Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10657 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/06/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 05/06/2020), n.10657

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 596-2018 proposto da:

S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GUALTIERO

SERAFINO 8/A, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO

MIGLIORINO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO AMATUCCI

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.L., domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione, e rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI

CLEMENTE giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 805/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 05/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/12/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dal ricorrente.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

S.P. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Salerno il fratello S.L. affinchè, previa declaratoria di nullità ovvero di inefficacia degli atti di vendita di cui alla stessa citazione, per essere in realtà delle donazioni effettuate dalla madre V.E. in favore del convenuto, fosse adottato ogni conseguenziale provvedimento, anche per l’ipotesi di alienazione dei beni a terzi, con la condanna del convenuto ad immetterlo nel possesso dei beni in relazione alla quota spettante all’attore.

Deduceva che il (OMISSIS) era deceduta ab intestato la madre e che gli unici eredi erano i figli S.P. e S.L. e che tra i beni relitti vi era un solo terreno in (OMISSIS).

Aggiungeva che in vita con due atti pubblici del 1996, la de cuius, per la quota di sua spettanza, aveva venduto al convenuto la proprietà di alcuni immobili, ma che in realtà si trattava di donazioni dissimulate, essendo evidente l’intento delle parti di sottrarre i beni alienati alle sue aspettative di erede.

Nella resistenza del convenuto il quale insisteva per l’effettività della vendita, avendo egli in vita provveduto ad estinguere un’ipoteca che i genitori avevano acceso sui beni poi alienati a garanzia di un mutuo concesso in favore dell’attore, il Tribunale con la sentenza n. 21/2012 rigettava la domanda.

La Corte d’Appello di Salerno con la sentenza n. 805 del 5/9/2017 rigettava l’appello principale ed incidentale, compensando le spese del grado.

Quanto all’appello principale, rilevava l’inammissibilità in quanto nuove delle eccezioni e deduzioni di cui all’atto di impugnazione proposto dall’attore.

Questi in primo grado si era limitato solo ad invocare la dichiarazione di nullità ed inefficacia degli atti di vendita, sul presupposto che fossero simulati, ma non aveva mai avanzato anche domanda di riduzione e di reintegrazione della quota di legittima, con la conseguenza che il richiamo alle relative norme fatto in appello era tardivo e come tale inammissibile. Del pari risultava poi infondata l’eccezione di nullità della sentenza per violazione dell’art. 50 bis c.p.c., n. 6, atteso che, non essendo stata proposta nè una domanda di riduzione nè un’impugnativa di testamento, non ricorreva un’ipotesi di collegialità, ben potendo quindi la causa essere decisa dal Tribunale in composizione monocratica.

Inoltre, se era fondata la deduzione dell’appellante secondo cui all’azione proposta (di simulazione elativa) si applicava la prescrizione decennale, e non quinquennale, come invece opinato dal giudice di primo grado, doveva però confermarsi la valutazione circa la mancata prova della dedotta simulazione. Infatti, non essedo stata avanzata anche domanda di riduzione, la prova della simulazione era sottoposta alle limitazioni previste per le parti del contratto ex art. 1417 c.c., non potendo l’attore invece avvalersi del regime agevolato concesso ai terzi ovvero ai legittimari che agiscano in riduzione.

Infine andava disatteso anche l’appello incidentale, essendo reputata corretta la decisione del Tribunale di compensare le spese di lite.

Per la cassazione di tale sentenza S.P. ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi.

S.L. ha resistito con controricorso.

Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c., laddove la Corte d’Appello ha ritenuto inammissibili in quanto nuove, le deduzioni sviluppate in appello con il richiamo alle norme in tema di risoluzione delle donazioni lesive della quota di legittima.

Assume il ricorrente che erroneamente si è ritenuto che l’attore non avesse formulato tale domanda già in primo grado, essendo evidente che il richiamo alla nullità ed inefficacia delle vendite, in quanto costituenti in realtà delle donazioni, con la richiesta di essere reimmesso nel possesso di tali beni, denotava la volontà di agire anche a tutela della quota di legittima.

Il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia in ordine alla domanda di riduzione, e per essersi esclusa la possibilità per l’attore di dimostrare la natura simulata delle vendite con il ricorso al regime delle presunzioni ex art. 1417 c.c..

Si rinvia a quanto dedotto in occasione del primo motivo, ribadendosi che le conclusioni assunte sul punto dalla Corte distrettuale sono frutto di un’erronea interpretazione della domanda.

Il quarto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, rappresentato dalla erronea qualificazione della domanda, come proposta già in primo grado, che ha portato il giudice di appello a ritenere tardiva la doglianza quanto alla idoneità delle vendite, in quanto donazioni dissimulate, a ledere la quota di riserva dell’istante.

I tre motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.

