Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10644 del 02/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 02/05/2017, (ud. 01/02/2017, dep.02/05/2017),  n. 10644

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18749-2014 proposto da:

A.I. C.F. (OMISSIS), in proprio e nella qualità di

procuratrice generale della madre P.E. vedova A.,

elettivamente domiciliate in Roma Via di Porta Pinciana 6, presso lo

studio dell’avvocato GUIDO PARLATO, che le rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

ABC ACQUA BENE COMUNE NAPOLI AZIENDA SPECIALE, già ARIN S.P.A., C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, ARIN

AZIENDA SPECIALE, in persona del Commissario Liquidatore,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA SARDEGNA 50, presso lo studio

dell’avvocato EMANUELE MERILLI, rappresentate e difese dall’avvocato

SERGIO TURRA’, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2060/2014 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 30/01/2014 R.G.N. 18151/10;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/02/2017 dal Consigliere Dott. BLASUTTO DANIELA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso;

udito l’Avvocato GUIDO PARLATO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza n. 2060/2014 la Corte di cassazione ha respinto il ricorso proposto da P.E. e da A.I., nella qualità di eredi di A.A., avente ad oggetto la sentenza n. 3289/2010 della Corte di appello di Napoli che, in accoglimento dell’appello di ARIN. s.p.a. e ARIN Azienda Risorse Idriche di Napoli in liquidazione, riformando la pronuncia di primo grado, aveva rigettato la domanda proposta dalle istanti intesa a conseguire il computo, nella determinazione del trattamento pensionistico spettante al dante causa, dell’indennità di incentivazione di cui all’Accordo sindacale 2 settembre 1971 e al pagamento delle conseguenti differenze maturate sui ratei di pensione oltre interessi legali, nonchè delle differenze a titolo di pensione di reversibilità maturate da P.E..

2. La sentenza della Corte di appello, ricostruito il sistema pensionistico applicabile ai dipendenti dell’ARIN assunti in data anteriore al 30 gennaio 1963, aveva osservato che l’indennità di incentivazione, erogata per le sole giornate di effettiva presenza, era causalmente correlata all’ordinaria prestazione lavorativa e dunque computabile nel trattamento pensionistico aziendale; tuttavia, poichè tale indennità è corrisposta in ragione della effettiva presenza in servizio del dipendente e tale presenza deve essere continuativa nell’anno precedente la messa in quiescenza, le ricorrenti, sulle quali incombeva l’onere di dimostrare tali presupposti ai fini della computabilità dell’emolumento nella base pensionistica, non avevano prodotto elementi di prova sufficienti, depositando soltanto due statini paga relativi ai mesi di luglio e agosto 1987.

3. Tale sentenza aveva formato oggetto di ricorso per cassazione da parte delle eredi A.. Queste avevano lamentato che la Corte territoriale erroneamente aveva dato ingresso all’eccezione, sollevata per la prima volta in appello, relativa al difetto di prova dei fatti costitutivi del diritto, trascurando di considerare che le stesse Aziende convenute avevano prodotto in primo grado un conteggio attestante i periodi e la misura dell’indennità di incentivazione erogata all’ A..

4. La Corte di cassazione, con sentenza n. 2060 del 2014, ha respinto il ricorso sul rilievo di non potere esaminare le suddette censure, poichè le ricorrenti, nonostante l’affermazione contenuta a pagina 11 ricorso (“… in osservanza del principio di autosufficienza di ricorso, si allega il prospetto contabile redatto dalle aziende resistenti”), non avevano depositato il documento contabile sul quale fondavano l’impugnazione.

