Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10648 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/06/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 05/06/2020), n.10648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31028-2018 proposto da:

C.B.G., elettivamente domiciliato in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 120, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRO PIERMARINI, che lo rappresenta e difende unitamente a se

medesimo;

– ricorrente –

contro

C.E.I. COMPAGNIA EDILE IMMOBILIARE DI V.P. & C. SAS,

in persona del legale rappresentante pro tempore, V.P.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TOSCANA 10, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO RIZZO, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato DANIELE CALLONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1335/2018 del TRIBUNALE di LUCCA, depositata

il 21/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA

GIANNACCARI.

Fatto

RILEVATO

che:

– il Tribunale di Lucca, in composizione monocratica, con sentenza ex art. 281 sexies c.p.c., accolse l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da P.V., in proprio e quale legale rappresentante della Società CEI Compagnia Edile sas nei confronti dell’Avv. Ciollaro, il quale aveva agito in via monitoria per il pagamento delle prestazioni professionali; il Tribunale revocò, quindi, i decreti ingiuntivi e rideterminò il credito dell’opponente in Euro 68.869,80;

– per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Avv. Biagio Ciollaro sulla base di due motivi;

– ha resistito con controricorso P.V., in proprio e quale legale rappresentante della Società CEI Compagnia Edile sas;

il relatore ha formulato proposta di decisione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., di manifesta fondatezza del ricorso;

– in prossimità dell’udienza, le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

RITENUTO

che:

– va, in primo luogo, esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, proposta dal controricorrente, il quale ha dedotto che la sentenza ex art. 281 sexies c.p.c., era stata erroneamente impugnata con ricorso per cassazione, mentre, trattandosi di provvedimento emesso con sentenza in composizione monocratica, avrebbe dovuto proporsi appello, avendo riguardo al principio dell’apparenza;

– l’eccezione è infondata;

– il ricorso per decreto ingiuntivo è stato proposto nel vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011;

– il D.Lgs. n. 150 del 2011, applicabile alle cause relative agli onorari degli avvocati, prevede che “quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal presente decreto, il giudice dispone il mutamento del rito con ordinanza”;

– l’art. 4, comma 2, dispone che l’ordinanza di mutamento del rito viene pronunciata dal giudice, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di comparizione delle parti;

– il mutamento del rito non è privo di conseguenze per le parti in relazione al regime di impugnazione, in quanto l’ordinanza che conclude il procedimento speciale è ricorribile per cassazione, ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, comma 4, mentre la sentenza è impugnabile con l’appello;

– nel caso di specie, l’opposizione a decreto ingiuntivo emesso in favore dell’Avv. Ciollaro fu introdotta con citazione e non con ricorso, come, invece, previsto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, con indirizzo consolidato di questa Corte, che ha trovato conferma nella sentenza a Sezioni Unite del 23.2.2018 n. 4485;

alla prima udienza l’opposto Avv. Ciollaro chiese il mutamento del rito e, in tal senso dispose il Tribunale, con ordinanza del 20.7.2016 “rimettendo la causa davanti al Presidente di Sezione per la nomina del giudice relatore e la comparizione delle parti innanzi al collegio”;

la sentenza impugnata venne, invece, emessa dal Tribunale in composizione monocratica e non collegiale;

si tratta di stabilire se, malgrado il provvedimento conclusivo sia stato adottato con la forma della sentenza, la decisione sia impugnabile con l’appello oppure con ricorso per cassazione, ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14;

– a tal riguardo, lo stato della giurisprudenza di legittimità può considerarsi ormai solidamente attestato sul principio della c.d. “apparenza”, secondo cui (Sezioni Unite v. sent. 8949 del 16.4.2007), al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, occorre avere riguardo non già alla forma adottata, ma al suo contenuto;

– secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’individuazione del mezzo d’impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va fatta in base alla qualificazione data dal giudice con il provvedimento impugnato all’azione proposta, a prescindere dalla sua esattezza. Tale scelta è stata ritenuta l’unica conforme ai principi fondamentali della certezza dei rimedi impugnatori e dell’economia dell’attività processuale, evitando l’irragionevolezza di imporre di fatto all’interessato di tutelarsi proponendo impugnazioni a mero titolo cautelativo, nel dubbio circa l’esattezza della qualificazione operata dal giudice a quo;

– in epoca antecedente alla riforma dei riti civili di cui al citato D.Lgs. n. 150 del 2011, la giurisprudenza di questa Corte era solidamente attestata nel senso che in tema di onorari di avvocato, il giudizio di opposizione al procedimento di liquidazione doveva svolgersi in ogni caso a norma della L. 13 giugno 1942, n. 794, artt. 29 e 30, e cioè essere deciso in camera di consiglio con ordinanza non impugnabile, con la conseguenza che, anche ove fosse stato seguito il rito ordinario, al provvedimento conclusivo, pur se adottato nella forma della sentenza, doveva riconoscersi natura sostanziale di ordinanza, sottratta all’appello ed impugnabile solo con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7, salvo che la contestazione riguardasse i presupposti stessi del diritto del patrono al compenso per prestazioni giudiziali in materia civile, e non già la sola misura di questo, ipotesi nella quale, invece, la sentenza pronunciata all’esito del giudizio di opposizione poteva essere impugnata soltanto con l’appello (Cass. Civ. 15.3.2010 n. 6225).

– tale impostazione è stata ribadita anche nella sentenza 11 gennaio 2011, n. 390, delle Sezioni Unite di questa Corte, la quale ha riconosciuto che, a prescindere dalla forma del provvedimento decisorio (sentenza ovvero ordinanza), ciò che assume decisivo rilievo è la natura assunta dal procedimento nel suo concreto svolgersi;

– questi principi non trovano deroga nemmeno a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 150 del 2011.

– a prescindere dalla forma della sentenza, adottata dal Tribunale, emergono con chiarezza due decisivi elementi, in relazione ai quali deve ritenersi che il provvedimento abbia natura di ordinanza. In primo luogo, era stato disposto il mutamento del rito e, trasmessa la causa al Presidente del Tribunale, era stato nominato il giudice relatore;

– all’esito dell’istruttoria il giudice relatore rimise le parti innanzi al collegio; ne consegue che il giudizio, seppur introdotto con atto di citazione, venne immediatamente convertito in procedimento speciale ed il provvedimento conclusivo, sebbene reso con le forme della sentenza, aveva valore di ordinanza (Cassazione civile sez. VI, 14/06/2019, n. 15977);

– l’impugnazione doveva, quindi, seguire il regime previsto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, sicchè il ricorso per cassazione è stato correttamente proposto; nel merito, con il primo motivo di ricorso, deducendo la violazione dell’art. 111 Cost., in relazione al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, comma 2, il ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto decidere la causa con ordinanza in composizione collegiale mentre avrebbe erroneamente pronunciato sentenza in composizione monocratica;

– il motivo è fondato;

– la sentenza impugnata è nulla per difetto di composizione dell’organo giudicante, in quanto la decisione doveva essere resa in composizione collegiale (Cassazione civile sez. II, 18/09/2019, n. 23259);

– il ricorso deve, pertanto, essere accolto; la sentenza impugnata deve essere cassata e rinviata, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi al Tribunale di Lucca in diversa composizione;

– va dichiarato assorbito il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., e dell’art. 118 disp. att. c.p.c..

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi al Tribunale di Lucca in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-2 della Corte di cassazione, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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