Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10641 del 23/05/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 10641 Anno 2016
Presidente: DI PALMA SALVATORE
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 9999-2013 proposto da:
PANSOLIN

ROBERTO

(C.F.

PNSRRT52D01C823U),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO 7,
presso l’avvocato MARIA TERESA BARBANTINI, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORENZO

Data pubblicazione: 23/05/2016

CALCAGNO, giusta procura in calce al ricorso;
rlcorrente –

2016
869

contro

SO.FARMA.MORRA S.P.A., già COFARM S.P.A., in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA E. GIANTURCO 6, presso

1

l’avvocato NICOLA ELMI, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato GIANFRANCO PANERI, giusta
procura in calce al controricorso;
– controricorrente contro

intimato

avverso la sentenza n. 44/2013 della CORTE D’APPELLO
di GENOVA, depositata il 10/01/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/04/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO
VALITUTTI;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato ELMI NICOLA
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUISA DE RENZIS che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

_

BONGIOVANNI BRUGNATELLI SILVANO;

2

RITENUTO IN FATTO.
1. Con atto di citazione notificato il 20 marzo 1996, la Cofarm s.p.a.
conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Genova, Roberto Pansolin e Silvano Bongiovanni Brugnatelli, chiedendo accertarsi
l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., della cessione della
Farmacia Piemontese in Savona, operata da Silvano Bongiovanni

poiché costituente atto che pregiudicava le ragioni creditorie vantate dalla società attrice. Il Tribunale adito, con sentenza n.
12244/1999, depositata l’ 1 dicembre 1999, respingeva la domanda, condannando la Cofarm s.p.a. al pagamento delle spese di lite.
2. Avverso la decisione di primo grado quest’ultima proponeva appello, che veniva accolto dalla Corte di Appello di Genova, con sentenza n. 44/2013, depositata il 10 gennaio 2013 e notificata il 13
febbraio 2013, con la quale il giudice del gravame dichiarava
l’inefficacia, ex art. 2901 cod. civ., della cessione della Farmacia
Piemontese in Savona, operata da Silvano Bongiovanni Brugnatelli a
favore di Roberto Pansolin in data 22 giugno 1993, in quanto costituente atto lesivo delle ragioni creditorie vantate dalla società Cofarm s.p.a., poi incorporata per fusione nella SO. FARMA. MORRA
s.p.a. La Corte rigettava, invece, la domanda di manleva proposta
dal Pansolin nei confronti del Bongiovanni Brugnatelli.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto, quindi, ricorso
Roberto Pansolin nei confronti di Silvano Bongiovanni Brugnatelli e
della SO. FARMA. MORRA s.p.a., affidato a due motivi.
4. La società resistente ha replicato con controricorso. L’intimato
Bongiovanni Brugnatelli non ha svolto attività difensiva.
5. Le parti costituite hanno depositato memorie ex art. 378 cod.
proc. civ.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con i due motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – Roberto Pansolin denuncia
la violazione degli artt. 2901 e 2902 cod. civ., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della

Brugnatelli a favore di Roberto Pansolin in data 22 giugno 1993,

controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc.
civ.
1.1. Il ricorrente si duole del fatto che l’impugnata sentenza abbia
“sorprendentemente, ma erroneamente ed immotivatamente” dichiarato l’inefficacia, ex art. 2901 cod. civ., della cessione della
Farmacia Piemontese in Savona, operata da Silvano Bongiovanni

poiché costituente atto che pregiudicava le ragioni creditorie vantate dalla società Cofarm s.p.a. (ora SO. FARMA. MORRA s.p.a.). La
Corte territoriale non avrebbe considerato, infatti, una serie di circostanze, emergenti dalle risultanze processuali, idonee ad evidenziare

che

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suindicata avrebbe

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l’adempimento di un obbligo scaduto, derivante dal contratto preliminare stipulato inter partes 1’11 marzo 1991, integrato dalla successiva scrittura del novembre 1992.
1.2. Di più, il giudice di appello avrebbe, altresì, “inspiegabilmente,
ma illegittimamente” respinto la domanda di manleva proposta dal
Pansolin nei confronti del cedente Bongiovanni Brignatelli, senza
tenere conto della clausola n. 5 del contratto in data 22 giugno
1993, in forza della quale la vendita della farmacia sarebbe avvenuta “senza subingresso nei crediti e nei debiti della parte venditrice”.
Sicchè, anche sotto tale profilo, la decisione di appello sarebbe illegittima ed andrebbe cassata.
2. Le censure – come ha ampiamente e dettagliatamente eccepito
la resistente SO. FARMA. MORRA s.p.a. nel controricorso (pp. 2731) – sono inammissibili per diversi ordini di ragioni.
2.1. Va osservato, anzitutto, che, per quanto concerne il vizio di
violazione o falsa applicazione della legge, i motivi di ricorso difettano di autosufficienza, in violazione degli artt. 366, comma 1, n. 6,
e 369, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. (Cass. 7455/2013). Ed invero,
il ricorrente che intenda censurare la violazione o falsa applicazione
di norme di diritto deve indicare, e trascrivere nel ricorso, anche i
riferimenti di carattere fattuale in concreto condizionanti gli ambiti

