Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10650 del 22/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/04/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 22/04/2021), n.10650

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7543-2018 proposto da:

D.G.G.G., elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato RODOLFO ROMITO;

– ricorrente-

contro

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE DEL VENETO, UFFICIO SCOLASTICO

PROVINCIALE DI (OMISSIS), F.E., G.C.;

– intimati –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E RICERCA, (OMISSIS), in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente successivo –

contro

D.G.G.G., elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato RODOLFO ROMITO;

– controricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E RICERCA (OMISSIS), in persona

del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente al ricorso successivo –

avverso la sentenza n. 516/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata l’01/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/03/2021 dal Presidente Relatore Dott. ADRIANA

DORONZO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con sentenza pubblicata in data 1/9/2017, la Corte d’appello di Venezia ha accolto parzialmente l’appello proposto da D.G.G.G., unitamente ad altre appellanti, contro la sentenza del tribunale che aveva ritenuto legittimi i contratti a termine stipulati come docenti e collaboratori scolastici con il Ministero della Università, azione e ricerca, rigettando le relative domande.

2. A fondamento del decisum la Corte territoriale ha ritenuto che indipendentemente dalla individuazione dei singoli periodi in cui le parti appellanti avevano svolto supplenze su posti di organico di diritto e/o di organico di fatto – era assorbente il rilievo che le stesse, assunte in qualità di docenti o di collaboratori scolastici, erano state stabilizzate attraverso l’operare degli strumenti selettivi e concorsuali ovvero ai sensi della L. n. 107 del 2015, art. 1; che, in forza dei principi espressi da questa Corte nella sentenza n. 27563/2016 (punti da 118 a 125), e nelle numerose altre pure citate, l’intervenuta stabilizzazione era idonea a sanzionare debitamente l’abuso e a cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’unione, e, quindi, a riparare tutti i danni riferibili all’illegittima reiterazione dei contratti a tempo determinato in difetto di specifiche allegazioni circa l’esistenza di danni ulteriori, diversi rispetto a quelli risarciti con l’immissione in ruolo.

3. In parziale accoglimento dell’appello ha invece riconosciuto il diritto delle dipendenti alla progressione professionale prevista dalla contrattazione collettiva e, per l’effetto, ha condannato il Ministero a collocarle nel livello stipendiale corrispondente all’anzianità di servizio maturata nei rapporti a termine stipulati dopo il 10/7/2001 e a corrispondere le relative differenze retributive, oltre agli accessori di legge.

4. Contro la sentenza D.G.G.G. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di plurimi motivi; ha resistito il Ministero con controricorso, che, con ricorso successivo ha chiesto anch’esso la cassazione della sentenza, per i motivi di seguito illustrati.

5. La proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

In prossimità dell’adunanza, la D.G. ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.- con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la D.G. deduce “Violazione e-o falsa applicazione della Dir. 1999/70/CE, considerando n. 16, art. 2, nonchè dell’Accordo quadro CESUNICECEEP sul lavoro a tempo determinato della 18/3/1999, preambolo, della clausola 5, punto 1, lett. B, recepito e allegato alla direttiva comunitaria citata; violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 4 e art. 5 (commi 4 e 4 bis), artt. 10,11, anche in combinato disposto con la L. 4 giugno 1999, n. 124, art. 4: in sintesi, si contesta l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui le stabilizzazioni intervenute, a prescindere dalle modalità con le quali le parti hanno avuto accesso al contratto a tempo indeterminato (automaticamente o a seguito di procedura concorsuale, come nella specie dei ricorrenti), costituiscono misura adeguata a sanzionare l’abusivo ricorso a una successione di contratti a termine del personale impiegato a vario titolo nella scuola; si sostiene che una siffatta conclusione contrasterebbe con i principi dettati dalla Dir. 1999/70/CE e dalla stessa Corte Europea di Giustizia nella nota sentenza Mascolo, la quale, nel rilevare l’aleatorietà della misura della stabilizzazione, ne aveva evidenziata l’assenza di forza dissuasiva e di effettività.

