Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10649 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. I, 13/05/2011, (ud. 21/02/2011, dep. 13/05/2011), n.10649

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.D., B.A., B.S., B.

A., B.B.R., B.P.A.,

L.E., quali eredi di B.U., elettivamente

domiciliati in Roma via Cimarosa 18, presso lo studio Ambrosone,

rappresentati e difesi dall’avv.to CARMELO DAMIANO, giusta procura a

margine del ricorso per cassazione;

– ricorrenti –

contro

C.O., elettivamente domiciliata in Roma via Panama 74

presso lo studio dell’avv. Gianni Emilio Iacobelli, rappresentata e

difesa dall’avv.to Marchitto Sergio, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli, sezione seconda

civile, emessa il 24.9.2004, depositata il 21.10.2004, R.G. n.

2961/04;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 21 febbraio

2011 dal Consigliere Dott. Andrea Scaldaferri;

udito l’Avvocato Marchitto per la controricorrente, che ha concluso

per il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata il 21 ottobre 2004, dichiarava inammissibile l’appello proposto da B. U. avverso la sentenza del Tribunale di Benevento che, in accoglimento delle domande proposte da C.O., lo aveva condannato alla ricostruzione di una stradina da lui distrutta -sulla quale la C. vantava servitù di passaggio carrabile- ed al risarcimento dei danni. La Corte accoglieva l’eccezione sollevata dalla C., la quale aveva rilevato: che la sentenza di primo grado era stata depositata in data 11 ottobre 2002 e notificata al procuratore del B. il 18 novembre 2002; che il B. era deceduto il (OMISSIS), dopo l’udienza di discussione della causa e prima della pubblicazione della sentenza; che pertanto l’appello era inammissibile, in quanto proposto dal procuratore del deceduto sulla base della procura originaria e non già dai suoi eredi, i quali peraltro – dopo la nuova notifica della sentenza di primo grado effettuata nei loro confronti collettivamente il 3 maggio 2003- erano intervenuti nel giudizio di appello aderendo all’impugnazione il 14 luglio 2003, quando ormai era decorso il termine breve per proporre appello. Osservava la Corte che, essendo la morte del B. avvenuta non durante lo svolgimento del processo di primo grado bensì dopo la chiusura della discussione, non era nella specie applicabile il disposto dell’art. 300 c.p.c., bensì dell’art. 286 c.p.c., che prevede la notifica della sentenza, a scelta del notificante, alla parte defunta o divenuta incapace rappresentata dal suo procuratore ovvero a norma dell’art. 303 c.p.c., comma 2 a coloro ai quali spetta stare in giudizio. La notifica della sentenza al procuratore del (defunto) B. era dunque valida, ma ciò non legittimava il medesimo a proporre l’impugnazione sulla base della procura conferitagli dal defunto, ormai estinta secondo la regola generale dell’art. 1722 c.c., n. 4.

Aggiungeva che, anche ove si ritenesse, valorizzando il principio desumibile dall’art. 328 c.p.c., la giuridica impossibilità di una notifica della sentenza al procuratore del defunto, la successiva notifica nei confronti degli eredi del B. era avvenuta il 3 maggio 2003, sì che l’intervento in giudizio di questi ultimi in data 14 luglio 2003, peraltro insuscettibile di essere qualificato come autonomo atto di appello, era comunque avvenuto dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 325 cod. proc. civ..

3. Avverso tale sentenza gli eredi B. hanno proposto ricorso a questa Corte con atto notificato in data 28 settembre 2005, basato su unico, articolato, motivo. Resiste la C. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Gli eredi di B.U. denunciano falsa applicazione e violazione dell’art. 300 cod. proc. civ. e contraddittoria motivazione sul punto; nonchè falsa applicazione e violazione degli artt. 285 e 286 cod. proc. civ. e violazione dell’art. 328 cod. proc. civ. Richiamando l’orientamento espresso da Cass. S.U. n. 1228/1984, sostengono in sintesi: a)che la morte del loro dante causa, essendo avvenuta dopo la chiusura della discussione e prima della pubblicazione della sentenza, dovrebbe ritenersi, sulla base del principio desumibile dall’art. 300, u.c. e quindi della c.d.

