Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10659 del 03/05/2010

Cassazione civile sez. I, 03/05/2010, (ud. 24/03/2010, dep. 03/05/2010), n.10659

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16078/2008 proposto da:

B.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA F.S. NITTI 11, presso l’avvocato PESCITELLI

VINCENZO (STUDIO GIRARDI-VISCIONE), rappresentata e difesa

dall’avvocato CANCELLARIO Camillo, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

sul ricorso 20520/2008 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

B.A.;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

14/05/2007; n. 50173/06 R.G.A.D.;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

24/03/2010 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato M. MARINO, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso principale, rigetto del ricorso

incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo,

questione di legittimità costituzionale, inammissibile il ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla Corte di appello di Roma del 29 dicembre 2005, la signora B.A. chiese che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrisponderle l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001, per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e della libertà fondamentali, in relazione ad una domanda di ammissione al passivo del fallimento della società alle cui dipendenze aveva lavorato. La domanda di ammissione era del marzo 1993, ma il progetto di riparto era stato depositato soltanto nel novembre 2005. L’amministrazione si difese nel merito, ed eccepì la prescrizione per il periodo anteriore al quinquennio dalla proposizione del ricorso.

Con decreto del 14 maggio 2007, la Corte di appello accertò che il giudizio presupposto, di attribuzione del credito in via privilegiata, non presentava problemi di difficile soluzione, e che la sua durata ragionevole sarebbe stata di tre anni, e concludersi nel marzo 1996; accolse l’eccezione di prescrizione per il periodo anteriore al quinquennio calcolato a ritroso dalla data del ricorso.

La corte liquidò, per il danno non patrimoniale, Euro 5.000,00 per i cinque anni di eccessivo ritardo non coperti da prescrizione, compensò in ragione di metà le spese del giudizio, e pone le rimanenti a carico del ministero.

Avverso questo decreto, non notificato, la signora B. ha proposto ricorso per Cassazione notificato il 5 giugno 2008, fondato su tre motivi. L’amministrazione resiste con controricorso e ricorso incidentale per due motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due ricorsi, proposti contro il medesimo decreto, devono essere riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo morivo di ricorso, denunciando la violazione di norme di diritto, la ricorrente censura l’affermazione della parziale prescrizione del suo credito, e pone il quesito se il diritto all’equa riparazione del danno per l’irragionevole durata del processo, verificatosi prima dell’entrata in vigore della L. n. 81 del 2001, debba essere riconosciuto anche per il periodo anteriore al quinquennio dalla proposizione del ricorso.

Il motivo è fondato. Questa corte ha già avuto occasione di affermare il principio di diritto, in forza del quale il decreto impugnato deve essere ora cassato, che, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (Cass. 30 dicembre 2009 n. 27719).

L’accoglimento di questo motivo comporta la cassazione del decreto e l’assorbimento degli altri due.

Con il primo motivo di ricorso incidentale si censura la determinazione della durata ragionevole del processo presupposto per vizi di motivazione. Con il secondo motivo si censura l’omesso esame circa il ridimensionamento della posta in gioco.

Nessuno dei due motivi è seguito dalla formulazione di un principio di diritto, o dalla chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, nè dalle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, come è prescritto a pena d’inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis. Il ricorso incidentale è pertanto inammissibile.

L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale comporta la cassazione del decreto impugnato. La causa, inoltre, può essere decisa anche nel merito, non richiedendosi a tal fine ulteriori indagini in fatto.

Al riguardo è da osservare che il cosiddetto bonus, spettante in ragione: della particolare natura della causa, non era stato richiesto nel giudizio davanti alla corte d’appello, dove invece la parte ricorrente aveva espressamente dichiarato di ritenere “equo e giusto” richiedere Euro 1.000,00 per ogni anno, senza alcun cenno alla maggiorazione per la natura del giudizio. Il moltiplicatore della base annuale di calcolo è determinato in relazione al periodo eccedente lai durata ragionevole del giudizio – già accertata dalla corte territoriale in tre anni – in conformità dal dettato della L. n. 89 del 2001, art. 2 (cfr. Cass. 19 novembre 2007 n. 23844; 13 aprile 2006 n. 8714; 23 aprile 2005 n. 8568).

Il Procuratore generale, concludendo per l’accoglimento del terzo motivo di ricorso principale, vertente su questo punto, ha prospettato una questione di legittimità costituzionale, movendo dal presupposto che la Corte europea dei diritti dell’uomo avrebbe affermato l’illegittimità del criterio di calcolo contenuto nella L. n. 89 del 2001, art. 2, ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole. Il Procuratore generale non ha indicato le sentenze nelle quali dovrebbe rinvenirsi l’affermazione citata. Nella sentenza della Grande Camera 29 marzo 2006, caso Scordino, tuttavia, la corte, esaminando specificamente questo problema, si limita ad osservare che “anche se il metodo di computo previsto dal diritto interno non corrisponde esattamente ai criteri stabiliti dalla Corte, un’analisi della giurisprudenza dovrebbe consentire alle corti di appello di concedere somme che non siano irragionevoli se confrontate con quelle concesse dalla Corte in casi simili”, e giudica che l’applicazione di un ammontare annuo di Euro 700,00, corrispondente in quel caso ad Euro 175,00 per ciascuno dei ricorrenti rappresenta circa il 10% di quanto essa generalmente concede in cause italiane simili, e solo sotto questo profilo è inadeguato. Il giudizio riportato conferma che la questione qui dibattuta non è considerata direttamente rilevante ai fini della valutazione di congruità, mentre il confronto deve essere fatto solo con il risultato complessivo. Manca dunque il presupposto dell’ipotizzato contrasto della L. n. 89 del 2001, art. 2, con la convenzione europea, e con il principio dell’equo processo consacrato nell’art. 111 Cost., e ciò rende la questione di costituzionalità manifestamente infondata.

In conclusione l’equa riparazione dovuta nella fattispecie è di Euro 9.000,00, con gli interessi dalla domanda. Le spese dell’intero giudizio sono a carico dell’amministrazione, soccombente, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale e dichiara assorbiti gli altri; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’amministrazione al pagamento, in favore della ricorrente, della somma di Euro 9.000,00, con gli interessi dalla domanda. La condanna altresì al pagamento delle spese processuali, che liquida, per il grado davanti alla corte d’appello, in Euro 1.150,00, di cui Euro 600,00 per onorari e Euro 500,00 per diritti; e per il presente giudizio in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 900,00 per onorari; nonchè al pagamento delle spese generali e degli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte Suprema di Cassazione, il 24 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2010

 

 

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