2.- Il secondo motivo è incentrato sulla questione pregiudiziale Europea circa la conformità alla Dir. Europea 1999/70/CE dell’esclusione della misura risarcitoria/indennitaria per sanzionare l’abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato – per un periodo superiore ai 36 mesi – in presenza dell’immissione in ruolo “a seguito di concorso per titoli (e scorrimento della graduatoria) anteriore all’entrata in vigore della L. n. 107 del 2015”; si chiede a questa Corte, nel caso di conferma delle statuizioni impugnate, la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte di giustizia Europea perchè si pronunci sulla questione indicata in epigrafe, e in particolare sulla violazione della clausola 5, punto 1, come interpretata dalla Corte di giustizia Europea nella sentenza Mascolo, nel caso in cui si ritenga idonea la L. n. 107 del 2015 sulla stabilizzazione a costituire misura di carattere proporzionato, sufficientemente energica e dissuasiva per garantire la piena efficacia delle norme sull’accordo quadro, in relazione alla violazione per l’abusiva reiterazione dei contratti a termine per il periodo anteriore a quello in cui le misure di cui alle norme indicate sono destinati a produrre effetti (pag. 31-32 del ricorso); fa presente che anche la Corte d’appello di Trento, con ordinanza del 13/7/2017, aveva rimesso la questione alla Corte di giustizia.

3.- Con il terzo motivo, parte ricorrente deduce la nullità della sentenza o del procedimento, in relazione agli artt. 112,437 e 100 c.p.c.: assume infatti che la sentenza era stata resa in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, dal momento che il giudice dell’appello aveva ritenuto sussistente un risarcimento del danno in forma specifica a seguito dell’avvenuta stabilizzazione senza che fosse mai stata proposta una domanda in tal senso o un’eccezione (in senso proprio) tempestivamente sollevata dall’appellata; sussisteva inoltre la violazione dell’art. 100 c.p.c. per avere la corte territoriale omesso di dichiarare cessata la materia del contendere, con la condanna del soccombente virtuale MIUR, avendo ritenuto conseguito da parte dell’appellante il bene della vita richiesto.

4.- Il motivo di ricorso del MIUR, che va qualificato come ricorso incidentale in quanto successivo al primo, è formulato nei seguenti termini: “violazione e-o falsa applicazione della clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla Dir. n. 1999/70 CEE, del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, artt. 485,489,569”: assume il Ministero ricorrente che la sentenza è errata perchè confonde la fattispecie relativa alla ricostruzione di carriera operata dopo l’immissione in ruolo con la diversa questione della progressione stipendiale rivendicata dal lavoratore assunto a tempo determinato, in virtù dell’anzianità acquisita per effetto dei contratti a termine stipulati e sulla quale soltanto si è pronunciata la Corte di cassazione con la sentenza numero 22558/2016, richiamata dalla Corte territoriale; precisa che, per effetto della immissione in ruolo della D.G., avvenuta l'(OMISSIS), il riconoscimento dell’anzianità lavorativa maturata nei periodi di attività in regime di cosiddetto pre ruolo avviene attraverso un meccanismo che non prevede il computo integrale del servizio, come stabilito dall’art. 485 per il personale docente e dall’art. 569 per il personale ATA; la statuizione della corte territoriale aveva di fatto disapplicato la disciplina vigente in materia di ricostruzione della carriera.

5.- Il ricorso della D.G. è ammissibile, dal momento che vi è una esposizione dei fatti di causa sufficiente per una esaustiva ricostruzione delle domande proposte, delle difese della controparte e delle questioni ancora sub judice, sicchè appare rispettato il disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 3. Esso è tuttavia infondato.

5.1.- Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale sono inammissibili ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, avendo la Corte territoriale deciso la questione in diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame dei motivi, anche successivamente illustrati nella memoria, non induce ad un suo mutamento, nè ad una nuova rimessione delle questioni alla Corte costituzionale ovvero alla Corte di giustizia.

