Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10655 del 03/05/2010

Cassazione civile sez. I, 03/05/2010, (ud. 11/03/2010, dep. 03/05/2010), n.10655

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.P., nella qualita’ di Curatore del fallimento della

RAGUSANA APPALTI S.R.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA V.

CRISAFULLI 60, presso l’avvocato BLUNDO FRANCESCO, rappresentata e

difesa dall’avvocato BLUNDO GIUSEPPE, giusta procura ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCO DI SICILIA S.P.A., in persona del Responsabile dell’Ufficio

Contenzioso pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

CARSO 77, presso l’avvocato ALBERINI LUCIANO, rappresentato e difeso

dall’avvocato CRASSI’ CRISCIONE PAOLO, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

contro

SICILCASSA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA;

– intimata –

e sul ricorso n. 8082/2005 proposto da:

SICILCASSA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona

del Commissario Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ORAZIO 31, presso l’avvocato MATTEI GIANCARLO, che la

rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

FALLIMENTO RAGUSANA APPALTI S.R.L., BANCO DI SICILIA S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 883/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 28/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/03/2010 dal Consigliere Dott. CULTRERA Maria Rosaria;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale SICILCASSA

S.P.A., l’Avvocato MATTEI che ha chiesto il rigetto del ricorso

principale e l’accoglimento del ricorso incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso previa riunione, per il

rigetto del ricorso principale, previa correzione della motivazione

con riferimento al primo motivo, l’assorbimento di quello

incidentale; spese della SICILCASSA a carico del fallimento; spese

del BANCO DI SICILIA compensate per meta’.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione 3.3.1999, il curatore del fallimento della Ragusana Appalti s.r.l. adi il Tribunale di Ragusa per ottenere la revoca, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, di rimesse asseritamente solutorie eseguite in L. 553.109.239 dalla fallita nell’anno antecedente al suo fallimento sul c/c n. (OMISSIS), affidato fino a L. 160.000.000, e la condanna della Sicilcassa s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa e del Banco di Sicilia, subentrato alla Sicilcassa in forza di cessione di tutte le attivita’ e passivita’ ad essa facenti capo, giusta atto per notaio Ugo Serio del 6.9.1997, alla restituzione della somma anzidetta.

Dedusse che la Cassa Centrale di Risparmio per le Province Siciliane V.E., cui era subentrata la Sicilcassa, aveva aperto il conto in favore della societa’ Ragusana Appalti e all’epoca delle rimesse controverse ne conosceva lo stato d’insolvenza in quanto il 4.8.1993 le aveva revocato gli affidamenti, e nei suoi confronti, con ricorso 12.8.1993, aveva chiesto ed ottenuto ingiunzione di pagamento per L. 357.000.000.

I convenuti si costituirono. La Sicilcassa eccepi’ l’improcedibilita’ della domanda ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 83 ed il Banco di Sicilia contesto’ la propria legittimazione assumendo che il credito controverso non rientrava tra le passivita’ trasmesse col menzionato atto di cessione.

Espletata l’istruttoria anche a mezzo c.t.u., il Tribunale di Ragusa, con sentenza n. 556/2001, accolse la domanda e condanno’ il Banco di Sicilia al pagamento della somma di L. 695.481.619 in favore della procedura istante. Il Banco di Sicilia ed in via incidentale la Sicilcassa impugnarono la decisione innanzi alla Corte d’appello di Catania. Il Banco di Sicilia dedusse che la cessione era avvenuta in forza del disposto del R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, art. 90 T.U. bancario e percio’ aveva ad oggetto solo le passivita’ gia’ ammesse allo stato passivo della procedura di l.c.a.. La Sicilcassa ribadi l’improcedibilita’ della domanda, e dedusse l’incompetenza del Tribunale adito per essere competente in senso inderogabile il Tribunale di Palermo, entro il cui circondario, rientrandovi la sua sede legale, si era aperta la procedura di l.c.a..