5. La sentenza n. 2060/2014 ha formato oggetto di ricorso per revocazione, ai sensi degli artt. 391 bis e 395 c.p.c.. Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con ricorso per revocazione si denuncia l’errore percettivo (art. 395 c.p.c., n. 4) in cui era incorsa la Corte di cassazione per non essersi avveduta che il prospetto di computo redatto dalle Aziende resistenti costituiva parte integrante di ricorso per cassazione, in quanto inserito tra le pagine 11 e 12 di tale atto, come era agevole verificare esaminando la produzione di parte in cui il ricorso nel suo testo integrale era inserito quale primo atto. D’altronde, che il documento in questione facesse parte del ricorso era circostanza riconosciuta dalle stesse resistenti, le quali nel controricorso notificato avevano dato atto di tale produzione in allegato al ricorso, contestandone tuttavia l’idoneità probatoria. Su tale prospetto risultavano apposti i timbri attestanti la provenienza dello stesso dalla società convenuta ARIN e in esso era stato ricostruito il compenso per incentivazione percepito dall’ A. nel corso dell’ultimo anno di servizio (agosto 1986 – luglio 1987). Proprio sulla base di tale conteggio il Tribunale aveva ritenuto provati i presupposti della domanda.

2. Il ricorso per revocazione è fondato.

3. L’errore di fatto, previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire, ai sensi dell’art. 391 bis dello stesso codice, motivo di revocazione della sentenza emessa dalla Corte di cassazione, deve consistere, al pari dell’errore revocatorio imputabile al giudizio di merito, nell’affermazione o supposizione dell’esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece, in modo indiscutibile, esclusa o accertata in base al tenore degli atti o dei documenti di causa; deve essere decisivo, nel senso che deve esistere un necessario nesso di causalità tra l’erronea supposizione e la decisione resa; non deve cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata e deve, infine, presentare i caratteri della evidenza e della obiettività. Tale errore si configura necessariamente come un errore percettivo, e non come un errore di giudizio, che investa per sua natura l’attività valutativa e interpretativa del giudice.

4. La sentenza n. 2060/14 muove dal rilievo del difetto di allegazione, nel ricorso per cassazione, del prospetto di parte convenuta in primo grado contenente, oltre alla rielaborazione dei conteggi, la specificazione degli importi percepiti mensilmente dall’ A. a titolo di indennità di incentivazione. Dall’esame degli atti risulta che il prospetto contabile in questione è allegato all’interno dell’originale del ricorso per cassazione. L’affermazione della inesistenza in atti di tale conteggio costituisce un errore percettivo, direttamente incidente sull’esito del giudizio, poichè l’affermazione dell’inesistenza del documento è stata posta a fondamento del ragionamento logico – giuridico sotteso la decisione.

5. Tanto osservato quanto alla fase rescindente, segue la fase rescissoria, poichè in caso di errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione della sentenza della Corte di cassazione, dev’essere deciso il ricorso oggetto della decisione revocata (cfr., Cass. n. 22520 del 2015).

6. Con il primo motivo le ricorrenti, denunciando violazione degli artt. 342 e 345 c.p.c., nonchè omessa contraddittoria motivazione su un punto essenziale della controversia, rappresentano che le Aziende convenute non avevano contestato in primo grado la presenza in servizio dell’ A. nell’ultimo anno del rapporto di lavoro, nè che costui avesse percepito l’indennità di incentivazione nella misura indicata nel prospetto contabile allegato alla memoria difensiva, introducendo solo in appello – e dunque tardivamente in giudizio – l’eccezione difensiva di carenza di prova in ordine alla continuità della erogazione.

6.1. Con il secondo motivo le ricorrenti, denunciando violazione degli artt. 416 e 112 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione, deducono che costituivano fatti non controversi in giudizio quelli ammessi delle stesse Aziende convenute nel prospetto contabile depositato in primo grado.

6.2. Con il terzo motivo denunciano violazione dell’art. 1362 c.c. e vizio di motivazione in ordine all’interpretazione delle fonti (accordo sindacale del 2.9.71 e delibere del 29.5.75 e n. 404 del 1987) che disciplinano l’indennità di incentivazione. Le ricorrenti assumono che tale indennità ha i requisiti della fissità, continuità ed irrevocabilità in virtù non della sua erogazione di fatto, bensì della disciplina che la regola e che attribuisce all’emolumento i predetti connotati, correlati alla presenza in servizio.