I giudici di merito, con ampia ed adeguata motivazione, partendo appunto dalle stesse espressioni utilizzate dal ricorrente nell’atto di citazione, hanno interpretato la domanda proposta pervenendo alla conclusione secondo cui il riferimento contenuto nello stesso atto al compimento di una donazione, non permetteva di affermare che fosse stata proposta anche un’azione di riduzione, mancando l’allegazione dell’effettiva esistenza della lesione della quota di riserva, ed essendosi il ricorrente limitato nelle richieste finali unicamente a richiedere di ricomprendere nell’asse ereditario anche i beni alienati al germano.

Ad avviso del Collegio non vi sono validi argomenti per discostarsi da tale affermazione.

Ed, invero ribadita l’autonomia delle domande di riduzione e di divisione, e ciò alla luce dei precedenti di questa Corte (cui adde ex multis Cass. n. 22855/2010), è però indubbio che la corretta individuazione della domanda proposta non possa prescindere dalla disamina congiunta della causa petendi e del petitum. Ne consegue che quand’anche nell’esposizione della prima possa essersi fatto riferimento alla possibilità che le donazioni di cui si chiedeva accertarsi la simulazione fossero in grado di ledere la quota di legittima (il che non emerge da quanto riportato nello stesso ricorso, ove si fa generico riferimento alla tutela dei diritti dell’attore), la richiesta dell’appellante espressiva del petitum, era chiaramente rivolta all’accertamento della simulazione che non risulta di per sè univocamente funzionale all’accoglimento dell’azione di riduzione.

In primo luogo, ove anche venisse accertato che la vendita dissimula una donazione, l’eventuale carenza dei requisiti formali nell’atto simulato necessari per la validità dell’atto dissimulato, renderebbe quest’ultimo nullo, e comporterebbe quindi che il bene non è mai uscito dal patrimonio del donante, potendo sullo stesso vantare delle pretese a titolo di erede legittimo.

Ma ove anche si provasse la sola esistenza della donazione, sibbene valida sotto il profilo formale (per essere gli atti di vendita rogati con l’assistenza dei testimoni come richiesto per la validità formale della donazione), l’erede potrebbe in ogni caso avvantaggiarsi da tale accertamento, anche non spiegando azione di riduzione, in virtù dell’operare del diverso istituto della collazione (vertendosi in materia di comunione ereditaria tra figli), che in caso di opzione per la collazione in natura, determinerebbe l’effettivo rientro dei beni nella comunione.

Ne deriva che la semplice richiesta del ricorrente di essere reimmesso nel possesso dei beni, sul quale insiste la tesi difensiva della parte, non è univocamente rivelativa dell’avvenuta proposizione ab initio anche dell’azione di riduzione.

Il maggior risultato in termini economici assicurato dalla collazione rispetto alla sola riduzione della donazione, evidenzia anche come appaia infondata la deduzione del ricorrente secondo cui il riferimento alla donazione non poteva che essere funzionale all’azione di riduzione, posto che, laddove fossero ricorsi i presupposti per l’operatività della collazione (e precisamente l’esistenza di un relictum, invece assente), il bene donato sarebbe rientrato nella massa nella sua interezza, e non solo ai fini della riunione fittizia, ed al ben più limitato effetto di determinare quale fosse la quota di riserva compromessa dall’atto di liberalità.

D’altronde e proprio alla luce di quanto affermato da Cass. n. 20143/2013, va ribadita l’autonomia tra l’azione di riduzione e quella di divisione o comunque dell’azione di simulazione esercitata dall’erede, senza spendita anche della qualità di legittimario, il che comporta, attesa la correttezza ed incensurabilità dell’interpretazione della domanda attorea offerta dal giudice di appello, che correttamente è stata ravvisata la novità della domanda di riduzione avanzata per la prima volta solo in grado di appello, risultando del pari corretta la decisione di accertare la simulazione senza poter far ricorso ad elementi di carattere presuntivo.

Il terzo motivo lamenta, infine, la violazione dell’art. 50 bis c.p.c., in combinato disposto con l’art. 50 quater c.p.c., e art. 161 c.p.c., assumendosi che la decisione di prime cure sarebbe stata erroneamente adottata dal Tribunale in composizione monocratica, senza che la Corte d’Appello, sebbene sollecitata con uno specifico mezzo di impugnazione, abbia rilevato tale errore.

Le superiori considerazioni in ordine alla corretta qualificazione della domanda proposta, che hanno escluso che fosse stata avanzata anche domanda di riduzione, danno contezza anche dell’infondatezza del motivo in esame, essendo evidente che non ricorreva una delle fattispecie per le quali il legislatore, a seguito della riforma del cd. giudice unico, ha conservato la competenza del tribunale in composizione collegiale.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui ai D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma del cit. art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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