Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10647 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/06/2020, (ud. 14/02/2020, dep. 05/06/2020), n.10647

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28390-2018 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. PAISIELLO,

32, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO ONOFRI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ALESSANDRO

MAGNO 33, presso lo studio dell’avvocato VITTORIA GIUVA, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1904/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositato il 31/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO

PIETRO LAMORGESE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.C. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte d’appello di Roma, in data 31.7.2018, che aveva rigettato la sua domanda di revoca o riduzione dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge G.G., determinato dal tribunale con sentenza n. 238 del 2013 in Euro 1800,00 mensili.

La corte ha ritenuto che i motivi sopravvenuti indicati dal M., il quale aveva dedotto il peggioramento delle proprie condizioni economiche e patrimoniali, a fronte del miglioramento di quelle della G., fossero inidonei a giustificare l’accoglimento della domanda.

In particolare, ad avviso della corte, egli percepiva una pensione di Euro 4500,00 mensili e non era verosimile che i redditi di lavoro professionale di avvocato fossero in diminuzione negli ultimi anni; era proprietario di diversi immobili e di un appartamento in Roma locato a terzi, non essendo verosimile che ne avesse concesso alcune stanze in comodato gratuito; aveva sostenuto spese per l’ampliamento della propria abitazione e sottoposto la villa di proprietà a vincolo di destinazione in favore del nuovo coniuge a titolo di liberalità; il carico relativo a prestiti finanziari assunti in epoche pregresse era esaurito e le lamentate condizioni precarie di salute erano risalenti nel tempo. La G., invece, già all’epoca del divorzio non lavorava, era proprietaria di una porzione di un villino e di un terreno agricolo e aveva ricevuto in eredità l’importo di Euro 117801,00 e un appartamento a Roma, ma erano circostanze non idonee a modificare in modo significativo l’assetto economico patrimoniale delle parti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per avere ignorato i nuovi principi elaborati in sede giurisprudenziale circa i criteri di attribuzione e quantificazione dell’assegno divorzile: il matrimonio era durato solo sei anni, la G. non aveva mai contribuito al menage familiare, nè esistevano figli; l’ex moglie era una professionista iscritta all’albo dei commercialisti con una abitazione di proprietà e aveva ricevuto un lascito ereditario non indifferente; egli percepiva una pensione di Euro 1800,00 mensili e non di Euro 4600,00 come indicato nel decreto impugnato.

Il secondo motivo denuncia omesso esame di fatti decisivi a dimostrazione della minore consistenza e capacità reddituale del M., derivanti in particolare dal successivo matrimonio con persona che egli doveva mantenere, circostanza trascurata dalla corte di merito, la quale neppure aveva tenuto conto che il vincolo di destinazione era stato costituito al fine di sottrarre la villa all’azione esecutiva dei suoi numerosi creditori.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia omesso esame di fatti decisivi che avrebbero dovuto indurre i giudici di merito quantomeno a ridurre l’entità dell’assegno, avendo l’ex coniuge la possibilità di vivere agiatamente in casa di proprietà, essendo titolare di una ingente consistenza bancaria e prossima beneficiaria della pensione di vecchiaia.

I suddetti motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati nei seguenti termini.

Si osserva preliminarmente che la revisione dell’assegno divorzile di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9, postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle loro condizioni, quale presupposto fattuale (dei “giustificati motivi” di cui parla l’art. 9) necessario per procedere al giudizio di revisione dell’assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali (cfr. Cass. n. 1119 del 2020).

Si deve dunque verificare se siano sopravvenuti elementi fattuali idonei a destabilizzare l’assetto patrimoniale in essere, nel qual caso il giudice di merito dovrà fare applicazione dei nuovi principi, quali emergenti dalle recenti pronunce di questa corte in materia da ultimo, Cass. n. 21234 e 21228 del 2019), per modificarlo e adeguarlo all’attualità.

Al giudice di merito è rimessa la valutazione degli elementi probatori dedotti dal richiedente, ai fini della revisione delle condizioni patrimoniali conseguenti al divorzio, di cui deve dare adeguata motivazione che, nella specie, non emerge dal decreto impugnato.

Ed infatti, numerosi sono gli elementi fattuali, sebbene potenzialmente decisivi, di cui il giudice di merito, pur formalmente richiamandoli, non ha tenuto alcun conto.

In particolare, non ha considerato la non trascurabile eredità (consistente in denaro e un immobile) acquisita dalla G.; i sopravvenuti oneri familiari dell’obbligato derivanti dal nuovo matrimonio, cui è collegato il sorgere di nuovi obblighi di carattere economico, la cui rilevanza è riconosciuta dalla giurisprudenza quale circostanza sopravvenuta che può portare alla modifica delle condizioni originariamente stabilite (cfr. Cass. n. 6289 del 2014, n. 14175 del 2016); ha mancato di accertare la disponibilità di ulteriori fonti di reddito sopravvenute da parte della G.; lo stesso reddito del M. è stato determinato dal giudice di merito in un importo contestato dal ricorrente senza indicare la fonte del proprio convincimento; inoltre, la limitata durata del vincolo matrimoniale (sei anni) potrebbe assumere nuova luce se si considera che l’assegno divorzile è stato di fatto corrisposto per diversi anni dal momento in cui è stato attribuito e determinato (con sentenza del 2013), al fine di giustificare potenzialmente una attualizzazione dell’assetto patrimoniale post-coniugale, in applicazione di un criterio, qual è quello della durata del matrimonio, rilevante anche ai fini della revisione delle condizioni patrimoniali degli ex coniugi (cfr. L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come modificato dalla L. n. 74 del 1987).

La motivazione del decreto impugnato risulta apparente e apodittica e, dunque, censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Ne consegue la cassazione dello stesso con rinvio alla Corte territoriale per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese della presente fase.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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