7. Il ricorso per cassazione è fondato e va accolto per quanto di ragione.

8. Giova premettere la giurisprudenza di legittimità formatasi in materia (da ultimo, Cass. n. 2133 del 2014, nonchè Cass. n. 15418/2000; Cass. n. 20734/07; Cass. n. 8114/08; Cass. 25237/09; Cass. 11337/10; Cass. 14161/11; Cass. 18746/13).

8.1. Secondo tale giurisprudenza, il carattere della continuità di un determinato compenso non può essere concepito in modo assoluto, ma deve essere valutato in relazione alla particolare natura di ciascun compenso. Conseguentemente deve considerarsi fornita di tale carattere l’indennità di incentivazione (o di presenza), corrisposta in base alla disciplina aziendale ai dipendenti dell’ARIN, in quanto essa, ancorchè erogata nelle sole giornate di effettiva presenza, è causalmente correlata all’ordinaria prestazione lavorativa. Tale indennità, pertanto, è computabile nel trattamento pensionistico in quanto, ai sensi del D.L. n. 55 del 1983, art. 30convertito nella L. n. 131 del 1983, possono rientrare nel trattamento pensionistico dei dipendenti degli enti locali – al quale dall’i gennaio 1987 l’Azienda suddetta ha equiparato il trattamento pensionistico dei propri dipendenti – tutti gli emolumenti fissi e continuativi dovuti come remunerazione dell’attività lavorativa.

8.2. Come ricostruito nei precedenti giurisprudenziali di questa Corte, l’indennità di incentivazione venne introdotta in via sperimentale, allo scopo di scoraggiare la tendenza assenteistica nei posti di lavoro, dall’accordo sindacale del 2 settembre 1971, ratificato con delibera aziendale del 27 novembre 1971, con il quale venne stabilito di corrispondere al personale AMAN (poi ARIN) una indennità nella misura dello 0,80% dello stipendio lordo di fatto percepito, per ogni giorno di effettiva presenza e fino ad un massimo di 22 giorni al mese. Successivamente, con delibera del 29 aprile 1975, la Commissione Amministratrice dell’ARIN rese definitiva l’indennità in questione, avendo accertato che erano state raggiunte le finalità che avevano ispirato l’introduzione di tale indennità, e cioè una massiccia contrazione delle assenze e dei permessi, con conseguente più elevato indice di produttività. Con la stessa delibera si stabilì altresì che l’indennità di incentivazione costituisse parte integrante delle disposizioni di cui al regolamento organico aziendale del 22 settembre 1945. Gli artt. 64 e 65 di tale regolamento, richiamati in ricorso, stabiliscono rispettivamente che la pensione globale dopo 40 anni di servizio, si computa nella misura del 95% dello stipendio medio dell’ultimo anno, mentre coloro che cessano dal servizio con meno di 40 anni di anzianità e non meno di 16, hanno diritto ad una pensione pari a tanti quarantesimi del 95% di cui innanzi, per quanti sono gli anni di servizio maturati. Tali disposizioni sono state da ultimo confermate dagli accordi aziendali del 6 giugno 1967 e 5 gennaio 1968, ratificati dall’Azienda con apposite delibere, con i quali si è previsto che “la determinazione della pensione continuerà ad essere effettuata sulla base dello stipendio medio dell’ultimo anno”, in esso compresa, alla stregua dei principi elaborati da questa Corte, sopra enunciati, l’indennità di incentivazione percepita nei giorni di effettiva presenza dei lavoratori (cfr., in tal senso, Cass. n. 2133 del 2014 cit.).