La Corte territoriale, con sentenza n. 883 depositata il 28.9.2004 e notificata il 4.1.2005 ad istanza del Banco di Sicilia ed il 14.2.2005 ad istanza della Sicilcassa, ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Banco di Sicilia ed ha rigettato la domanda nei confronti della Sicilcassa, sostenendo che:

1.- la cognizione in materia di revocatoria si apparteneva al Tribunale ragusano adito ai sensi della L. Fall., art. 24. L’azione era sicuramente proponibile ancorche’ fosse stata esperita contro la Sicilcassa in l.c.a., in quanto tesa a declaratoria d’accertamento dell’inefficacia delle rimesse controverse.

2.- nel merito, il debito da restituzione, derivante dall’azione revocatoria esercitata dalla curatela con atto 3.3.99, sarebbe sorto per effetto della sentenza di accoglimento della domanda di revoca, avente natura costitutiva, e retroagendo alla data del 3.3.99, in cui era stata introdotta suddetta domanda, non rientrava percio’ fra le passivita’ trasferite dalla Sicilcassa al Banco di Sicilia con l’atto di cessione per notaio Serio del (OMISSIS);

2.- non risultava provata la scientia decotionis in capo alla Sicilcassa.

Avverso questa statuizione, il curatore del fallimento della Ragusana Appalti s.r.l. ha proposto il presente ricorso per Cassazione affidato a due motivi, resistiti con controricorso da entrambi gli intimati. La Sicilcassa ha altresi’ proposto ricorso incidentale condizionato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In linea preliminare ai sensi dell’art. 335 c.p.c. si dispone la riunione dei ricorsi aventi ad oggetto la medesima decisione.

Il fallimento denuncia col primo motivo violazione degli artt. 1273, 1321, 1322, 1346, 1348, 1362 e 1363 c.c. deducendo che l’approdo e’ fondato sull’errata interpretazione, peraltro esposta con motivazione insufficiente ed illogica, dell’atto di cessione intervenuto tra gli enti bancari convenuti, che trasferi’ al Banco di Sicilia sopravvenienze attive o passive anche riconducibili a rapporti in corso, come tali future. Il credito controverso, appunto futuro ma determinabile ex art. 1346 c.c. in quanto traente titolo da pagamenti eseguiti nel 1994 precedenti alla cessione, rientrava nella previsione di tale contratto traslativo, ed andava trattato in sede giudiziale al pari delle passivita’ ad esso preesistenti. La Corte territoriale ha fatto malgoverno dei criteri legali d’interpretazione dei contratti, pervenendo a conclusione errata.

Il Banco di Sicilia replica assumendo che presupposto legale inderogabilmente stabilito dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90 per il trasferimento delle attivita’ di ente creditizio sottoposto a l.c.a.

e’ la loro ammissione allo stato passivo della procedura, nella specie insussistente. Il credito in discussione, ed il corrispettivo debito, rappresentano sopravvenienze che sorgono ex novo dalla relativa sentenza, avente natura costitutiva. Col secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 67 c.p.c., comma 2 e dell’art. 2729 c.c. e censura l’impugnata sentenza nella parte in cui, con motivazione illogica e contraddittoria, ha escluso la scientia decotionis in capo alla Sicilcassa, sull’assunto che questa non poteva presumere lo stato di decozione della Ragusana Appalti, stante il notevole importo dei versamenti eseguiti sul conto, circostanza, di contro, univoca in senso contrario.

Col ricorso incidentale la Sicilcassa denunziando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, artt. 3 e 83 censura la sentenza impugnata per aver respinto la sua eccezione d’improponibilita’ della domanda del fallimento proposta nei suoi confronti successivamente all’apertura della liquidazione coatta amministrativa.

Il primo motivo del ricorso principale appare privo di pregio.

Innanzitutto devesi escludere il preteso vizio di motivazione, in quanto il tessuto argomentativo che sorregge la decisione impugnata espone con puntualita’ e completezza il sillogismo che ne sorregge la conclusione fondato sull’esegesi dell’atto di cessione intervenuto fra gli istituti di credito convenuti, che ebbe ad oggetto attivita’ e passivita’ esistenti alla sua data, tra cui non rientrava il debito in discussione in quanto il corrispondente credito della procedura fallimentare, traendo origine dall’esperita azione revocatoria e retroagendo, in ragione della natura costitutiva di tale azione, alla data della sua introduzione, non era a quella data ancora sorto.

