Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10652 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. I, 13/05/2011, (ud. 28/02/2011, dep. 13/05/2011), n.10652

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

FALLIMENTO DI C.A., in qualità di socio illimitatamente

responsabile della FISI S.n.c. di De Martin Pinter Eddy e Cossu Aldo,

in persona del curatore rag. M.V., elettivamente domiciliato

in Roma, alla via Pacuvio n. 34, presso l’avv. GUIDO ROMANELLI,

unitamente all’avv. PERRONE BENITO dal quale è rappresentato e

difeso in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

I.C.I. – INDUSTRIA COSTRUZIONI IMBALLI DI DIBRICO ARNALDO S.A.S.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano n. 1993/04,

pubblicata il 6 luglio 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28

febbraio 2011 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. Perrone per il ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. PRATIS Pierfelice, il quale ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Il curatore del fallimento di C.A., socio illimitatamente responsabile della FISI S.n.c. di De Martin Pinter Hddy e Cossu Aldo, convenne in giudizio la I.C.I. – Industria Costruzioni Imballi di Dierico Arnaldo S.a.s.. chiedendo la condanna della stessa al pagamento della somma di L. 132.000.000 o di L. 160.000.000, dovuta a titolo di corrispettivo per la vendita a rate con riserva di proprietà dell’azienda di costruzione di imballi in legno del fallito, ed in subordine la dichiarazione d’inefficacia della vendita, con la condanna della convenuta alla restituzione dell’azienda.

1.1. Con sentenza del 31 maggio 2001. il Tribunale di Milano ricondusse alla L. Fall., art. 44, la domanda di pagamento ed all’art. 67, comma 2, della medesima legge la revocatoria, dichiarando il diletto di legittimazione del curatore in ordine alla prima, per mancanza dell’autorizzazione del giudice delegato, e rigettando la seconda, per mancanza della prova della scientia decoctionis.

2. – L’impugnazione proposta dal curatore è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Milano, che con sentenza del 6 luglio 2004 ha dichiarato improponibile l’azione di condanna al pagamento delle rate scadute anteriormente alla dichiarazione di fallimento.

A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto che l’autorizzazione del giudice delegato dovesse essere interpretata alla luce della relativa istanza, nella quale il curatore si era chiaramente riferito all’azione contrattuale di adempimento, menzionando l’inefficacia dei pagamenti eseguiti successivamente alla dichiarazione di fallimento come mera ipotesi astratta; ha escluso inoltre che tale autorizzazione potesse essere estesa all’azione di cui all’art. 44, in quanto quest’ultima presuppone l’avvenuto pagamento, mentre quella autorizzata postulava l’inadempimento del debitore.

Quanto alla domanda di pagamento delle rate scadute anteriormente alla dichiarazione di fallimento, intervenuta il 1 dicembre 1994, la Corte ha rilevato che il contratto di compravendita, stipulato il 31 gennaio 1994, recava una clausola compromissoria, la cui operatività non poteva ritenersi esclusa in virtù della contestuale proposizione della domanda di cui alla L. Fall., art. 44, e dell’azione revocatoria, in quanto la prima non era stata autorizzata, mentre la connessione con la seconda, oltre a non essere configurabile, non risultava idonea ad escludere la competenza degli arbitri.

Precisato infine che, ove la revocatoria fallimentare abbia ad oggetto atti di disposizione del socio dichiarato fallito ai sensi della L. Fall., art. 147, la scientia decoctionis dev’essere riferita allo stato d’insolvenza della società, la Corte territoriale ha ritenuto irrilevanti le circostanze dedotte dal curatore ai fini della relativa prova, osservando che le stesse riguardavano la conoscenza non già dello stato d’insolvenza della FISI, ma di quello del C..