5.2. Al riguardo si richiamano i principi già espressi da questa Corte, con sentenza pubblicata in data 12/2/2020, n. 3472, che ha espresso il seguente principio di diritto: “Nel settore scolastico, nelle ipotesi di reiterazione illegittima di contratti a termine stipulati su cd. organico di diritto, avveratasi a far data dal 10 luglio 2001 e prima dell’entrata in vigore della L. n. 107 del 2015, per i docenti ed il personale ATA deve essere ritenuta misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed idonea a sanzionare debitamente l’abuso ed a “cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione”, secondo l’interpretazione resa dalla Corte di giustizia UE nella sentenza dell’8 maggio 2019 (causa C494/17, Rossato), la stabilizzazione acquisita attraverso il previgente sistema di reclutamento, fermo restando che l’immissione in ruolo non esclude la proponibilità della domanda di risarcimento per danni ulteriori, con oneri di allegazione e prova a carico del lavoratore che, in tal caso, non beneficia di alcuna agevolazione da danno presunto (v. da ultimo, n. 3417/2021).

5.3. L’elemento di novità della pronuncia sta nel fatto che essa ha confermato il precedente orientamento dopo aver esaminato i riflessi sul quadro normativo e giurisprudenziale della sentenza della Corte di Giustizia dell’8 maggio 2019, nella Causa C- 494/17 – Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – MIUR contro R.F. e Conservatorio di Musica F.A. Bonporti, ritenendo che essi non conducono ad una diversa soluzione rispetto ai precedenti citati. Sulle specifiche questioni poste nei motivi di ricorso in esame, questa Corte si è poi di recente pronunciata nell’ordinanza 14/1/2021 n. 489, alla quale si rinvia anche ai sensi dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c..

5.4. Applicando questi principi al caso in esame, il ricorso deve essere rigettato; risulta infatti dalla sentenza impugnata che la ricorrente, docente, assunta in virtù di ripetute assunzioni a termine, è stata immessa nei ruoli del MIUR in data 1/9/2015. Ella, per tal via, ha ottenuto il bene della vita per il quale ha agito in giudizio, senza che rilevi, per quanto innanzi osservato, la circostanza che la stabilizzazione sia avvenuta per mezzo di interventi diversi da quelli previsti nella L. n. 107 del 2015.

5.5. La circostanza di fatto, dedotta, come innanzi evidenziato, dalla stessa ricorrente per fondarvi la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, non può ritenersi estranea al giudizio di legittimità in quanto intimamente correlata alla questione di diritto della risarcibilità del danno nelle ipotesi di intervenuta stabilizzazione ed allo “ius superveniens” costituito dalla più volte richiamata sentenza della CGUE Rossato, che ha efficacia immediata nell’ordinamento nazionale, oltrechè dalla L. n. 107 del 2015.

La corte territoriale ha altresì escluso – senza che tale affermazione sia stata adeguatamente censurata – che la parte ricorrente abbia, nell’originaria domanda, allegato l’esistenza di danni ulteriori e diversi rispetto a quelli “risarciti” dalla immissione in ruolo, la cui prova grava sul lavoratore e che comunque non potrebbero identificarsi con quelli “da mancata conversione e quindi da perdita del posto di lavoro”, secondo quanto affermato nella decisione delle SS.UU. n. 5072 del 2016.

6. Il terzo motivo è infondato, perchè non sussiste la denunciata violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto il pronunciato. Il giudizio in esame ha ad oggetto la domanda della lavoratrice volta ad ottenere il risarcimento del danno per l’illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato. La Corte ha escluso la sussistenza di un danno per effetto della stabilizzazione quale elemento che ha cancellato in radice l’illecito. La stabilizzazione, quale fatto estintivo, non può essere considerata come un’eccezione in senso proprio, in difetto di un’espressa disposizione normativa in tal senso nè la sua deduzione è ricollegabile all’esercizio di un diritto potestativo, ma, come correttamente ritenuto nella sentenza impugnata, essa è un’eccezione in senso lato che può essere allegata dalla parte o rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, purchè emergente dagli atti di causa. La ricorrente, pur lamentando la tardività della eccezione o del rilievo, neppure specifica quando, come e in che termini il fatto della “stabilizzazione” sarebbe entrato del giudizio e, soprattutto, non lamenta alcuna violazione del diritto di difesa, sicchè correttamente il giudice del merito ne ha tenuto conto quale fatto estintivo del diritto preteso.

