Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10651 del 03/05/2010

Cassazione civile sez. I, 03/05/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 03/05/2010), n.10651

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 796/2005 proposto da:

C.V. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSETTI Margherita

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VENAROTTA;

– intimato –

sul ricorso 1350/2005 proposto da:

COMUNE DI VENAROTTA in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato

in ROMA, VIALE G. MAZZINI 6, presso l’avvocato LUPIS STEFANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FOLLIERI ENRICO ANTONIO giusta

procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 503/2004 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 24/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza, del

25/02/2010 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito per il resistente, l’Avvocato TOZZI, (con delega) che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso incidentale ed il rigetto del

ricorso principale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

assorbito il ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il signor C.V. citò il Comune di Venarotta davanti al Tribunale di Ascoli Piceno, e ne chiese la condanna al risarcimento dei danni derivati dall’esecuzione di un’opera pubblica su terreno di sua proprietà, in un procedimento espropriativo iniziato bensì con dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, ma nel quale il decreto di occupazione d’urgenza non era stato seguito dall’immissione nel possesso del fondo, nonostante l’intervenuta redazione dello stato di consistenza. Il comune, costituitosi, sostenne che l’immissione in possesso era stata eseguita tempestivamente, e che i termini del procedimento espropriativo erano tuttora in corso.

Il tribunale, con sentenza 7 marzo 2002, accertò il carattere abusivo dell’occupazione e l’obbligo del comune di risarcire il danno, e rimise le parti davantia sè, in istruttoria per la liquidazione del danno.

La Corte d’appello di Ancona, decidendo con sentenza 24 luglio 2004 sul gravame del comune, respinse la domanda proposta in causa dal signor C..

La corte respinse preliminarmente il motivo di appello basato sulla necessaria contestualità, nella previsione della L. n. 1 del 1987, art. 3, dello stato di consistenza e di immissione nel possesso, considerando la possibilità che, in mancanza di sanzioni previste dalla norma, tale prescrizione non sia osservata in fatto. La corte, tuttavia, accertò che in occasione della redazione del verbale di consistenza sì era proceduto altresì all’immissione in possesso del fondo di proprietà del C.. La corte precisò che l’immissione in possesso deve essere documentata nella forma solenne dell’atto pubblico, e che l’interpretazione dell’atto deve essere condotta attraverso l’esame del suo tenore letterale, senza che possano assumere rilevanza la postuma “interpretazione autentica” dello stesso pubblico ufficiale rogante o il contenuto degli atti prodromici, quali il decreto di occupazione d’urgenza. Nel caso esaminato dal tenore letterale del verbale 28 marzo 1990, intitolato “occupazione d’urgenza di beni stabili – stato di consistenza- immissione nel possesso” risultava che l’incaricato del Comune di Venarotta aveva dichiarato di essersi recato in quella data nella proprietà del signor C. al fine di redigere il verbale, tra l’altro, di immissione nel possesso, e, dopo il compimento delle altre operazioni, aveva indicato le generalità dei testimoni intervenuti, e aggiunto che “il possesso dell’area viene trasferito al Comune di… a mano del tecnico appositamente incaricato”, vale a dire dello stesso pubblico ufficiale rogante, che nella qualità di tecnico incaricato aveva firmato anche l’atto. La veridicità di tali affermazioni, prestampate ma costituenti parti integranti dell’atto, non poteva essere impugnata se non con la querela di falso, che nella specie non era stata proposta.

Per la cassazione della sentenza, notificata il 4 ottobre 2004, ricorre il signor C. con atto notificato il 2 dicembre 2004, articolato in quattro mezzi d’impugnazione.

Il Comune di Venarotta resiste con controricorso e ricorso incidentale con un mezzo d’impugnazione, notificato in data 11 gennaio 2005.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due ricorsi, proposti contro la medesima sentenza, devono essere riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 c.c., per avere la corte del merito qualificato come atto pubblico il verbale dello stato di consistenza della proprietà C., redatto dal tecnico comunale il 28 marzo 1990.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2724 c.c., n. 1. La norma invocata ammette la prova testimoniale in presenza di un principio di prova scritta, e avrebbe dovuto trovare applicazione anche laddove si fosse potuto ritenere la natura pubblica del verbale.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 1362 c.c., e segg., che devono trovare applicazione anche nell’interpretazione degli atti amministrativi, e che non limitano l’indagine all’impiego di mezzi intrinseci, vertenti sul contenuto letterale o logico dell’atto o sulla legge applicata, ma impongono di non fermarsi al nomen iuris dell’atto, e di identificarne il contenuto attraverso la ricostruzione del potere che l’amministrazione intendeva esercitare, e di quello concretamente esercitato, utilizzando anche gli atti propedeutici.