2

Brugnatelli a favore di Roberto Pansolin in data 22 giugno 1993,

di operatività della violazione denunciata (cfr. Cass. nn.
15910/2005; 7846/2006; 27197/2006).
2.1.1. Nel caso concreto, il Pansolin denuncia la violazione degli
artt. 2901 e 2902 cod. civ., lamentando, per un verso, che la Corte
di Appello non abbia considerato che l’atto di cessione del 22 giugno
1993 avrebbe costituito, non un atto in frode ai creditori, bensì

minare stipulato inter partes I’ll marzo 1991 e dalla successiva integrazione del novembre 1992, per altro verso, che la domanda di
manleva, nei termini esposti “nei precedenti scritti difensivi” (comparsa di risposta di primo grado, comparsa conclusionale di primo
grado e di appello) sia stata “inspiegabilmente, ma illegittimamente” disattesa dalla Corte territoriale.
2.1.2. Orbene – in disparte la considerazione, sulla quale si tornerà
di qui a poco, che tali censure sono state dedotte senza alcuna specificazione delle parti dell’impugnata sentenza nelle quali l’organo
giudicante sarebbe incorso nelle pretese violazioni di legge, ed in
quale modo ciò sarebbe accaduto – i motivi in esame, anche a volerli considerare, in astratto, idonei a denunciare una effettiva violazione di legge, come dianzi detto, sono anzitutto carenti sotto il
profilo dell’autosufficienza. L’istante non ha, invero, né trascritto,
quanto meno nei punti essenziali, e neppure allegato al ricorso ex
art. 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., il contratto preliminare,
con la successiva integrazione, e l’atto definitivo di cessione, onde
consentire a questa Corte di stabilire – sulla base del solo ricorso,
nel rispetto del principio succitato – se l’atto di cessione possa, o
meno, considerarsi adempimento di debito scaduto, ai sensi e per
gli effetti di cui all’art. 2901, comma 3, cod. civ. Allo stesso modo, il
ricorrente non ha riportato i passaggi fondamentali degli scritti difensivi suindicati, al fine di consentire alla Corte di valutare – sulla
base della domanda così come proposta – la correttezza, o meno,
del rigetto della stessa da parte della Corte di Appello.
2.2. Ancora con riferimento alla denunciata violazione di legge, va dipoi – osservato che tale vizio si risolve in un giudizio sul fatto con-

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l’adempimento di un obbligo scaduto, derivante dal contratto preli-

templato dalle norme di diritto positivo applicabili al caso specifico,
con la correlata necessità che la sua denunzia debba avvenire a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata,

specie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e
dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (Cass. 10295/2007;
635/2015). Ne consegue che devono ritenersi inammissibili quei
motivi che non precisino in alcuna maniera in che cosa consista la
violazione di legge che avrebbe portato alla pronuncia di merito che
si sostiene errata, o che si limitino ad una affermazione apodittica
non seguita da alcuna dimostrazione (Cass. 15263/2007).
2.2.1. Nel caso di specie, il ricorso – come fondatamente eccepito
dalla società resistente – non contiene indicazione alcuna dei passaggi dell’impugnata sentenza nei quali la Corte di merito abbia, in
ipotesi, errato nell’applicazione delle norme o dei principi di diritto
applicabili alla fattispecie, nè specifica in alcun modo in che cosa
tale violazione si sia concretata. Per converso, il Pansolin – come si
evince dai frequenti richiami alla “motivazione” dell’impugnata sentenza, al fatto che la Corte di merito abbia “inspiegabilmente”, “illegittimamente” ed “immotivatamente” deciso, ed alla omessa o non
corretta valutazione delle prove documentali in atti (come l’art. 5
dell’atto di cessione del 22 giugno 1993) – muove essenzialmente
censure al giudizio di fatto, operato dal giudice di appello alla stregua delle emergenze processuali in atti.
2.2.2. E’ evidente, peraltro, che tale modus operandi del ricorrente
esula del tutto dall’ambito della contestazione al giudizio di diritto
operato dal giudice di seconda istanza, nel quale si concreta il vizio
di violazione o falsa applicazione della legge ex art. 360, comma 1,
n. 3 cod. proc. civ. Il vizio in parola consiste, invero, nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi,

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debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fatti-

implica necessariamente un problema interpretativo della stessa,
mentre, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie
concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e si sostanzia nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura avrebbe potuto dare luogo
solo a vizio di motivazione, secondo l’originaria formulazione

Cass.S.U. 10313/2006; Cass. 4178/2007; 16698/2010;
8315/2013; 26110/2015; 195/2016).
2.3. E tuttavia, anche sotto tale ultimo profilo le censure – non potendo trovare applicazione, nella specie, il testo originario dell’art.
360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. – si palesano inammissibili, considerato il nuovo modello del vizio di motivazione di cui all’art. 54
del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134
(applicabile ratione temporis, essendo stata la sentenza di appello
depositata dopo 1 1 11 settembre 2012), che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cessazione, relativo
all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che
abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, e abbia carattere
decisivo. Fermo restando che l’omessa o insufficiente valutazione ci”
elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di
un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato
comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza
non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie in atti
(Cass.S.U. 8053 e 8054/2014; Cass. 25216/2014).
Ne discende che non rientra in alcun modo nella previsione suindicata la censurata omessa od erronea valutazione delle prove documentali in atti, denunciata dal ricorrente nel caso concreto.
2.4. Le censure in esame, poiché inammissibili, non possono, pertanto, trovare accoglimento.
3. Il ricorso proposto da Roberto Pansolin deve essere, di conseguenza, dichiarato inammissibile.

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dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. (cfr., ex plurimis,

4. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella
misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alle spese
del presente giudizio, che liquida in C 6.200,00, di cui ad C 200,00

13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrenti,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione
Civile, il 26 aprile 2016.

per esborsi, spese forfettarie ed accessori di legge. Ai sensi dell’art.

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