Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10643 del 03/05/2010

Cassazione civile sez. I, 03/05/2010, (ud. 06/10/2009, dep. 03/05/2010), n.10643

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – est. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.G. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

16/02/2006, n. 51284/05 R.G.A.D.;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale dott.

RIELLO Luigi che chiede che la Corte di Cassazione, in Camera di

consiglio, rigetti il ricorso per manifesta infondatezza.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla Corte d’Appello di Roma M.G. chiedeva l’equa riparazione del danno sofferto per la violazione dell’art. 6 par. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali sotto il profilo del mancato rispetto del termine di durata ragionevole del processo, introdotto con ricorso dinanzi al Giudice del lavoro di Napoli, depositato in cancelleria il 24 gennaio 1995, per ottenere l’adeguamento della indennita’ di invalidita’ a suo tempo corrispostagli dall’INPS. Deduceva il ricorrente che il giudizio era stato definito, in primo grado, con sentenza di rigetto, depositata in data 13 novembre 1996; che aveva impugnato detta sentenza dinanzi al Tribunale di Napoli con ricorso depositato in data 8 maggio 1997; che detto Tribunale aveva deciso la impugnazione con sentenza del 22 gennaio 2001; che, infine, il ricorso per cassazione, proposto in data 3 aprile 2002, era stato deciso dalla Corte Suprema con sentenza 17 marzo 2004.

La Corte adita con decreto in data 31 ottobre 2005 – 16 febbraio 2006, ritenuto che detto processo avesse superato il periodo di durata ragionevole per anni uno e mesi sei, condannava il Ministero della Giustizia al pagamento a favore di M.G. della somma di Euro 1.500,00, con gli interessi legali dalla data del decreto fino all’effettivo soddisfo, nonche’ al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, Euro 200,00 per diritti ed Euro 400,00 per onorari, disponendone la distrazione a favore dell’avvocato antistatario.

Avverso tale decreto M.G. ha proposto ricorso per Cassazione. L’intimato Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il ricorso per Cassazione il ricorrente denuncia violazione dell’art. 6, par. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e della L. n. 89 del 2001, deducendo: che una volta accertata, come avvenuto nel caso di specie, la violazione del termine di ragionevole durata del processo il risarcimento va riconosciuto per ogni anno di durata e non per il solo ritardo e la liquidazione del danno per ogni anno di durata del processo non dovrebbe essere inferiore ad Euro 1.500,00 annui, cui dovrebbe essere aggiunta, trattandosi di causa di lavoro, la ulteriore somma di Euro 2.000,00; che la modesta entita’ della somma richiesta nel giudizio presupposto e l’esito dello stesso, non sono ragioni che consentano di escludere l’esistenza del danno non patrimoniale, potendo il patema d’animo, che legittima l’indennizzo, sussistere anche se il valore del giudizio presupposto e’ modesto indipendentemente dall’esito dello stesso, specie quando trattasi, come nel caso di specie, di cause di lavoro o previdenziali.

Il ricorrente lamenta, altresi’, la violazione, nella liquidazione delle spese processuali, delle tariffe professionali. Il ricorso e’ fondato nei limiti di seguito precisati.

Se la modesta entita’ della posta in gioco non e’ motivo sufficiente per escludere l’esistenza di conseguenze pregiudizievoli per il ricorrente (cfr. per tutte Cass. sez. un. n. 1339 del 2004 ; Cass. n. 19029 del 2005), atteso che secondo la CEDU e la citata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 la durata irragionevole del processo arreca normalmente alle parti sofferenze di carattere psicologico sufficienti a giustificare la liquidazione di un danno non patrimoniale, tuttavia la entita’ della posta in gioco acquista rilevanza al fine di modulare l’entita’ del risarcimento.

Cio’ posto, al fine di determinare l’entita’ del risarcimento, vengono in considerazione: la durata eccessiva del processo presupposto, che, nel caso di specie,e’ stata determinata dal giudice a quo, con motivazione ineccepibile, in un anno e sei mesi; i parametri minimi sanciti dalla CEDU di quantificazione dell’equo indennizzo, indicati in Euro 1.000,00 – 1.500,00 per ogni anno di ritardo, parametri che non possono essere ignorati dal giudice nazionale, pur conservando questo un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purche’ in misura ragionevole, dalle liquidazioni effettuate da quella Corte (cfr. per tutte Cass. sez. un. n. 1340 del 2004, nella quale si e’ affermato che tale regola di conformazione, inerendo ai rapporti della citata L. n. 89 del 2001 e la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo ed essendo espressione dell’obbligo del giudice nazionale di interpretare ed applicare il diritto interno, per quanto possibile, conformemente alla Convenzione ed alla giurisprudenza di Strasburgo, ha natura giuridica, onde il mancato rispetto di essa da parte del giudice del merito concretizza il vizio di violazione di legge, denunziabile dinanzi alla Corte di Cassazione).

In base ai dati su esposti deve ritenersi che il giudice a quo ha correttamente liquidato al ricorrente, a titolo di danno morale per un anno e sei mesi di durata da ritenersi irragionevole, la somma di Euro 1.500,00, applicando il parametro minimo di Euro 1.000,00, dato il modesto valore della causa presupposta, per ogni anno di durata irragionevole, senza riconoscimento, per la stessa ragione, del richiesto bonus di Euro 2000,00.

Ne’ va presa in considerazione, al fine della liquidazione del danno, l’intera durata del processo, come invece vorrebbe il ricorrente, atteso che il giudice nazionale e’ tenuto ad applicare le norme dello Stato e, quindi, il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), il quale prevede che, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, deve aversi riguardo al solo periodo eccedente il termine ragionevole di durata e non all’intero periodo di durata del processo presupposto (cfr. in tal senso Cass. 1403 del 2008; Cass. n. 1354 del 2008).

Pertanto la richiesta di un maggiore indennizzo devesi ritenere infondata.

Il ricorso deve essere accolto, invece, per quanto riguarda la censura relativa alla liquidazione delle spese giudiziali, non essendosi il giudice a quo attenuto a quanto previsto dalla tariffa giudiziale.

Per quanto precede il ricorso deve essere accolto nei limiti su precisati, il decreto deve essere cassato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito, condannando il Ministero della Giustizia a pagare a M. G., a titolo di rimborso spese processuali del giudizio dinanzi alla Corte d’Appello, la somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 310,00 per diritti ed Euro 480,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

L’accoglimento del ricorso nei limiti su indicati comporta il pagamento a favore del ricorrente anche delle spese del giudizio di legittimita’, che appare giusto compensare nella misura di due terzi, gravando l’amministrazione del residuo terzo, spese che per l’intero determina in Euro 1.100,00, di cui Euro 70 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte, sia per il giudizio di merito che per quello di legittimita’, a favore del difensore avv. Marra antistatario.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia a corrispondere alla parte ricorrente le spese del giudizio: che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 310,00 per diritti ed Euro 480,00 per onorari oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. A. L. Marra antistatario;

che compensa in misura di due terzi per il giudizio di legittimita’, gravando l’amministrazione del residuo terzo e che determina per l’intero in Euro 1.100,00, di cui Euro 70,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. A. L. Marra antistatario.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2010

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