Con il quarto motivo si denuncia la contraddittoria motivazione sul punto decisivo, costituito dal valore del rimando, contenuto nel verbale di consistenza, all’incarico conferito dal comune al suo tecnico, di procedere alla rilevazione della consistenza dei beni e alla redazione del relativo verbale, “da valere ai fini della determinazione dell’indennità provvisoria di esproprio”. Questa dicitura di rimando, aggiunta al modulo prestampato del verbale, doveva prevalere, secondo la stessa impostazione della corte territoriale, sulla dicitura del modulo relativa all’immissione in possesso.

I motivi possono essere esaminati insieme, vertendo sull’unico punto costituito dall’accertamento del giudice di merito, che vi era stata immissione in possesso dell’immobile occupato. Essi sono infondati.

Occorre premettere che la natura di atto pubblico del verbale d’immissione in possesso dell’immobile per il quale è stato emesso il decreto di occupazione deriva sia dal suo contenuto, di atto di esecuzione di un provvedimento della pubblica amministrazione che agisce iure imperii, e sia dalla qualità di colui che lo redige. A norma della L. 3 gennaio 1978, n. 1, art. 3, commi 2 e 3, infatti, il verbale di immissione in possesso è redatto a cura dell’ente espropriante (che l’art. 1 della medesima Legge indica nello Stato, nelle regioni, nelle province autonome e negli altri enti territoriali) o dei suoi concessionari, i quali in tal caso esercitano per delega le funzioni pubbliche di cui alla disposizione citata. Di qui la prima conseguenza, che il tecnico comunale che redasse il verbale di cui si discute svolgeva funzioni pubbliche, e che il verbale medesimo fa piena prova delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza, a norma dell’art. 2700 c.c.. Nè di contro a ciò può invocarsi la giurisprudenza di questa corte che ha ripetutamente negato valore di pubblica fede alle stime contenute nel verbale di consistenza redatto contestualmente all’immissione in possesso. Le stime del tecnico che accerta la consistenza dell’immobile, infatti, non sono assimilabili alle dichiarazioni rese e agli altri fatti compiuti in presenza del pubblico ufficiale.

Da ciò deriva, in secondo luogo, l’inammissibilità della prova testimoniale invocata con il secondo mezzo a norma dell’art. 2724 c.c., n. 1, posto che, per gli atti a forma solenne, l’art. 2725 cpv.

c.c., limita le deroghe al divieto di prova testimoniale al caso di cui all’art. 2724 n. 3 (perdita incolpevole del documento: v. Cass. 15 marzo 2006 n. 5786; 2 settembre 2005 n. 17702; 8 gennaio 2002 n. 144; 12 febbraio 1986 n. 855; 9 luglio 1984 n. 3989).

Quanto all’interpretazione dell’atto, occorre poi ribadire che, per il principio di tipicità e nominatività dei provvedimenti amministrativi, ciascuno di essi è caratterizzato dal particolare contenuto e dalla funzione peculiare assegnatagli dalla P.A. in relazione allo schema tipico tassativo previsto dall’ordinamento.

Pertanto, se è vero che per la loro esatta identificazione è consentito utilizzare alcune delle norme giuridiche sull’interpretazione dei contratti, è del pari certo che il procedimento interpretativo non è invocabile per modificarne l’effettivo nomen iuris, neppure quando la specifica funzione istituzionale che s’intendeva con esso perseguire avrebbe richiesto altra tipologia di atto. Le deviazioni del provvedimento dalle sue finalità istituzionali devono essere fatte valere necessariamente attraverso la giurisdizione generale di legittimità e soltanto la caducazione dell’atto da parte del giudice amministrativo o degli organi amministrativi a ciò qualificati può farne cessare l’operatività (Cass. 2 settembre 2005 n. 17697).

Tanto premesso, un verbale, redatto in forza della L. 3 gennaio 1978, n. 1, art. 3, comma 2 (disposizione che prescrive la contestualità di accertamento dello stato di consistenza e immissione in possesso dei beni da occupare), che – secondo l’accertamento del giudice di merito – era intitolato “occupazione d’urgenza di beni stabili – stato di consistenza – immissione nel possesso”, e nel quale il pubblico ufficiale rogante dichiarava di essersi recato sul luogo per l’immissione nel possesso, e che “il possesso dell’area viene trasferito al Comune di… a mano del tecnico appositamente incaricato”, non poteva essere interpretato – in conformità del nomen iuris e del contenuto testuale – altrimenti che nel modo seguito dal giudice di merito. Gli stessi principi enunciati in tema di interpretazione privano poi di consistenza la supposta contraddittorietà del modulo prestampato di immissione in possesso con quanto si leggerebbe in altro precedente provvedimento.

Il ricorso principale deve essere pertanto rigettato, restando in tal modo assorbito il ricorso incidentale, che censura un errore di diritto contenuto nell’impugnata sentenza, non tale da inficiare la correttezza del giudizio conclusivo espresso dal giudice di merito.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,0 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte Suprema di Cassazione, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2010

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