Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10648 del 03/05/2010

Cassazione civile sez. I, 03/05/2010, (ud. 27/01/2010, dep. 03/05/2010), n.10648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.M., avvocato domiciliato in Roma, viale C.

Sabatini 168, presso il proprio studio, rappresentato e difeso da se

stesso e dall’avv. V. Molea, come da mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

L.F., domiciliata in Roma, piazza S. Giovanni in Laterano

60, presso l’avv. Cipriani G., che la rappresenta e difende, come da

mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 381/2004 della Corte d’appello di Perugia,

depositata il 30 novembre 2004;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. NAPPI Aniello;

udito il difensore del ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso;

Udite le conclusioni dei P.M., Dott. APICE Umberto, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Perugia si è pronunciata in secondo grado nella controversia insorta tra l’avv. C.M. e i coniugi L.F. e M. M., che il (OMISSIS) gli avevano ceduto le quote di partecipazione a una cooperativa edilizia, con il connesso diritto all’assegnazione di un alloggio in un villino quadrifamiliare in (OMISSIS), per il complessivo prezzo di L. 615.000.000.

Risulta dalla sentenza impugnata che, convenuto in giudizio dai coniugi N. per il pagamento del residuo prezzo di L. 230.000.000, C.M. aveva chiesto una riduzione del prezzo della cessione da L. 615.000.000 a L. 281.942.000, per difformità e conseguente minor valore dell’immobile assegnatogli, e aveva opposto in parziale compensazione il proprio credito derivante da pagamento di debiti pregressi dei venditori nei confronti della cooperativa.

Il 25 marzo 2002 il Tribunale di. Roma aveva accolto in parte sia la domanda degli attori sia la domanda riconvenzionale di C. M. e aveva pertanto riconosciuto ai coniugi N. un credito residuo di Euro 36.792,15.

La sentenza, appellata in via principale da C.M. e in via incidentale dalla sola L.F. nella contumacia di N.M., è stata riformata dalla Corte d’appello di Perugia, adita a norma dell’art. 30 bis c.p.c., che, disatteso l’appello principale e in accoglimento di quello incidentale, ha dichiarato inammissibile la domanda di garanzia per vizi e difformità dell’immobile assegnato a C.M. e ha determinato in Euro 116.654,2 il credito residuo dei coniugi N., condannando il convenuto appellante al pagamento di tale somma in favore della sola L.F.. Hanno ritenuto i giudici d’appello:

a) il contratto controverso ebbe a oggetto le quote della società cooperativa, non l’immobile in corso di costruzione da parte della cooperativa, sicchè C.M. non poteva fai valere nei confronti dei coniugi N. i vizi e le difformità dell’immobile e chiedere di esserne risarcito per i danni conseguenti;

b) a credito di C.M. potevano essere riconosciute solo le somme di L. 2.847.500, corrispondente a una rata di mutuo scaduta prima della cessione della partecipazione societaria, e di L. 1.278.400, relativa alle spese condominiali precedenti il 1990;

c) essendo solidale il credito dei coniugi N. l’accertamento del suo importo ha effetto per entrambi, ma la condanna di C.M. va pronunciata nei soli confronti di L. F., perchè N.M. non ha proposto appello incidentale.

Contro questa sentenza ricorre ora per Cassazione C. M. e propone quattro motivi d’impugnazione, illustrati anche da memoria, cui resiste con controricorso L.F..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo 11 ricorrente deduce l’illegittima composizione del giudice d’appello, lamentando che due componenti dei collegio siano stati designati in violazione del R.D. n. 12 del 1941, art. 7 bis così come modificato dal D.Lgs. n. 51 del 1998, art. 14.