6.1. Nè è corretta l’ulteriore deduzione della ricorrente secondo cui il giudice avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare cessata la materia del contendere e giammai accogliere l’appello, dal momento che, avendo la stabilizzazione escluso l’esistenza di un danno, correttamente il giudice di merito ha rigettato l’appello con cui la parte ha continuato a richiedere il risarcimento, nonostante l’intervenuta stabilizzazione.

6.2. Altrettanto correttamente il giudice ha regolato le spese compensandole, in ragione della parziale soccombenza della parte appellante nonchè della particolare difficoltà delle questioni risolte solo di recente da questa Corte.

7. E’ invece fondato il ricorso incidentale del MIUR.

La sentenza ha infatti riconosciuto il diritto della parte appellante “alla progressione professionale prevista dalla contrattazione collettiva del comparto scuola per il personale docente assunto a tempo indeterminato”; ha quindi condannato il Ministero a collocare le parti appellate nel livello stipendiale corrispondente all’anzianità di servizio maturata nei rapporti a termine stipulati dopo il 10 luglio 2001, nonchè a corrispondere le differenze maturate.

E’ evidente dalla lettura del dispositivo che la Corte territoriale ha riconosciuto oltre alle differenze stipendiali anche il diritto alla ricostruzione della carriera.

7.1. Questa Corte (Cass. n. 31149 del 28/11/2019, seguita da numerose altre), chiamata a pronunciarsi sulla conformità al diritto dell’Unione della disciplina interna relativa alla ricostruzione della carriera del personale insegnante della scuola nei casi in cui l’immissione in ruolo sia stata preceduta da rapporti a termine, ha evidenziato:

a) che già con il D.L. n. 370 del 1970, convertito con modificazioni dalla 1. 576/1970, il legislatore aveva previsto, all’art. 3, che “Al personale insegnante il servizio di cui ai precedenti articoli viene riconosciuto agli effetti giuridici ed economici per intero e fino ad un massimo di quattro anni, purchè prestato con il possesso, ove richiesto, del titolo di studio prescritto o comunque riconosciuto valido per effetto di apposito provvedimento legislativo. Il servizio eccedente i quattro anni viene valutato in aggiunta a quello di cui al precedente comma agli stessi effetti nella misura di un terzo, e ai soli fini economici per i restanti due terzi. I diritti economici derivanti dagli ultimi due terzi di servizio previsti dal comma precedente, saranno conservati e valutati anche in tutte le classi successive di stipendio.”;

b) che con il D.Lgs. n. 297 del 1994 di “Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado” le richiamate disposizioni sono confluite, con modificazioni e integrazioni, negli artt. 485 e 489 e che le norme citate sono confluite nel testo unico (D.Lgs. n. 297 del 1994) e continuano ad applicarsi nei limiti sopra indicati, a tale disciplina non derogando la contrattazione collettiva che nell’ambito scolastico, quanto ai rapporti con la legge, non sfugge all’applicazione dei principi dettati dal D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 2 e 40, sicchè si deve escludere che gli articoli del T.U. riguardanti la ricostruzione della carriera siano stati disapplicati dalla contrattazione;

c) che l’abbattimento opera solo sulla quota eccedente i primi quattro anni di anzianità, oggetto di riconoscimento integrale con i benefici di cui sopra si è detto, e, pertanto, il meccanismo finisce per penalizzare i precari di lunga data, non già quelli che ottengano l’immissione in ruolo entro il limite massimo per il quale opera il principio della totale valorizzazione del servizio;

