Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10643 del 22/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/04/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 22/04/2021), n.10643

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33252-2018 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliata presso la cancelleria della

CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa

dagli Avvocati ELEONORA D’ORTA, GIANPIERO ZINGARI;

– ricorrente –

contro

C.C.Z.V., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA TRASONE 8/12, presso lo studio dell’Avvocato ERCOLE FORGIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati NICOLA CAPUTO, CLAUDIA PIOZZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1156/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 03/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA

DE FELICE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, ha condannato B.G. a corrispondere a Q.C.Z.V., collaboratrice domestica, la somma di Euro 23.080,43, avendo ritenuto non provato, nel giudizio di merito, il pagamento delle prestazioni di lavoro straordinario e domenicale, svolte dalla stessa in favore della datrice;

la cassazione della sentenza è domandata da B.G. sulla base di tre motivi, illustrati da successiva memoria;

Q.C.Z.V. ha depositato controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente lamenta “Omessa motivazione in merito alla erronea ricostruzione della fattispecie concreta”; in particolare si duole che la sentenza gravata abbia ritenuto non provato lo svolgimento di lavoro domenicale e straordinario sulla base del solo elemento indiziario, contenuto nella memoria difensiva di primo grado, che la ricorrenza della dedotta circostanza non fosse risultata adeguatamente provata;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, lamenta “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 c.c.”; contesta l’interpretazione del significato attribuito dalla Corte d’appello alle risultanze probatorie emerse nel corso del giudizio, rilevando come le ammissioni dei testi escussi non si presterebbero ad essere considerate alla stregua di presunzioni semplici, non possedendo i caratteri della gravità, precisione e concordanza: in particolare, esse non consentirebbero di accertare con ragionevole certezza le ore di lavoro straordinario feriale e festivo che la collaboratrice domestica ha sostenuto di aver svolto;

col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e dell’art. 115 c.p.c.”; fondato il proprio convincimento sui talune affermazioni generiche contenute nella memoria difensiva di primo grado, la Corte d’appello avrebbe condannato l’odierna ricorrente senza che la controparte avesse offerto concreti elementi di prova idonei a individuare il numero complessivo di giornate e di ore in cui la lavoratrice aveva espletato ore di straordinario o, comunque, lavorato nei giorni festivi;

i primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione;

essi sono inammissibili;

sotto il contestato profilo del vizio di motivazione le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che “…nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Sez. Un. 8053 del 2014);

la formulazione della doglianza da parte della ricorrente finisce per denunciare, perciò, non già l’omesso esame di un fatto storico decisivo, bensì la mancata valorizzazione di risultanze istruttorie, che si assumono erroneamente valutate dalla Corte territoriale;

quanto alla censura di violazione di legge, così come prospettata essa è solo apparente, atteso che le critiche mirano, in realtà, a sollecitare una rivalutazione dei fatti così come operata dal giudice di merito;

la Corte territoriale ha richiamato espressamente i passaggi della memoria difensiva in primo grado da cui ha rilevato l’esplicito riconoscimento da parte di B.G. dello svolgimento di lavoro domenicale e straordinario da parte della collaboratrice domestica, anche quanto alla sua determinazione in senso temporale e quantitativo, avendo ritenuto che esso fosse stato prestato nei limiti delle 250 ore per tutta la durata del rapporto (p. 6 e 7 sent.);

va, pertanto, nel caso in esame, data attuazione al costante orientamento di questa Corte, che reputa “…inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.” (Cass. n. 18721 del 2018; Cass. n. 8758 del 2017);

il terzo motivo è parimenti inammissibile;

secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il Giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dai poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. n. 26769 del 2018);

nel caso in esame, la Corte territoriale si è attenuta pienamente alle regole giuridiche di attribuzione dell’onere della prova e di osservanza dell’art. 115 c.p.c., del quale ha fatto puntuale applicazione;

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021

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