Il motivo è infondato, essendo indiscusso nella giurisprudenza di questa corte che “il vizio di costituzione è ravvisabile solo quando gli atti giudiziali siano posti in essere da persona estranea all’Ufficio e non investita della funzione esercitata” (Cass., sez. 1^, 25 luglio 1997, n. 6953, m. 50624 4, Cass., sez. 3^, 2 marzo 1998, n. 22.64, m. 513200, Cass., sez. 3^, 30 dicembre 1993, n. 13011, m. 484914); sicchè non da luogo a nullità la violazione delle norme sull’assegnazione degli a fari, ai magistrati di un medesimo ufficio giudiziario (Cass., sez. L, 3 novembre 1982, n. 5755, m. 423489).

Si ritiene in particolare che ®non costituisco motivo di nullità del procedimento e del la sentenza la trattazione della causa da parte di un giudice diverso da quello individuato secondo le tabelle, determinata da esigenze di organizzazione interna ai medesimo ufficio giudiziario” (Cass., sez. 3^, 22 maggio 2001, n. 6964, m. 546878, Cass., sez. L, 7 aprile 2006, n. 8174, m. 588508, Cass., sez. 1^, 14 dicembre 2007, n. 26327, n. 601037).

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 1292 c.c., e degli artt. 102, 292, 334, 337, 343, 345, 359 c.p.c., lamentando che non sia stato integrato il contraddittorio nei confronti di N.M..

Sostiene che ha comportato un’illegittima modificazione della domanda la proposizione dell’appello incidentale da parte della sola L. F., riconosciuta senza alcuna giustificazione quale creditrice solidale per l’intero credito. Ed è infatti contraddittorio il riconoscimento del maggior credito in favore di entrambi i coniugi e la condanna in favore della sola L.F..

L’appello incidentale di L.F. doveva essere notificato anche a N.M., rimasto contumace nei confronti dell’appellante principale, perchè i coniugi erano litisconsorzi necessari. Sicchè la sentenza d’appello è stata resa inutilmente.

Il motivo è infondato.

Come questa corte ha già avuto modo di chiarire, infatti, la vendita di un bene comune stipulata congiuntamente da più comproprietari da luogo a solidarietà attiva dei venditori nel credito per il prezzo.

Sicchè, secondo quanto prevede l’art. 1292 c.c. “ciascuno di essi ha diritto ai chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione, con la conseguente liberazione del debitore, che ha effettuato il pagamento, nei confronti di tutti gli altri creditori e salva la ripartizione, nei rapporti interni, della somma pagata” (Cass., sez. 3^, 7 aprile 1972, n. 1063, m. 357447).

Non è affatto nuova, pertanto, la domanda riproposta da L. F. con l’appello incidentale. Ciò comporta altresì che non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario, quando la causa ha ad oggetto un’obbligazione solidale, appunto perchè “la struttura del rapporto consente ad ogni creditore di esigere – e obbliga ciascun debitore a corrispondere – l’intero” (Cass., sez. 3^, 27 giugno 2007, n. 14844, m. 598171).

Secondo quanto prevede l’art. 1306 c.c., infarti, la sentenza pronunciata tra uno dei creditori in solido e uno dei debitori in solido, pur non facendo stato contro chi sia rimasto estraneo ai giudizio, può tuttavia giovargli, ove non fondata su ragioni proprie della parte vittoriosa (Cass., sez. 3^, 27 maggio 2009, n. 12260, m.

608380). E nel caso in esame l’appello principale dell’avv. C. era stato regolarmente notificato a N..

Nel caso in esame, pertanto, la sentenza pronunciata in accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla sola L.F. non fu affatto resa inutilmente, perchè può certamente giovare anche a N.M..

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1497 e 2479 c.c., del R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, art. 98, lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente escluso l’ammissibilità dell’azione evi garanzia per i vizi dell’immobile assegnatogli quale “Titolare della partecipazione sociale acquistata dai coniugi N..