d) che la norma, se poteva dirsi non priva di ragionevolezza in relazione ad un sistema di reclutamento (analizzato con la sentenza n. 22552/2016 e altre successive) basato sulla regola del cosiddetto “doppio canale” che, oltre a prevedere l’immissione in ruolo periodica dei docenti attingendo per il 50% dalle graduatorie dei concorsi per titoli ed esami e per il restante 50% dalle graduatorie per soli titoli, prima, e poi dalle graduatorie permanenti, stabiliva anche, all’esito delle modifiche apportate alla L. n. 124 del 1999, art. 400, la cadenza triennale dei concorsi, giustificandosi l’abbattimento oltre il primo quadriennio in relazione al criterio meritocratico (consentire ai più meritevoli di ottenere la tempestiva immissione nei ruoli, attesa la prevista periodicità dei concorsi e dei provvedimenti di inquadramento definitivo nei ruoli dell’amministrazione scolastica), non ha trovato giustificazione in seguito, poichè, come è stato dato atto nelle plurime pronunce della Corte di Giustizia, della Corte Costituzionale e di questa Corte, le immissioni in ruolo non sono avvenute con la periodicità originariamente pensata dal legislatore e ciò ha determinato, quale conseguenza, che il personale “stabilizzato si è trovato per lo più a vantare, al momento dell’immissione in ruolo, un’anzianità di servizio di gran lunga superiore a quella per la quale il riconoscimento opera in misura integrale, anzianità che è stata oggetto dell’abbattimento della cui conformità al diritto dell’Unione qui si discute;

e) che, quanto alla comparabilità degli assunti a tempo determinato con il personale stabilmente immesso nei ruoli dell’amministrazione, non sussistono ragioni oggettive atte a giustificare la disparità di trattamento, non potendosi fare leva sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego, sulla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, sulle modalità di reclutamento del personale e sulle esigenze che il sistema mira ad assicurare, valendo le considerazioni già espresse da questa Corte con le sentenze Cass. 22558 e 23868 del 2016 e le successive sentenze conformi, fra le quali si segnalano Cass. nn. 28635, 26356, 26353, 6323 del 2018, in cui si è evidenziato che la disparità di trattamento non può essere giustificata dalla natura non di ruolo del rapporto di impiego, dalla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, dalle modalità di reclutamento del personale nel settore scolastico e dalle esigenze che il sistema mira ad assicurare;

f) che più complessa è l’ulteriore verifica che la Corte di Giustizia ha demandato al Giudice nazionale in relazione all’obiettivo di evitare il prodursi di discriminazioni “alla rovescia” in danno dei docenti assunti ab origine con contratti a tempo indeterminato, discriminazioni che, ad avviso del Ministero ricorrente, si produrrebbero qualora in sede di ricostruzione della carriera si prescindesse dall’abbattimento, perchè in tal caso il lavoratore a termine, potendo giovarsi del criterio di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 489, potrebbe ottenere un’anzianità pari a quella dell’assunto a tempo indeterminato, pur avendo reso rispetto a quest’ultimo una prestazione di durata temporalmente inferiore.

7.2. In base ai principi richiamati, cui questa Corte intende dare continuità, si rende necessaria una verifica del caso concreto in base ai parametri segnati dal principio di diritto enunciato nella richiamata decisione Cass. 31149/2019, che di seguito si riporta “In tema di riconoscimento dell’anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell’amministrazione scolastica, il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485, deve essere disapplicato, in quanto si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla Dir. 1999/70/CE, nei casi in cui l’anzianità risultante dall’applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dallo stesso decreto, art. 489, come integrato dalla L. n. 124 del 1999, art. 11, comma 14, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto “ab origine” a tempo indeterminato; il giudice del merito, per accertare la sussistenza di tale discriminazione, dovrà comparare il trattamento riservato all’assunto a tempo determinato poi immesso in ruolo, con quello del docente ab origine a tempo indeterminato, senza valorizzare, pertanto, le interruzioni fra un rapporto e l’altro, nè applicare la regola dell’equivalenza fissata dal richiamato art. 489, e, in caso di disapplicazione, computare l’anzianità da riconoscere ad ogni effetto al docente assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, sulla base dei medesimi criteri che valgono per l’assunto a tempo indeterminato”.

8. In conclusione, il ricorso del MIUR deve essere accolto, con rinvio per un nuovo esame secondo i principi di diritto enunciati al Giudice del merito, al quale pure è demandata la regolamentazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in ragione del rigetto del suo ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021

 

 

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