L’apprezzamento del contenuto del menzionato atto, peraltro genericamente censurato, attiene altresi’ a tipica quaestio voluntatis, non sindacabile in questa sede.

Ne discende la conferma in parte qua della decisione di rigetto della domanda originaria del fallimento, nella considerazione che il credito in discussione non e’ stato trasferito al Banco di Sicilia che per l’effetto e’ privo di legittimazione passiva.

Nell’esercizio del potere correttivo spettante a questa Corte ai sensi dell’art. 384 c.c., comma 2, deve pero’ sostituirsi la motivazione in diritto esposta dalla Corte territoriale siciliana assumendo per l’effetto che l’atto di cessione, siccome e’ pacificamente intervenuto fra la Sicilcassa in liquidazione coatta amministrativa ed il Banco di Sicilia a mente del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, come quest’ultimo convenuto eccepi’ e ribadi’ in appello, ebbe ad oggetto le sole passivita’ ammesse allo stato passivo della procedura.

La disposizione citata stabilisce infatti che i commissari, col parere favorevole del comitato di sorveglianza e previa autorizzazione della Banca d’Italia, possono cedere le attivita’ e le passivita’, l’azienda, rami d’azienda nonche’ beni e rapporti giuridici individuabili in blocco. La cessione puo’ intervenire in qualsiasi stadio della procedura, ed anche prima del deposito dello stato passivo, ma il cessionario risponde delle sole passivita’ ammesse allo stato passivo.

Esplorata quasi esclusivamente in dottrina, tale figura, avendo oggetto determinato, soggiace alla regola che fissa la misura e l’identita’ delle posizioni debitorie trasmesse al cessionario con esclusivo riferimento allo stato passivo della procedura di l.c.a.

del cedente, che funge da parametro imprescindibile per poter far valere ogni ragione nei confronti dell’istituto subentrante, e in senso speculare da limite entro il quale quest’ultimo risponde dei debiti contratti dal cedente. Solo il riferimento al risultato della formazione dello stato passivo puo’ infatti dare compiuta realizzazione all’esigenza di salvaguardia del diritto del cessionario a conoscere con certezza lo stato patrimoniale dell’impresa in stato di crisi, di cui si assume le passivita’ – Cass. n. 24635/2009.

Seppur, come taluno afferma, si ritenesse ammessa, la deroga a tale regola per volonta’ delle parti stipulanti la cessione postula in ogni caso che il patto contrario preveda espressamente l’accollo di ogni altra passivita’ gravante sulla procedura, che resta limitata ai debiti che, quali i debiti di massa, non necessitano di verifica in sede concorsuale.

Di tale deroga non vi e’ cenno in causa, e comunque non potrebbe operare con riguardo al credito fatto valere con l’azione revocatoria, che per sua natura non e’ affatto assimilabile a dette ultime passivita’.

Nel caso di specie la domanda di revoca venne formulata con atto del marzo 1999 e dunque, pur ammettendone la retrocessione a tale data, alla data dell’atto della cessione, intervenuta ben due anni prima, il credito azionato non era ancora venuto ad esistenza, ne’ pertanto la corrispondente passivita’ della Sicilcassa poteva esser stata accertata nell’alveo della procedura di l.c.a. secondo la regola del concorso.

A conferma, del resto, occorre osservare che, a mente del R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, art. 58 T.U. bancario non tutti i debiti imputabili alla banca ceduta sono accollati a quella subentrante, ma solo quelli inerenti all’esercizio di sedi o filiali oggetto della sostituzione, esistenti al momento della cessione e dotati dei requisiti della certezza e liquidita’. La norma prevede infatti che in caso di cessione di rapporti giuridici tra banche “i creditori ceduti” hanno facolta’, entro tre mesi dall’adempimento delle forme di pubblicita’ previste dalla legge, di esigere dal cedente o dal cessionario l’adempimento delle obbligazioni oggetto della cessione, e decorso tale termine il cessionario ne risponde in via esclusiva.