Sostiene che la quota sociale di una cooperativa edilizia, diversamente dalla quota di una società per azioni o a responsabilità limitata, non rappresenta una quota ideale del patrimonio sociale, bensì un immobile ben definito e individuato, alla cui consegna ha diritto il socio. Sicchè a causa del trasferimento di uria quota di società cooperativa, ancorchè a responsabilità limitata, o il trasferimento della proprietà attuale o futura di un immobile specificamente determinato; e i cedenti rispondono per le qualità del bene trasferito. Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, nelle cooperative edilizie aventi come scopo la costruzione e l’assegnazione di alloggi in godimento e, successivamente, in proprietà individuale ai soci, i rapporti tra questi ultimi e la società sono di due specie: da un lato quelli attinenti all’attività sociale, comportanti l’obbligo dei conferimenti e della contribuzione alle spese comuni di organizzazione e di amministrazione; dall’altro i rapporti relativi alla peculiarità dello scopo perseguito, comportanti anticipazioni ed esborsi di carattere straordinario ai fini dell’acquisto del terreno, della realizzazione degli alloggi e così via. E mentre le contribuzioni del primo tipo rientrano fra i debiti di conferimento, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2530 c.c., (nel testo anteriore alla modifica introdotta dal D.Lgs. 17 gennaio 2006, n. 6) e si ricollegano ad un obbligo che permane fino a quando persiste la qualità di socio (e, cioè, fino allo scioglimento della cooperativa, salve il caso di recesso o esclusione del socio), non vi rientrano invece quelle del secondo tipo, perchè non strettamente inerenti al rapporto sociale e destinate a gravare, in caso di uscita dalla cooperativa del socio che le ha fatte, sul socio che gli subentra e che acquista, in questo modo, l’aspettativa all’assegnazione dell’alloggio. Ne consegue che e anticipazioni e gli esborsi effettuati dal socio non a titolo di conferimento e, in conseguenza dell’obbligo inerente alla partecipazione alle spese comuni di organizzazione e di amministrazione, ma per il conseguimento dei. singoli beni o servizi prodotti dalla cooperativa, pongono il socio nella posizione di creditore verso la cooperativa, posizione che – una volta avvenuto lo scioglimento del rapporto sociale – si manifesta come diritto alla restituzione delle somme anticipate (sempre che, ovviamente, la proprietà dell’alloggio non sia stata nel frattempo conseguita e lo scopo sociale non sia stato raggiunto, non sottoposto, e salva la possibilità di una diversa disciplina pattizia, alla disciplina giuridica relativa alla quota sociale (Cass., sez. 1^, 18 maggio 2004, n. 9393, m. 572924, Cass., sez. 1^, 7 dicembre 2000, n. 15550, m. 542544).

D’altro canto la giurisprudenza di questa corte ha altresì chiarito che: “il socio di una cooperativa, beneficiario del servizio mutualistico reso da quest’ultima, è parte di due distinti (anche se collegati) rapporti (che non vanno, peraltro, sovrapposti, attesa la diversità della natura giuridica e la non assoluta omogeneità della relativa disciplina) 1, luno di carattere associativo, che discende direttamente dall’adesione al contratto sociale e dalla conseguente acquisizione della qualità di socio, l’altro (per lo più di natura sinallagmatica), che deriva dal contratto bilaterale di scambio, per effetto del quale egli si appropria del bene o del servizio resogli dall’ente. Nelle cooperative edilizie, in particolare, l’acquisto, da parte dei soci, della proprietà dell’alloggio per la cui realizzazione l’ente sia stato costituito passa attraverso la stipulazione di un contratto di scambio, la cui causa è del tutto omogenea a quella della compravendita, in relazione al quale la cooperativa assume veste di allenante, ed il socio quella di acquirente” (Cass., sez. 1^, 28 marzo 2007, n. 7646, m. 596020).

Deve pertanto ritenersi che, nel caso di cessione delle quote di partecipazione in una società cooperativa edilizia, si trasferiscono sia la posizione di socio sia il diritto di credito verso la società. Non si trasferisce invece la proprietà dell’immobile non ancora assegnato al socio, perchè è appunto solo con la stipula del contratto di scambio con la società che il socio ne acquista la proprietà. Infatti “l’assegnazione in favore del socio dell’alloggio realizzato da una società cooperativa edilizia è, al pari di una compravendita, un contratto ad effetti reali che si perfeziona con il consenso delle parti e che determina il trasferimento all’acquirente della proprietà dei bene immobile che ne è oggetto” (Cass., sez. 1^, 23 marzo 2004, n. 5724, m. 571402).

