Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1065 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. I, 17/01/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 17/01/2020), n.1065

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32957/2018 proposto da:

A.O., elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’Avv. Alessandro Praticò del foro di Torino che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto n. 4815 del 28/9/2018 del Tribunale di Torino;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 19/12/2019 dal consigliere relatore Dott. Giovanni

Ariolli.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.O., cittadino della (OMISSIS), ricorre per cassazione avverso il Decreto n. 4815/2018 con cui il Tribunale di Torino ha rigettato l’opposizione avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Torino che ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale ed umanitaria; svolgendo due motivi ne chiede l’annullamento.

2. Si è costituito con controricorso il Ministero dell’Interno, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità e/o rigettarsi il ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, artt. 2 e 3 C.E.D.U., oltre al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.p., n. 3, anche sotto il profilo dell’inosservanza dell’art. 132 c.p.c., n. 4”.

La censura si articola in tre rilievi: il primo è attinente alla valutazione intrinseca del narrato del ricorrente; il secondo riguarda l’aver fondato la valutazione di inattendibilità su parametri diversi da quelli normativi, venendo anche meno al dovere di cooperazione istruttoria; il terzo è relativo all’avere emesso una motivazione apparente, non osservando il disposto di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4.

Ciò premesso, ritiene il Collegio che le doglianze siano inammissibili.

3.1. Il primo rilievo è inammissibile. Il Tribunale ha, infatti, ritenuto che le vicende riferite dal ricorrente non siano credibili, sia pure nell’ambito dell’onere probatorio c.d. attenuato in quanto il racconto reso era generico, contraddittorio, lacunoso e privo di qualsiasi riscontro (non risultando quanto accaduto neppure formalizzato dai diversi soggetti coinvolti all’Autorità) e, pertanto, stante la non credibilità della narrazione della vicenda personale, doveva escludersi l’esistenza di una situazione di pericolo legata alla posizione individuale dell’istante, anche in considerazione della mancanza di un concreto timore di subire, in caso di rientro in Patria, atti persecutori. Inammissibile, quindi, si mostra la censura, espressa in ricorso, circa la mancata attivazione nella specie dei poteri ufficiosi di indagine, tenendo presente che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c): tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. tra le molte: Cass. n. 340/19); qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. ex multis: Cass.n. 16925/18; n. 28862/18), ipotesi che nella specie non ricorre.

Nè il giudizio sulla valutazione della credibilità del ricorrente risulta di per sè inficiato dall’asserita mancata valutazione della “situazione generale della Nigeria” (alto tasso di criminalità della zona di provenienza del ricorrente, frequenza di vendette private, corruzione nella polizia nigeriana), in quanto l’inattendibilità del narrato è stata fondata dal giudice del merito sul rilievo dell’inesistenza della vicenda posta a base della domanda di protezione, di guisa che gli elementi fattuali relativi al contesto di riferimento, peraltro genericamente indicato, non si rivelano affatto decisivi ai fini del corretto svolgimento di tale giudizio.

3.2. Quanto al secondo rilievo, la doglianza è del tutto generica, in quanto le situazioni di fatto attinenti alla persona del richiedente che il Tribunale avrebbe pretermesso ai fini del giudizio di credibilità sono soltanto genericamente affermate ma prive di qualunque specificazioni con riguardo alla persona del ricorrente. Parimenti in ordine alla violazione del dovere di cooperazione istruttoria, ove si contesta genericamente di aver escluso la domanda di protezione sussidiaria sulla scorta di informazioni sulla situazione del Paese e della regione di provenienza del ricorrente che non sarebbero aggiornate, omettendo di specificare e documentare quali decisive e più aggiornate informazioni avrebbero imposto la deroga al principio dispositivo.

3.4. Quanto al terzo rilievo, del tutto inammissibile per insussistenza del presupposto di fatto su cui si articola la doglianza oltre che per genericità, è la dedotta omessa/apparente motivazione ovvero violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, risultando nel decreto impugnato esposte, anche mediante una specifica ripartizione nella trattazione logica degli argomenti oggetto di giudizio, le ragioni di fatto e di diritto in forza delle quali il Tribunale ha rigettato il ricorso del richiedente avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

4. Con il secondo motivo il ricorrente deduce “la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, artt. 2 e 10 Cost., art. 8 Conv. E.D.U., art. 360 c.p.c., comma 1, per avere motivato in maniera generica e senza sufficiente istruttoria nell’esame della domanda di protezione umanitaria”.

La censura risulta manifestamente infondata. L’inesistenza di un quadro di controindicazioni al rimpatrio risulta, infatti, essere stato motivatamente affermato in difetto dell’esistenza di una situazione di vulnerabilità del richiedente (alla luce anche della situazione del Paese di origine – la Nigeria, regione dell’Edo State – di cui si è dato puntualmente conto a proposito delle altre forme di protezione richiesta), nonchè di qualsiasi elemento attestante l’avvenuta integrazione sociale in Italia, stante anche l’assenza di allegazione di fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. maggiore. Il provvedimento impugnato si sottrae quindi tanto al rilievo di mancanza di motivazione che a quello di violazione del potere di cooperazione istruttoria, stante l’assenza di lacune (nel senso del dovere di allegazione da parte del richiedente di fatti ulteriori e specifici, vedi Cass. n. 21123/2019).

5. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna alle spese del ricorrente, secondo il principio della soccombenza, in favore del controricorrente Ministero dell’Interno, liquidate come in dispositivo.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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