8.3. Dunque, l’indennità in esame ha carattere continuativo, ma ai fini della determinazione delle differenze pensionistiche derivanti dal suo computo nella base pensionabile occorre la dimostrazione della sua effettiva percezione, della misura in cui questa è stata erogata e del periodo di riferimento. Tale indennità, come risulta dai precedenti citati, che richiamano l’accordo aziendale del 2 settembre 1971, istitutivo della stessa, è infatti corrisposta nelle giornate di “effettiva presenza e fino ad un massimo di 22 giorni al mese”, ciò che esclude che possa farsi riferimento solamente ad uno o più mesi, trattandosi di importi suscettibili di variazione in ragione, appunto, della effettiva presenza dell’interessato.

8.4. Dunque, i caratteri della continuità e fissità dell’indennità in parola, richiedono pur sempre la dimostrazione della somma effettivamente percepita a tale titolo ai fini del computo della stessa nel trattamento pensionistico, appunto perchè l’indennità in esame non va corrisposta in misura fissa, ma in base a ciascun giorno di effettiva presenza e con un massimo di 22 giorni mensili, secondo gli accordi e le delibere di ratifica innanzi citati; inoltre, la determinazione della pensione va effettuata “sulla base dello stipendio medio dell’ultimo anno”, in esso compresa l’indennità in questione, onde ai fini del computo della stessa nel trattamento pensionistico non può prescindersi dall’importo percepito a tale titolo in detto anno.

9. Tanto premesso, sono fondate le censure svolte con il primo e il secondo motivo.

9.1. Innanzitutto, l’allegazione al ricorso per cassazione del documento di parte convenuta, di cui si assume l’avvenuta produzione in primo grado, contenente l’elencazione dei periodi e degli importi percepiti dal dante causa delle odierne ricorrenti, assolve gli oneri che gravano sulla parte che agisce nel giudizio di legittimità sull’assunto che la controparte abbia tenuto condotte processuali di non contestazione (cfr. Cass. n. 16655 del 2016, n. 14784 del 2015, n. 8569 del 2013).

9.2. Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, perchè i fatti addotti da una parte possano essere considerati incontroversi – e non richiedano quindi una prova specifica – non è sufficiente la sua sola mancata contestazione; occorre invece che lo stesso sia esplicitamente ammesso dalla controparte, ovvero che questa, pur non contestandolo in modo specifico, abbia impostato il proprio sistema difensivo su circostanze ed argomentazioni logicamente incompatibili con il suo disconoscimento (cfr. ex plurimis, Cass. n. 12947 del 1992, n. 6623 del 1997, n. 10247 del 1998, n 4687 del 1999, n. 2959 del 2002). La circostanza che un elemento costitutivo della domanda sia pacifico opera da limite alla rilevabilità d’ufficio della sua mancanza (cfr. ex plurimis, Cass. n. 2415 del 1995, n. 1902 del 2002).

9.2. In particolare, nel rito del lavoro, la mancata specifica contestazione dei fatti costitutivi del diritto dedotti dal ricorrente – che può essere effettuata entro il limite temporale previsto dall’art. 420 c.p.c., comma 1, per la modificazione delle domande, eccezioni e conclusioni – rende i fatti stessi incontroversi e, conseguentemente, essi non possono essere contestati nell’ulteriore corso del giudizio, sono sottratti al controllo probatorio del giudice e devono essere ritenuti sussistenti senza necessità di un apposito accertamento (Cass. n. 535 del 2003, n. 15746 del 2003, n. 4556 del 2004, S.U. n. 761 del 2002).

9.3. Alla stregua di tali principi il ricorso va accolto, spettando al giudice di rinvio verificare se la continuità della percezione dell’indennità di incentivazione da parte di A.A. nell’ultimo anno di servizio, ai fini della sua inclusione nella base di computo della pensione, dovesse essere provata in giudizio da parte delle ricorrenti in primo grado o dovesse essere considerato fatto pacifico, tale da non potere essere più contestato in appello.

10. In conclusione, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione per il riesame del merito dell’appello. Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione e del giudizio di revocazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso per revocazione e revoca la sentenza impugnata decidendo sul ricorso per cassazione, accoglie il ricorso; cassa delle sentenze di appello e rinvia alla Corte di appello di Napoli, anche per le spese dei giudizi di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 1 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2017

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