stabilizzazione della posizione giuridica della parte (rispetto alle altre parti ed al giudice) che in tal caso si verificherebbe, inidonea a privare di effetto la procura ad litem conferita dal defunto anche per gli ulteriori gradi di giudizio, la cui ultrattività avrebbe dunque legittimato il procuratore a proporre appello; b)che il disposto dell’art. 328 c.p.c. sarebbe nella specie irrilevante, essendo riferito al differente caso della morte della parte avvenuta dopo la pubblicazione e notificazione della sentenza;

e)che, restando operante la suddetta stabilizzazione della parte defunta quale persona esistente fino a quando la morte non venga dichiarata dal procuratore costituito o gli eredi non si costituiscano nel giudizio di impugnazione, l’intervento in tale giudizio da parte di essi eredi avrebbe avuto non già la funzione di proporre autonomo atto di appello bensì solo quella di attribuire rilevanza processuale al suddetto evento morte e di assumere in proprio l’attività processuale validamente iniziata con l’impugnazione della sentenza di primo grado da parte del procuratore del defunto; d)che infine la rinnovazione della notifica della sentenza eseguita nei confronti di essi eredi sarebbe priva di rilevanza, avendo la controparte, con la prima notifica della sentenza eseguita a norma dell’art. 285 c.p.c., consumato la facoltà di scelta attribuitagli dall’art. 286 c.p.c., ed essendo nella specie inapplicabile l’art. 328 c.p.c. per quanto detto.

2. Il ricorso è privo di fondamento.

2.1 L’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr. ex multis Sez. 1 n. 11848/2007; S.U. n. 10706/2006; S . U. n. 15783/2005; S.U. n. 11394/1996), che il collegio condivide, è nel senso che la disciplina dettata dall’art. 300 c.p.c. – che non attribuisce valenza all’evento interruttivo non dichiarato nè comunicato nei modi di legge, ovvero verificatosi dopo la chiusura della discussione- va contenuta entro il rigoroso ambito ivi previsto, ossia nei limiti di quella fase del processo in cui si è verificato l’evento stesso, e non può espandersi nella successiva fase di quiescenza e di riattivazione del rapporto processuale. In tal senso, l’art. 328 c.p.c, che nella interpretazione sistematica offerta dalle ricordate pronunce delle Sezioni Unite del 1984 sarebbe destinato solo a regolare le ipotesi della morte, o delle modifiche in ordine alla capacità della parte, verificatesi nella fase di quiescenza del rapporto processuale, assume invece il ruolo di norma cardine del sistema, in quanto rivolta non solo o non tanto a modificare la decorrenza dei termini per impugnare, ma soprattutto ad esprimere il principio generale secondo il quale l’intervenuto mutamento della situazione soggettiva della parte incide sulla legittimazione alla notificazione attiva e passiva della sentenza, su quella attiva ad impugnare e quella passiva a ricevere la relativa notificazione, e così a riconoscere, in relazione ai successivi gradi del giudizio, l’automatica efficacia di quei mutamenti.

L’individuazione in tale principio generale espresso dall’art. 328 dell’asse portante del sistema conduce quindi -per esigenze appunto di coerenza sistematica- a ritenere che la sua applicazione prescinda dalle distinte previsioni dell’art. 300, relative alla fase processuale nella quale il mutamento della situazione soggettiva della parte si è verificato, e quindi si imponga sia nella ipotesi in cui tale mutamento accada nella fase attiva del processo -e non sia nè dichiarato nè notificato- sia in quella in cui intervenga dopo la discussione. Analogamente, il necessario coordinamento tra l’art. 328, commi 1 e 2 (con la prescrizione della rinnovazione della notifica della sentenza in caso di mutamenti della situazione soggettiva della parte destinataria della notifica) e l’art. 286, comma 1, conduce ad interpretare la facoltà di scelta attribuita dalla seconda norma al notificante non già tra la notifica nei confronti del deceduto e quella nei confronti degli eredi collettivamente e impersonalmente a norma dell’art. 303 c.p.c., comma 2, bensì tra quest’ultima e la notifica agli eredi stessi singolarmente e personalmente nel loro domicilio.

2.2 Pertanto, alla luce dell’orientamento sin qui esposto nei suoi passaggi essenziali, priva di fondamento si mostra la tesi dei ricorrenti circa la c.d. stabilizzazione della posizione giuridica della parte (rispetto alle altre parti ed al giudice) come persona ancora esistente per tutta la durata del processo (sino a che l’evento non venga dichiarato dal procuratore o gli eredi non intervengano nel giudizio di impugnazione) e circa la ultrattività, in pari tempo, della procura conferita dal defunto B. al difensore. Merita invece condivisione -sia pure con la parziale correzione della motivazione in diritto nei sensi qui esposti- la conclusione alla quale è giunta la Corte di merito, non essendo l’appello stato proposto dagli unici soggetti legittimati, cioè dagli eredi dell’originario convenuto soccombente. I quali si sono invece limitati a effettuare un intervento nel giudizio di impugnazione pacificamente non equiparabile ad un autonomo atto di appello, che comunque sarebbe inammissibile perchè effettuato oltre il termine breve decorrente dalla notifica della sentenza validamente rinnovata dalla C. nei loro confronti (essendo nulla quella precedentemente eseguita nei confronti del defunto) a norma dell’art. 328 e dell’art. 286 c.p.c..

3. Il rigetto del ricorso si impone dunque, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1500,00 per onorari e Euro 200,00 per spese, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile della Corte di cassazione, il 21 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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