Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10654 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/06/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 05/06/2020), n.10654

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11013-2018 proposto da:

V.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa da se stessa;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS);

– intimato –

avverso l’ordinanza n. R.G. 3510/2017 del TRIBUNALE di RIMINI,

depositata il 13/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA

FALASCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Rimini, con ordinanza n. 1350/2016 depositata il 04.11.2016, condannava – per quanto qui di interesse – il Poliambulatorio Flaminio, i Gobbi e la Cattolica Assicurazioni, in solido, al pagamento di Euro 660,00 per spese processuali in favore dell’Erario ed Euro 5.000,00 per compensi professionali in favore di G.E., difesa dall’Avv. V.L. ed ammessa al gratuito patrocinio.

Il Tribunale di Rimini, adito dallo stesso difensore nominato in sede di gratuito patrocinio, con successivo decreto, emesso in data 25.07.2017, determinava il compenso della V. per il patrocinio prestato a favore della G.E. nella minor somma di Euro 2.901,00.

A seguito di opposizione al decreto di liquidazione, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, proposto dalla V., il Tribunale di Rimini, rigettava l’opposizione affermando che il giudice avesse determinato correttamente il compenso professionale adottando i valori medi relativi a ciascuna fase processuale ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, ed applicando la riduzione prevista dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130, nonchè l’aumento per la difesa contro più convenuti nella misura del 20%.

Avverso l’ordinanza del Tribunale di Rimini la V. propone ricorso per cassazione, fondato su un unico motivo.

Il Ministero della giustizia è rimasto intimato.

Ritenuto che il ricorso potesse essere accolto, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

preliminarmente osserva il Collegio che non condivide la proposta del Consigliere relatore di definizione della controversia notificata alla parte costituita nel presente procedimento, alla quale non sono state mosse osservazioni critiche e l’intero ricorso deve essere respinto per le ragioni di seguito illustrate;

– venendo all’esame dell’unico motivo, con esso la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82, 130 e 133, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La V. lamenta l’erronea quantificazione della liquidazione del compenso professionale effettuata dal Tribunale ed in particolare deduce che in ipotesi di ammissione della parte difesa al gratuito patrocinio debba esserci una coincidenza tra quanto liquidato al difensore in sentenza dal giudice del giudizio di merito e quanto attribuito allo stesso difensore nella fase della liquidazione a norma del D.P.R. n. 115 del 2002.

Ai fini dell’inquadramento normativo della questione sollevata con il motivo di ricorso giova evidenziare che a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, comma 2, l’onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall’autorità giudiziaria con decreto di pagamento, osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità, tenuto conto della natura dell’impegno professionale, in relazione all’incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa.

Il successivo art. 130, contenente disposizioni particolari sul patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario, prescrive che gli importi spettanti al difensore, all’ausiliario del magistrato e al consulente tecnico di parte sono ridotti della metà.

Infine, l’art. 133 prevede che il provvedimento che pone a carico della parte soccombente, non ammessa al patrocinio, la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa, deve disporre che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato.

Secondo la giurisprudenza costituzionale la suddetta disciplina non lede il principio di parità di trattamento a causa del particolare criterio di remunerazione delle attività prestate in favore dei non abbienti, poichè il sistema è caratterizzato da peculiari connotazioni pubblicistiche e la riduzione dei compensi ai sensi del t.u.s.g., art. 130, non impone al professionista un sacrificio tale da “risolvere il ragionevole legame tra l’onorario a lui spettante ed il relativo valore di mercato, trattandosi, semplicemente, di una -parzialmente diversa – modalità di determinazione del compenso giustificato dalla considerazione dell’interesse generale che il legislatore ha inteso perseguire, nell’ambito di una disciplina, mirante ad assicurare al non abbiente l’effettività del diritto di difesa in ogni stato e grado del processo, nella quale la liquidazione degli onorari professionali è suscettibile di restare a carico dell’erario” (cfr., testualmente, Corte Cost. n. 122 del 2016; Corte Cost. n. 270 del 2012).

La normativa è coerente – inoltre – con il margine di ampia discrezionalità di cui dispone il legislatore nel dettare le norme processuali, nel cui novero sono comprese anche quelle in materia di spese di giustizia (Corte Cost. n. 270/2012 cit.).

Quanto alla potenziale lesione del diritto di difesa per effetto “della più ridotta platea di professionisti disposta a difendere in sede civile le parti non abbienti (data la minore rimuneratività di tale attività)”, può al più prospettarsi, non un vizio di costituzionalità, ma “un mero inconveniente di fatto non direttamente riconducibile alla applicazione della disposizione” (Corte Cost. n. 270/2012 cit.).

Posta la legittimità del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 130, ne consegue che, nel quantificare i compensi del difensore delle parti ammesse al gratuito patrocinio, non è in alcun caso consentito superare i limiti e le prescrizioni poste dalla suddetta normativa.

Pertanto, pure a voler ammettere che il giudice sia tenuto a quantificare detto compenso in misura corrispondente all’importo delle spese processuali poste a carico della parte soccombente (Cass. n. 21611 del 2017; Cass. n. 1843167 del 2016; Cass. pen. 46537 del 2011; Corte Cost. n. 270/2012 cit.), resta però che il difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio non ha alcun titolo ad ottenere più di quanto risulti dalla corretta applicazione delle disposizioni del testo unico, potendo contestare solo sotto tali profili il decreto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 82.

Nel caso in cui detto decreto abbia riconosciuto somme superiori a quelle liquidate in sentenza ai sensi dell’art. 91 c.p.c., legittimato a dolersi è esclusivamente la parte soccombente in giudizio, poichè “presupposto e finalità della rifusione delle spese di lite sono il rendere indenne la controparte delle spese effettivamente sostenute in ragione del processo, ma solo di quelle, esulando del tutto alcuna finalità “punitiva” del tipo di quella ora prevista dall’art. 96 c.p.c., u.c., (cfr. Cass. pen. 46537 del 2011; Cass. n. 22017 del 2018; Cass. n. 7560 del 2019).

La pronuncia non è incorsa nella violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130, poichè ha correttamente ridotto alla metà il compenso, come quantificato in base alla limitata complessità dell’attività svolta e delle questioni dibattute, sulla base della condotta tenuta dalle controparti, contumaci le Gobbi ed il Poliambulatorio Flaminio, solo chiamata in garanzia la Cattolica Assicurazione, in applicazione del D.M. n. 55 del 2014, (applicabile ratione temporis), non essendo vincolato all’importo richiesto in domanda.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Nessuna pronuncia sulle spese processuali in mancanza di difese da parte dell’intimato Ministero.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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