Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10659 del 02/05/2017

Cassazione civile, sez. VI, 02/05/2017, (ud. 12/04/2017, dep.02/05/2017),  n. 10659

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1174/2015 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PILO

ALBERTELLI 1, presso lo studio dell’avvocato LUCIA CAMPOREALE,

rappresentato e difeso da sè medesimo;

– ricorrente –

contro

STATO ITALIANO, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri

pro tempore, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del

Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore – C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

per regolamento di competenza avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di

ROMA, depositata il 27/11/2014, emessa sul procedimento iscritto al

n. R.G. 72439/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/04/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. BASILE Tommaso, che chiede

dichiararsi la competenza del Tribunale di Perugia;

udito l’Avvocato S.S. che conferma quanto evidenziato

nelle memorie e chiede l’accoglimento dell’istanza di ricusazione.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

l’avv. S.S. ha proposto, in relazione al regolamento di competenza n.r.g. 1174/2015, istanza di ricusazione del dott. F.R. per i seguenti motivi: a) è stata proposta azione di responsabilità ai sensi della L. 13 aprile 1988, n. 117, anche per la condotta professionale del magistrato ricusato; b) il dott. F. si è reso responsabile delle condotte nell’atto di citazione relativo al giudizio menzionato, ed in particolare per essere stato nella veste di relatore componente di collegio che aveva deciso in ordine ad un ricorso proposto dall’odierno istante sia in violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia sia, anzichè nel merito, una volta che la causa era stata fissata per la trattazione in pubblica udienza, sulla base delle ragioni di inammissibilità indicate in precedente relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., previgente depositata dal medesimo dott. F., ragioni erronee stante la ritualità dei quesiti di diritto formulati; c) l’operato del giudice così illustrato (peraltro nella causa per la responsabilità ai sensi della L. 13 aprile 1988, n. 117, era stata anche proposta querela di falso) si spiegava in termini di grave inimicizia; d) il dott. F. aveva omesso di astenersi e la mancata astensione deponeva per l’esistenza di un interesse nella causa.

L’istante ha quindi sollevato eccezione d’illegittimità costituzionale dell’art. 53 c.p.c., per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui attribuisce ad un collegio composto di soli giudici togati, senza il correttivo della presenza quantomeno di rappresentanti della collettività (sul modello della Corte d’assise), la decisione della ricusazione del giudice.

E’ stata fissata l’adunanza camerale di discussione del ricorso per ricusazione. Il ricorrente ha depositato memoria difensiva. Per la detta adunanza è stato convocato anche il giudice ricusato, che non è comparso. Il ricorrente ha partecipato personalmente alla discussione orale.

Considerato che:

va premesso che il contraddittorio, stante la natura giurisdizionale del procedimento, risulta garantito dalle comunicazioni disposte e dalla partecipazione all’adunanza camerale dello stesso istante. L’audizione del giudice ricusato è obbligatoria se richiesta dal medesimo ricusato o nell’eventualità che risulti necessaria per ragioni probatorie (Cass. Sez. U. 22 luglio 2014, n. 16627). Nessuno dei due presupposti ricorre nel caso di specie, anche alla luce della documentazione in atti, sufficiente per l’esame dell’istanza.

Entrando nel merito dei singoli motivi a base dell’istanza di ricusazione, va riaffermato, con riferimento al motivo sub a), che in tema di ricusazione del giudice, non è “causa pendente” tra ricusato e ricusante, ai sensi dell’art. 51 c.p.c., n. 3, il giudizio di responsabilità di cui alla L. 13 aprile 1988, n. 117, atteso che il magistrato non assume mai la qualità di debitore di chi abbia proposto la relativa domanda, questa potendo essere rivolta, anche dopo la L. 27 febbraio 2015, n. 18, nei soli confronti dello Stato (Cass. Sez. U. 23 giugno 2015, n. 13018; Sez. U. 22 luglio 2014, n. 16627).

L’istanza di ricusazione non è tuttavia fondata sulla mera deduzione del giudizio di responsabilità menzionato, ma anche sulla concreta condotta adottata dal magistrato ricusato nel processo tale, secondo l’istante, da integrare il presupposto della grave inimicizia. Si passa così ai motivi sub b) e sub c). Sul punto va subito precisato che la condotta denunciata, ascritta dall’istante al magistrato ricusato, è in realtà riconducibile al collegio di cui il ricusato faceva parte. Anche con riferimento a tale motivo di ricusazione va comunque riaffermato che l’inimicizia deve riguardare rapporti estranei al processo, e non può, in linea di principio, consistere in comportamenti processuali del giudice, ritenuti anomali dalla parte, la quale è tenuta a indicare fatti e circostanze concrete, che rivelino l’esistenza di ragioni di rancore o di avversione (Cass. Sez. U. del 8 ottobre 2001, n. 12345). Come ulteriormente chiarito, la grave inimicizia del magistrato deve comunque trovare ancoraggio in dati di fatto concreti e precisi estranei alla realtà processuale, autonomi rispetto a questa, la quale deve solo costituire un sintomatico momento dimostrativo – per induzione – della sussistenza del citato presupposto di fatto rilevante per la ricusazione. (Cass. pen. del 19 gennaio 2000, n. 316). L’istante non ha indicato alcuna circostanza esterna al processo sulla cui base desumere che il contegno processuale, asseritamente illegittimo secondo la prospettazione del medesimo istante, costituisca sintomo della grave inimicizia.

Da ultimo si denuncia l’esistenza di interesse nella causa desunto dalla mancata astensione del giudice ricusato. A fronte del carattere personale e diretto dell’interesse alla decisione della causa, rilevante ai sensi dell’art. 51 c.p.c., comma 1, n. 1, la mancata astensione da parte del giudice ricusato è di per sè sola priva di significato ai fini della dimostrazione dell’esistenza dell’interesse in discorso. L’obbligo di astensione, quale effetto dell’esistenza dell’interesse nella causa, presuppone la ricorrenza delle circostanze di fatto alla base del detto interesse e non può, pena la circolarità dell’argomento, dimostrare ciò che ne costituisce la premessa. L’istante deve dunque denunciare il presupposto di fatto dell’interesse nella causa, e non l’inottemperanza al dovere di astensione, che di quel presupposto rappresenta la conseguenza. Nel caso di specie il presupposto di fatto dell’interesse nella causa non risulta neanche allegato. Ovviamente privo di rilievo è il mancato esercizio della facoltà di astensione ai sensi dell’art. 51, comma 2, in quanto estranea all’ambito normativo della ricusazione.

Manifestamente infondata è infine la questione di legittimità dell’art. 53 c.p.c., comma 1, per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui attribuisce la decisione sulla ricusazione del giudice togato ad un collegio di soli giudici togati, atteso che il procedimento di ricusazione non è un procedimento “a carico” del giudice ricusato, e neppure un procedimento del quale egli sia “parte”, sicchè non rileva il generico sospetto di parzialità del giudice della ricusazione in ragione della mera “colleganza” col giudice ricusato (Cass. Sez. U. 22 luglio 2014, n. 16627, ed altre successive conformi). La materia resta così riservata alla discrezionalità del legislatore.

La parte che ha proposto infondatamente l’istanza di ricusazione va condannata al pagamento di una pena pecuniaria che, stante la specificità ed i connotati del giudizio, si stima equo irrogare nell’ammontare di Euro 150,00.

PQM

Rigetta l’istanza di ricusazione del dott. F.R. e condanna la parte ricusante al pagamento della pena pecuniaria di Euro 150,00.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2017

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