3. – Avverso la predetta sentenza il curatore del fallimento propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. La I.C.I. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 24 e degli artt. 40 e 819 bis cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddir toria motivazione circa un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato improponibile la domanda di pagamento delle rate scadute anteriormente alla dichiarazione di fallimento, in virtù della mancanza di autorizzazione a proporre la domanda di cui alla L. Fall., art. 44, e dell’inidoneità della connessione ad escludere la competenza degli arbitri.

Premesso che i pagamenti effettuati al fallito dopo l’apertura della procedura concorsuale non hanno efficacia liberatoria, sostiene che l’autorizzazione rilasciata dal giudice delegato non poteva essere intesa in senso restrittivo, dovendo essere estesa a lutti gli importi contrattualmente convenuti. Aggiunge che la diversità delle causae petendi non giustificava la disapplicazione dell’art. 40, non escludendo la connessione con l’azione revocatola e non trovando applicazione nella specie neppure l’art. 819 bis, avuto riguardo al carattere funzionale ed inderogabile della competenza spettante al Tribunale fallimentare.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., art. 25, n. 6 e art. 31, nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che l’autorizzazione concessa dal giudice delegato, posta in relazione con la relativa istanza, andava necessariamente estesa all’azione di cui alla L. Fall., art. 44, avendo esso ricorrente manifestato l’intento di acquisire all’attivo fallimentare tanto le rate di prezzo non pagate, quanto quelle pagate malamente.

3. – Il comune riferimento delle predette censure all’oggetto dell’autorizzazione concessa dal giudice delegato ne impone la trattazione congiunta.

E’ opportuno premettere che l’autorizzazione a promuovere un’azione giudiziaria, conferita al curatore del fallimento ai sensi della L. Fall., art. 25, comma 1, n. 6 e art. 31, copre, senza bisogno di specifica menzione, tutte le possibili pretese ed istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento dell’obiettivo del giudizio cui l’atto si riferisce, e l’eventuale limitazione della sua efficacia, in rapporto alla maggiore latitudine dell’azione effettivamente esercitala, da luogo ad una questione d’interpretazione di un atto avente natura processuale; tale questione può essere sollevata in sede di legittimità soltanto se proposta nel giudizio di merito, e, laddove (come nella specie) il giudice di merito si sia già pronunciato, è deducibile attraverso il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, negli stretti limiti in cui è consentito il sindacato di legittimità sulla motivazione (cfr. Cass. Sez. 1^, 5 novembre 2010. n. 22540; 11 gennaio 2005, n. 351).

Ciò posto, si osserva che la Corte d’Appello, nell’esaminare le censure mosse alla sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva dichiarato il difetto di legittimazione del curatore, ha individuato l’ambito di operatività dell’autorizzazione concessa dal giudice delegato in base all’esame della relativa istanza, nella quale si riferiva dell’inadempimento della vendita a rate con riserva di proprietà posta in essere dal fallito, prospettandosi in via principale il recupero delle rate di prezzo scadute successivamente alla dichiarazione di fallimento, ed subordine, per l’ipotesi in cui le medesime rate fossero state già pagate, l’esercizio dell’azione revocatoria, per ottenere la dichiarazione d’inefficacia dell’avvenuto trasferimento. Alla stregua di tali risultanze, non contestate dal ricorrente, appare logicamente corretta la conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale, secondo cui l’azione alla quale l’istanza faceva riferimento in via principale non poteva essere che quella di adempimento, la cui autorizzazione poteva ritenersi estesa anche al recupero delle rate scadute anteriormente alla dichiarazione di fallimento, ma non certo alla dichiarazione d’inefficacia dei pagamenti eventualmente eseguiti in data successiva.