Il debito scaturente dal vittorioso esperimento dell’azione revocatoria fallimentare non e’ ne’ esistente, percio’ ne’ liquido ne’ esigibile, ma nasce dall’accoglimento della domanda il che vuol dire che prima del fallimento non esiste il diritto ad ottenere la restituzione del pagamento, cui corrisponderebbe la passivita’ della banca ceduta, ma il solo diritto potestativo a formulare la domanda di revoca. La conseguente responsabilita’ non puo’ pertanto comprendersi tra le passivita’ oggetto della cessione.

Il dato e’ assorbente e travolge l’indagine sul contenuto negoziale dell’atto stesso.

In ordine al secondo motivo devesi rilevare che la Corte territoriale ha condotto la sua indagine in ordine al requisito soggettivo dell’azione esercitata dalla procedura apprezzando i plurimi elementi acquisiti al bagaglio istruttorio che, nella loro sintesi ricostruttiva, ha ritenuto, secondo il suo giudizio insindacabile nel merito puntualmente argomentato, abbiano escluso che la convenuta abbia continuato a mantenere il suo rapporto con la cliente, quindi fallita, nella consapevolezza che la stessa versasse in stato d’irreversibile dissesto.

Ha sostenuto che il versamento eseguito nel periodo sospetto sul conto scoperto intestato alla societa’ Ragusana Appalti per importi anche notevoli, non assume quel connotato di univocita’ e gravita’ tale da far presumere in capo alla Sicilcassa la conoscenza della condizione di dissesto della sua cliente. Il dato e’ unico, e non e’ confortato dalle missive prodotte dal curatore fallimentare con cui si comunicava la revoca del fido, perche’ si riferiscono al 4.8.93, periodo successivo alle rimesse controverse, l’ultima delle quali venne eseguita il 27.7.1993, tanto meno dai protesti, che furono elevati a carico della societa’ dopo detta ultima data. Applicando correttamente la norma che governa la fattispecie, ha quindi ritenuto non provata in capo alla convenuta la scientia decoctionis, che il curatore aveva l’onere di dimostrare.

E’ pacifico a tal proposito che il requisito postulato dalla norma non puo’ essere desunto dalla mera astratta conoscibilita’ dello stato d’insolvenza del solvens, ma deve essere correlato alla sua conoscenza effettiva e concreta seppur evincibile da fatti tali da indurre soggetto di normale avvedutezza a ritenere sussistente lo stato di dissesto del debitore. Il principio e’ pacifico (Cass. nn. 4765/98, 11289/2001, 5917/2002). La decisione criticata col mezzo in esame, sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici, applica correttamente suddetta previsione normativa che onera la procedura della prova circa l’esistenza del requisito soggettivo dell’azione esercitata, che ha interpretato, secondo la costruzione esegetica offerta da questa Corte, nel senso che tale prova, pur potendo essere acquisita in via indiziaria, non e’ pero’ sufficiente se dimostra solo un’astratta conoscibilita’ oggettiva accompagnata da un presunto dovere di conoscere, come appunto avviene laddove l’accipiens sia una banca, siccome tale qualita’ non rileva di per se’, neppure se correlata al criterio astratto del creditore avveduto, se non vengono nel contempo riscontrati precisi collegamenti con i sintomi conoscibili dello stato d’insolvenza” (per tutte cfr. Cass. n. 1719/2001, n. 10573/2008 n. 10209/2009). E tali sintomi ha escluso perche’ successivi al periodo in cui furono eseguite le rimesse.

I motivi indirizzati contro questa conclusione si manifestano inammissibili in quanto smentiscono la fondatezza dell’apprezzamento condotto dal giudice di merito sui fatti esaminati e del giudizio che ne ha tratto, logicamente motivato, e ne offrono lettura in tesi corretta e comunque ad esso piu’ favorevole. La valutazione circa la gravita’, precisione e concordanza dei detti sintomi nel loro complesso e’ affidata al giudizio dell’organo di merito e non e’ sindacabile in questa sede.

Il ricorso devesi pertanto rigettare.

Il ricorso incidentale condizionato resta assorbito.

Ne consegue condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi; rigetta il principale e dichiara assorbito l’incidentale: condanna il ricorrente al pagamento delle spese giudiziali che liquida in complessivi Euro 7.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 11 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2010

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