. 295 c.p.c., in attesa dell’esito della domanda di querela di falso”.

Il motivo è evidentemente infondato.

In disparte l’erroneità del riferimento alla previsione di cui all’art. 112 c.p.c., avendo la Corte di merito esattamente pronunciato sulle domande proposte, la doglianza si risolve in una non consentita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie dolendosi della preferenza, peraltro motivata in maniera logica e coerente dai giudici di appello, accordata alla consulenza tecnica di parte, essendosi adeguatamente evidenziate le ragioni in base alle quali il giudizio espresso dal CTU era in parte fuorviato dall’avere ritenuto come attendibile anche una sottoscrizione della de cuius che era priva del carattere della certezza.

Trattasi di valutazioni di merito che sono espressamente devolute al giudice di appello, che formulando tale giudizio si è attenuto al potere-dovere assegnatogli dalla legge, essendo escluso che il suo giudizio sia di legittimità (come sostenuto nel motivo), come invece lo è sicuramente quello affidato a questa Corte, alla quale è preclusa la rivalutazione delle risultanze istruttorie.

Quanto invece alla doglianza concernente la richiesta di sospensione, la critica non si confronta con il contenuto della decisione gravata, la quale prendendo atto di quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 12307/2015) ha correttamente ritenuto la superfluità della querela di falso ai fini dell’accertamento della validità o meno del testamento, procedendo quindi alla decisione dell’impugnazione alla luce dei mezzi istruttori validamente assunti.

Il secondo motivo denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quanto all’esclusivo utilizzo della CTP nel giudizio di appello.

Il motivo è inammissibile in quanto formulato sulla base della vecchia rubrica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non più applicabile alla fattispecie, vertendosi in materia di impugnazione di sentenza pubblicata in data successiva all’entrata in vigore della novella di cui alla L. n. 134 del 2012.

Peraltro la censura si risolve in un’infondata contestazione alla valorizzazione da parte del giudice di merito, nell’esercizio del proprio insindacabile potere di apprezzamento delle prove, di una consulenza tecnica di parte, e ciò malgrado in motivazione la Corte distrettuale abbia adeguatamente spiegato le ragioni per le quali la consulenza d’ufficio era in parte inattendibile, essendo stata fuorviata dall’erroneo presupposto che la sottoscrizione apposta in calce alla richiesta di fornitura idrica fosse sicuramente riferibile alla testatrice, come invece era sicuramente a dirsi per le altre sottoscrizioni, contenute in atti pubblici, e dalle quali si rilevava l’evidente difformità rispetto alla firma apposta in calce al testamento.

Il terzo motivo denuncia un non meglio dettagliato vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, reiterandosi la critica alla decisione di appello per essersi avvalsa delle conclusioni della CT di parte, valorizzando quanto sarebbe emerso ictu oculi dal riscontro tra la firma di cui al testamento e le firme di comparazione contenute in atti pubblici.

Anche tale censura denota evidentemente la sua inammissibilità in quanto finalizzata a sottoporre a questa Corte una non consentita richiesta di sindacato delle valutazioni tipicamente riservate al giudice di merito, nonostante le stesse siano supportate da una logica e coerente motivazione.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla per le spese per gli intimati che non hanno svolto attività difensiva.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso a norma del cit. art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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