Il ricorrente contesta quest’ultima affermazione, sostenendo che l’inefficacia ex lege di tali pagamenti, sancita dalla L. Fall., art. 44, escludeva la necessità di un’espressa autorizzazione, potendo la stessa risultare implicitamente da quella relativa all’azione di recupero delle medesime rate. Si traila di un argomento non nuovo, al quale la Corte d’Appello ha replicato che l’azione di cui all’ari. 44 cit. non poteva ritenersi automaticamente inclusa nell’autorizzazione all’esercizio dell’azione di pagamento, postulando quest’ultima il mancato adempimento della prestazione, che costituisce un fatto esattamente contrario a quello posto a fondamento della prima. Tale osservazione, ineccepibile sotto il profilo logico-giuridico, non si pone in contrasto con il citato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il curatore è legittimato ad azionare tutte le possibili pretese ed istanze funzionali all’obiettivo perseguito con la domanda autorizzata dal giudice delegato indipendentemente da un’apposita previsione del provvedimento autorizzativo, non risultando incompatibile con tale principio la previsione di specifiche limitazioni, il cui accertamento, spettando al giudice di merito, è insindacabile in sede di legittimità, come si e detto, se adeguatamente motivato.

3.1. – Il difetto dell’autorizzazione all’esercizio dell’azione di cui alla L. Fall., art. 44, priva di ogni fondamento anche la tesi avanzata dal ricorrente con il primo motivo, secondo cui la connessione di detta azione con la domanda di pagamento delle rate scadute anteriormente alla dichiarazione di fallimento avrebbe comportalo l’attrazione di quest’ultima alla competenza del tribunale fallimentare rendendo inoperativa la clausola compromissoria contenuta nel contratto di compravendita.

Nel giudizio in esame, instaurato in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 22 trova d’altronde applicazione l’art. 819 bis, nel testo introdotto dalla L. 5 gennaio 1994, n. 25, art. 11, il quale prevedeva espressamente che la competenza degli arbitri non fosse esclusa dalla connessione tra la controversia ad essi deferita ed una causa pendente dinanzi al giudice ordinario. In virtù di tale disposizione, pacificamente ritenuta applicabile anche all’ipotesi in cui la causa devoluta agli arbitri non fosse stata ancora instaurata (cfr. Cass. Sez. 3^, 3 settembre 2007. n. 18525; Cass., Sez. 2^, 7 marzo 2001, n. 3316), deve pertanto escludersi che l’eventuale connessione con la domanda volta ad ottenere la dichiarazione d’inefficacia dei pagamenti eseguiti successivamente alla dichiarazione di fallimento fosse idonea ad attrarre alla competenza del tribunale fallimentare anche quella di pagamento delle rate scadute in epoca anteriore, non assumendo alcun rilievo a tal fine, il carattere funzionale ed inderogabile di detta competenza. Essa, infatti, non si estende alle azioni volte alla tutela di crediti vantati dal fallito nei confronti di terzi, le quali, in quanto corrispondenti a diritti soggettivi preesistenti alla dichiarazione di fallimento, si pongono rispetto a quest’ultimo in relazione di mera occasionalità (cfr. Cass., Sez. 1, 17 novembre 2005, n. 23248; 15 febbraio 1999, n. 1240; 4 giugno 1998.

n. 5477); rispetto a tali azioni, pertanto la dichiarazione di fallimento non fa venir meno l’operatività compromesso per arbitrato, il quale, costituendo un atto negoziale riconducibile alla figura del mandato collettivo e di quello conferito anche nell’interesse di terzi, resta sottratto alla disciplina di cui alla L. Fall., art. 78 (cfr. Cass.. Sez. 1, 17 febbraio 2010, n. 3803; 14 ottobre 2009. n. 21836; Cass.. Sez. 3^. 8 settembre 2006.n. 19298).

Per lo stesso motivo, deve conseguentemente escludersi anche la rilevanza dell’eventuale connessione tra la domanda di pagamento delle rate scadute anteriormente alla dichiarazione di fallimento e quella volta ad ottenere la dichiarazione d’inefficacia del contratto di compravendita.

4. – Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di revoca della compravendita.

