Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10643 del 02/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 02/05/2017, (ud. 31/01/2017, dep.02/05/2017),  n. 10643

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17648-2015 proposto da:

D.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI DARDANELLI 46, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO SPINELLA,

rappresentata e difesa dall’avvocato CINZIA CAPRIOTTI, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 27/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 27/01/2015 R.G.N. 462/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2017 dal Consigliere Dott. BALESTRIERI FEDERICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MAURIZIO SPINELLA;

udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega verbale Avvocato ROBERTO

PESSI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 414 c.p.c., la sig.ra D.S., assunta con vari contratti a termine, del 2001 e 2002, dalla società Poste Italiane quale portalettere (livello D), adiva il Tribunale di Ascoli Piceno per sentir dichiarare la nullità delle clausole di durata apposte ai vari contratti, chiedendo, conseguentemente, di dichiarare costituito tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, nonchè di condannare la convenuta a riammetterla in servizio, col pagamento di tutte le retribuzioni maturate, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.

Il Tribunale, con sentenza n. 633/05, accoglieva la domanda.

La ricorrente chiedeva inoltre di avere diritto alla reintegra con inquadramento nel livello A2, in virtù delle superiori mansioni espletate sino al 3.9.09 (allorquando venne licenziata a seguito della riforma della sentenza di primo grado da parte della Corte d’appello di Ancona, sent. n. 321/09) e, per l’effetto, chiedeva la condanna di Poste Italiane al pagamento di tutte le differenze retributive maturate e maturande per differenza di inquadramento e di mansioni effettivamente espletate.

Si costituiva ritualmente nel giudizio Poste Italiane s.p.a., contestando in fatto ed in diritto le avverse pretese e concludendo per il rigetto del ricorso.

Il Tribunale rigettava le domande.

Proponeva appello avverso la suddetta sentenza la sig.ra D.. Resisteva Poste Italiane s.p.a.

La Corte di appello di Ancona con la sentenza n. 27/2015, in parziale riforma della sentenza appellata, confermata nel resto, condannava Poste Italiane al pagamento della somma di Euro 3.246,59 a titolo di t.f.r., oltre rivalutazione e interessi come per legge.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la D., affidato a sei motivi, poi illustrati con memoria.

Resiste Poste Italiane s.p.a. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2103 c.c.; del c.c.n.l. Poste 11.7.07; degli artt. 115, 116 e 416 c.p.c., oltre ad omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Lamenta che la sentenza impugnata, pur avendo accertato che la D. si dedicò all’apprendimento di programmi informatici, frequentando corsi destinati al personale di livello superiore, alla collaborazione con il direttore ed i caposquadra, ritenne non dimostrato lo svolgimento di mansioni superiori (in tesi A2 in luogo del livello D ove era originariamente inquadrata).

Lamenta inoltre che la sentenza impugnata ritenne erroneamente che, anche a voler prescindere dalla prova dell’effettivo svolgimento di mansioni riconducibili al preteso superiore inquadramento (A2), difettava comunque la prova che le mansioni in tesi svolte corrispondessero all’effettivo grado di responsabilità ed autonomia che le contraddistinguevano, senza risolversi nella mera collaborazione esecutiva di altri dipendenti aventi qualifica superiore. A tal riguardo deduce che la società Poste le assegnò formalmente, dieci giorni dopo la sentenza n. 321/09 della Corte d’appello di Ancona, mansioni di livello superiore (ordine di servizio del 22.6.09).

Il motivo, del resto corredato da vari brani di deposizioni testimoniali e da rinvii a documenti di cui non è chiarito, in contrasto col principio di autosufficienza, il contenuto, è inammissibile, mirando ad una diversa ricostruzione dei fatti ed apprezzamento delle circostanze di causa, nel regime di cui al novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2. – Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1325 e 1326 c.c..

Lamenta che la sentenza impugnata ritenne irrilevante l’ordine di servizio del 22.6.09, che costituiva, peraltro, a suo avviso, una novazione del contratto.