Quanto alle qualità dell’immobile per la cui costruzione la cooperativa fu costituita, dunque, le azioni di garanzia proprie del contratto di compravendita possono essere esercitate nel rapporto tra socio e cooperativa, non nel rapporto tra cedente e cessionario delle quote di partecipazione nella società.

Ciò non esclude peraltro che anche nel rapporto tra cedente e cessionario delle quote sociali possano assumere rilevanza le qualità e il valore dell’immobile di cui si attende l’assegnazione.

Come questa corte ha già avuto modo di chiarire, in realtà, “la cessione delle azioni o dei le quote già una società di capitali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze e i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni compresi, nei patrimonio sociale – e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione – possono giustificare la risoluzione del contratto di cessione per difetto di “qualità” della cosa venduta ai sensi dell’art. 1497 c.c. (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che in concreto la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico) solo se il cedente abbia tornito a tale riguardo specifiche garanzie contrattuali, anche diversamente qualificate, sufficiente essendo che il rilascio della garanzia si evinca inequivocamente dal contratto” (Cass., sez. 1^, 13 dicembre 2006, n. 26690, m. 593651, Cass., sez. 3^, 19 luglio 2007, n. 16031, m. 598889). Tuttavia nel caso in esame il ricorrente non ha neppure dedotte che tali specifiche garanzie fossero state fornite, essendosi limitato a rilevare che il contratto del 1990 era stato denominato di cessione, anzichè di trasferimento, delle quote.

Mentre i giudici del merito hanno ben evidenziate come le sole garanzie concordate dalle parti attenevano all’effettivo subentro di C.M. ai coniugi N. nella posizione di socio della cooperativa e alla sistemazione dei conti tra i cedenti e la società.

4. Con il quarto motivo infine il ricorrente deduce vizi di motivazione della decisione “Impugnata in ordine all’accertamento dei suoi crediti opposti in parziale compensazione del credito vantato per il prezzo dai coniugi N..

Lamenta in particolare che non sia stato neppure motivato il diniego delle seguenti voci di danno: a) L. 50.000.000 per danni morali cagionatigli con la truffa aggravata perpetrata dai coniugi N.; b) danni biologici derivanti dalle inondazioni dell’immobile cagionate dai difetti di costruzione; c) L. 33.059.000 relativi ratei di mutuo scaduti, e a debiti di utenze varie; d) L. 20.000.000 per l’impianto di irrigazione e pompaggio; e) L. 14.000.000 per l’abusiva asportazione di un gazebo.

Il motivo è infondato.

Quanto ai danni derivanti dai vizi dell’immobile, che si assumono occultati fraudolentemente, i giudici del merito ne hanno correttamente escluse: la rilevanza, una volta dichiarata l’inamissibilità dell’azione di garanzia per i vizi della cosa.

Quanto ai debiti verso la cooperativa escussi con lettera del 16 giugno 1993, i giudici del merito hanno ragionevolmente rilevato come manchi la prova che si tratti di debiti antecedenti alla cessione della quota. E il ricorrente si limita a sostenere che comunque quelle spese dovevano gravare sui cedenti, in quanto necessarie per il completamento dell’immobile, ancora senza considerare che oggetto della cessione era la quota sociale, non l’alloggio.

Quanto al gazebo di cui si lamenta l’asportazione, il ricorrente neppure deduce che si trattasse di accessorio di proprietà della cooperativa e quindi riconducibile alla quota sociale cedutagli.

5. Si deve pertanto concludere con il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alle spese.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi Euro 4.230,00, di cui Euro 4.300,00 per onorari, oltre spese generali, e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2010

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