Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10645 del 02/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 02/05/2017, (ud. 02/02/2017, dep.02/05/2017),  n. 10645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4056-2015 proposto da:

M.C. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA LUCIO PAPIRIO 83, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

AVITABILE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI SCIALDONI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.S.I.A. S.P.A. (Azienda Servizi Igiene Ambientale) NAPOLI S.P.A.

P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 96, presso lo

studio dell’avvocato LUCA DI PAOLO, rappresentata e difesa

dall’avvocato FRANCESCO CASTIGLIONE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5539/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 31/07/2014 R.G.N. 5539/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/02/2017 dal Consigliere Dott. LORITO MATILDE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI FRANCESCA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANNAMARIA FERRETTI per delega verbale Avvocato

FRANCESCO CASTIGLIONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Napoli confermava la pronuncia resa dal Tribunale della stessa sede con cui era stata respinta la domanda proposta da M.C. nei confronti della A.S.I.A. – Azienda Servizi Igiene Ambientale di Napoli – s.p.a. intesa a conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli in data 28/4/2011 e la condanna della società alla reintegra nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art. 18.

A fondamento del decisum la Corte territoriale osservava, in estrema sintesi, che la contestazione degli addebiti – consistiti in una serie di prelievi abusivi di carburante reiterati nell’arco di circa cinque mesi mediante l’uso di carta di credito aziendale – era da ritenersi tempestiva rispetto al momento in cui gli episodi si erano verificati; che il compendio probatorio di natura documentale e testimoniale acquisito, aveva consentito di acclarare che l’automezzo in relazione al quale erano stati svolti i prelievi di carburante, era stato assegnato, per quelle giornate, al M.; che la carta aziendale abbinata a detto mezzo era sempre stata utilizzata in occasione di detti prelievi; che i fatti addebitati al ricorrente e comprovati alla stregua degli elementi descritti, avevano ingenerato una rottura irreversibile del vincolo fiduciario posto a fondamento del rapporto di lavoro, considerata la gravità della condotta desumibile dalla reiterazione dell’illecito in un arco di tempo ristretto, sintomatica di una evidente attitudine alla ripetizione di fattispecie contra legem.

La cassazione di tale pronuncia è domandata dal M. sulla base di tre motivi.

Resiste la società intimata con controricorso, successivamente illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Critica la sentenza impugnata per aver invertito l’onere probatorio in ordine alla dimostrazione della ricorrenza della giusta causa di licenziamento. Deduce che, avendo in radice negato i fatti contestati, la prova della addebitabilità dell’illecito gravante sulla società, non sarebbe stata soddisfatta alla stregua di elementi gravi, precisi e concordanti.

In tal senso la Corte territoriale avrebbe disposto malgoverno delle risultanze probatorie, mancando la prova, in atti, dei fatti relativi ad un secondo riempimento del serbatoio, a distanza di dieci minuti dal primo. Inoltre l’azienda non aveva esibito in giudizio copia della documentazione rilasciata dalla stazione Q8 che si assumeva non autorizzata ad erogare carburante, nè gli scontrini sottoscritti dal M..

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Ci si duole della errata valutazione da parte del giudice del gravame, delle risultanze istruttorie alle quali è stata data dignità di prova nonostante il mero valore indiziario rivestito dagli elementi raccolti.

3. Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375 e 2119 c.c., nonchè del L. n. 300 del 1970, art. 7, della L. n. 604 del 1966, art. 3, e dell’art. 68 c.c.n.l. Igiene Ambientale – Aziende Municipalizzate del 17/6/2011 ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si critica la sentenza impugnata per violazione del principio della immediatezza della contestazione, essendo stata ritenuta tempestiva una contestazione con la quale erano stati addebitati fatti risalenti nel tempo, in guisa tale da non consentire al lavoratore di approntare una adeguata difesa.

4. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, vanno disattesi.

Non può sottacersi, invero che le critiche formulate risultano affette da evidenti profili di inammissibilità laddove, pur a fronte di denunciati vizi di violazione di legge, in realtà si lamenta principalmente una erronea valutazione delle circostanze fattuali che compongono il quadro probatorio delineato in prime cure e che, se rettamente apprezzate, avrebbero dovuto condurre ad escludere la prova relativa al compimento, da parte del ricorrente, delle condotte illecite a lui ascritte.

In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste infatti, nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. ex plurimis, Cass. 11/1/2016, n. 195, Cass. 16/7/2010, n. 16698). Nella specie ricorre proprio siffatta ultima ipotesi in quanto la violazione di legge viene dedotta mediante la contestazione della valutazione delle risultanze di causa la cui censura è ammissibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, che qui non viene denunciato, ma non sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di legge.

Le critiche formulate, tendono a pervenire, inammissibilmente, ad una rinnovata valutazione degli approdi ai quali è pervenuta la Corte distrettuale, inibita, nella presente sede di legittimità anche, alla luce dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione di testo applicabile ratione temporis, di cui alla novella del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134.

Nella interpretazione resa dai recenti arresti delle Sezioni Unite di questa (… Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi (vedi Cass. S.U. 7/4/2014, n. 8053), la disposizione va letta in un’ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Scompare, quindi, nella condivisibile opinione espressa dalla Corte, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta quello sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.

Il controllo previsto dal nuovo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), concerne, dunque, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo.

L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

5. Applicando i suddetti principi alla fattispecie qui scrutinata, non può prescindersi dal rilievo che tramite la articolata censura, la parte ricorrente, contravvenendo ai detti principi, sollecita un’inammissibile rivalutazione dei dati istruttori acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminati dalla Corte territoriale, auspicandone un’interpretazione a sè più favorevole, non ammissibile nella presente sede di legittimità.

Lo specifico iter motivazionale seguito dai giudici dell’impugnazione non risponde infatti ai requisiti dell’assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimità, onde la statuizione resiste comunque alla censura all’esame.

Facendo leva sui dati acquisiti in sede istruttoria, la Corte di merito ha infatti acclarato, come riferito nello storico di lite, che la documentazione versata in atti (in particolare tabulato della Kuwait Petroleum di cui all’doc. 4 recante indicazione delle date e orari dei prelievi di carburante oltre che dell’abbinamento fra carta di credito ed automezzo ASIA; tabulato relativo alla assegnazione degli automezzi dal quale risultava che la targa dei veicoli cui erano riferibili i rifornimenti abusivi era abbinata al M.) aveva consentito di acclarare la riferibilità al ricorrente delle attività illecite addebitate, laddove la prova testimoniale raccolta era univoca nel senso di escludere l’ipotesi, pure accreditata dal ricorrente a sua difesa, di una clonazione della scheda carburante.

La statuizione si fonda, dunque, su di un accertamento in fatto congruo e completo per quanto sinora detto, onde resiste alla censura all’esame.

6. In definitiva, alla luce delle superiori argomentazioni, il ricorso è respinto.

Per il principio della soccombenza, le spese del presente giudizio si pongono a carico della ricorrente nella misura in dispositivo liquidata.

Si dà atto, infine, della sussistenza delle condizioni richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte ricorrente, a titolo di contributo unificato, dell’ulteriore importo pari a quello versato per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2017

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