Premesso infatti che la pronuncia in rito sulla domanda di pagamento, proposta in via principale, ha impedito l’accertamento dell’avvenuto adempimento, che, condizionando l’effetto traslativo della compravendita, costituiva il presupposto della domanda di revoca proposta in via subordinata, sostiene che la Corte d’Appello ha errato nel ritenere che la scientia decoctionis dovesse essere riferita allo stato d’insolvenza della FISI, in quanto la domanda aveva ad oggetto un atto di disposizione posto in essere dal C..

il cui fallimento costituiva un procedimento autonomo e distinto rispetto a quello della società. La Corte, inoltre, non ha tenuto conto che le circostanze allegate e la prova testimoniale erano volte a dimostrare che. a causa dei rapporti intercorsi sia con il C. che con la FISI, la I.C.I. era a conoscenza dello stato d’insolvenza di entrambi.

4.1. – Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

Il ricorrente non ha infatti interesse a dolersi del mancato accoglimento dell’azione revocatoria per una ragione di merito diversa da quella da lui ritenuta più corretta, non essendo individuabile un ordine di priorità logico-cronologica nell’esame dei diversi presupposti della domanda, e non potendosi d’altronde valutare l’interesse all’impugnazione in riferimento agli sviluppi meramente futuri ed eventuali delle ulteriori domande proposte in questo giudizio e non accolte per ragioni di carattere processuale.

Nella parte in cui ha fondato il rigetto della domanda in esame sull’inadempimento da parte dell’attore dell’onere di fornire la prova della scientia decoctionis la sentenza impugnata si è peraltro limitata a confermare quella di primo grado, la cui mancata impugnazione sotto il profilo dell’omesso accertamento dell’avvenuta verificazione dell’effetto traslativo precludeva il riesame della questione da parte della Corte d’Appello, escludendone a fortiori la deducibilità in questa sede.

4.2. – Quanto all’individuazione del soggetto cui doveva essere riferita la conoscenza dello stato d’insolvenza, la Corte territoriale, preso atto che il C. era stato dichiarato fallito, in qualità di socio illimitatamente responsabile della FISI S.n.c..

in estensione del fallimento della società, ha fatto corretta applicazione del principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai fini della revocatola fallimentare degli atti compiuti dal socio illimitatamente responsabile di una società di persone, dichiarato fallito per effetto del fallimento sociale, la scientia decoctionis va riscontrata con riferimento all’insolvenza della società: è quest’ultima, infatti, a determinare il fallimento del socio come conseguenza automatica della sua illimitata responsabilità per i debiti sociali, indipendentemente dalla sussistenza di un suo stato di insolvenza personale, che può anche mancare (cfr. Cass., Sez. 1, 3 marzo 2006, n. 4705; 14 novembre 2003, n. 17180; 14 gennaio 1998.

n. 255). Nessun rilievo, in proposito, assumono l’autonomia della procedura concorsuale che si svolge a carico della società rispetto a quella nei confronti del socio e la distinzione tra le relative masse, che, in quanto funzionali alla separata soddisfazione dei creditori della società e di quelli del socio, non escludono l’identità del momento genetico delle procedure e la destinazione dei beni del socio anche alla soddisfazione dei creditori sociali.

Nel contestare l’accertamento compiuto dalla Corte territoriale in ordine al presupposto soggettivo dell’azione, il ricorrente si limita poi a lamentare l’omessa considerazione di circostanze che, avendo invece costituito oggetto di specifico apprezzamento da parte della sentenza impugnata, la quale ne ha motivatamente escluso l’idoneità a comprovare la conoscenza da parte dell’I.C.I. dello stato d’insolvenza della FISI, non possono essere oggetto di ulteriore valutazione ad opera di questa Corte, alla quale non è conferito il potere di riesaminare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’apprezzamento compiuto dal giudice del merito, al quale soltanto spetta il compilo d’individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, nonchè scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. lav., 18 marzo 2011, n. 6288; Cass., Sez. 3^, 14 giugno 2007, n. 1.3954; Cass., Sez. 1^, 30 marzo 2007, n. 7972).

5. Il ricorso va pertanto rigettalo, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo al mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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