Il motivo è infondato.

In merito all’ordine di servizio 22.6.09, non può che convenirsi con la sentenza impugnata laddove ne afferma l’irrilevanza, essendo successivo alla sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 321/09, che riformava la pronuncia con cui era stato dichiarato sussistente un rapporto di lavoro a tempo indeterminato inter partes. Trattasi dunque di provvedimento emesso allorquando il rapporto di lavoro de quo non era più in essere, e dunque privo di giuridici effetti, tanto meno novativi, difettando l’animus novandi (che presuppone un rapporto contrattuale in essere) essendo pacifico che esso venne invece emesso prima della conoscenza, da parte di Poste, della riforma della sentenza n. 633/05 del Tribunale di Ascoli Piceno e dunque, come detto, allorquando il rapporto di lavoro tra le parti non era più sussistente.

3. – Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 4 e 5.

Lamenta che la sentenza impugnata non considerò che le norme ora indicate, in materia di proroga del contratto a termine e di prolungamento del contratto oltre la scadenza del termine, imponevano di considerare a tempo indeterminato il rapporto di lavoro de quo.

Il motivo è infondato, per le considerazioni svolte sub 2). Ed invero, una volta accertata l’insussistenza del rapporto di lavoro per effetto della sentenza n. 321/09 della Corte d’appello di Ancona, pacificamente non conosciuta da Poste al momento dell’emanazione dell’ordine di servizio 22.6.09, non può certamente riconoscersi a quest’ultimo alcun effettivo valore negoziale (per mancanza dell’oggetto), tanto meno di proroga o protrazione del contratto, non più sussistente.

4. – Con il quarto la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2, L. n. 300 del 1970, artt. 7 e 8.

Lamenta che, essendosi trasformato il rapporto de quo in contratto a tempo indeterminato, il licenziamento non poteva che essere irrogato con la forma scritta (art. 2 cit.) e con le modalità di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7.

Il motivo è infondato, essendo errato il presupposto su cui si basa, e cioè l’avvenuta trasformazione del rapporto in contratto a tempo indeterminato. Premesso poi che il richiamo all’art. 7 dello Statuto è inconferente, riguardando i licenziamenti disciplinari, che nulla hanno a che vedere con la cessazione del rapporto per la scadenza del termine, deve ribadirsi che l’ordine di servizio del 22.6.09, non contenendo alcuna novazione, era inidoneo alla trasformazione e stabilizzazione del rapporto di lavoro, sicchè la comunicazione 3.9.09 di cessazione del rapporto, per effetto della riforma della sentenza n. 633/05 del Tribunale di Ascoli Piceno, non poteva configurare, come esattamente affermato dalla sentenza impugnata, alcun licenziamento.

5. – Con il quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 36 Cost., artt. 2094, 2095 e 2099 c.c..

Lamenta che la sentenza impugnata, pur riconoscendo lo svolgimento di mansioni superiori, confermate dall’istruttoria, omise di riconoscere alla ricorrente le corrispondenti maggiori retribuzioni, nonostante la c.t.u. contabile espletata.

Il motivo è infondato, avendo la corte di merito in realtà motivatamente escluso lo svolgimento di mansioni superiori, con apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede, come evidenziato sub 1).

La c.t.u. contabile, peraltro, su cui la ricorrente fonda, almeno in parte, le sue doglianze, non risulta prodotta, in violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

6. – Con il sesto motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere la sentenza impugnata esaminato la questione dello stato di malattia della lavoratrice al momento del licenziamento.

Il motivo è infondato, avendo la corte di merito condivisibilmente chiarito che la comunicazione 3.9.09, di cessazione del rapporto per scadenza del termine (fattispecie nella quale non è comunque applicabile l’art. 2110 c.c.), non costituisce, come affermato plurime volte da questa Corte, un licenziamento, ma solo la presa d’atto della scadenza di efficacia del contratto, cfr. da ultimo Cass. n. 6100 del 17/03/2014.

7. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2017

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