Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1064 del 18/01/2011

Cassazione civile sez. VI, 18/01/2011, (ud. 10/12/2010, dep. 18/01/2011), n.1064

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso per regolamento di competenza proposto da:

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona

dell’amministratore pro tempore, B.V. e S.

U., rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a

margine del ricorso, dagli Avv. Parrillo Giuseppe e Baliva Marco,

elettivamente domiciliati nello studio di quest’ultimo in Roma, via

Carlo Poma, n. 4;

– ricorrenti –

contro

G.R. e F.G.;

– intimati –

avverso la sentenza del Tribunale di Modena n. 1220 in data 4

settembre 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituito Procuratore Generale dott. Sgroi Carmelo.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – Il condominio (OMISSIS), in persona dell’amministratore pro tempore, ed i condomini B. V. e S.U. hanno convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Modena, i condomini G.R. e F. G., lamentando la violazione della prescrizione contenuta nel regolamento di condominio di natura contrattuale, la quale vieta l’esercizio di attività rumorose o maleodoranti nelle unità abitative facenti parte dell’edificio condominiale, a causa dello svolgimento, da parte dei convenuti, di un’attività di lavoro a domicilio di cucitura di pellami con macchinari nel loro appartamento destinato ad abitazione.

Gli attori hanno domandato l’accertamento della violazione da parte dei convenuti dell’obbligo di non fare di cui alla disposizione regolamentare e l’emanazione dell’ordine di sospensione di qualsiasi attività lavorativa in contrasto con detta previsione contrattuale, con condanna alla riduzione in pristino.

Il B. e la S. hanno altresì chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni materiali e alla salute subiti, quantificati in Euro 10.000 o nella diversa misura accertata in corso di causa.

I convenuti, costituendosi con comparsa di costituzione e risposta, hanno eccepito, tra l’altro, l’incompetenza per materia del tribunale, sostenendo che la controversia rientrerebbe tra quelle devolute al giudice di pace ex art. 7 c.p.c., comma 3, n. 3, trattandosi di causa relativa “a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità”.

2. – Il Tribunale di Modena, con sentenza in data 4 settembre 2009, ha declinato la propria competenza, ravvisando la competenza per materia del giudice di pace, sul rilievo che la controversia introdotta ha ad oggetto “l’accertamento del grado di tollerabilità che l’immissione di rumore lamentata in citazione arreca alla vita dei condomini”.

3. – Con atto notificato il 1 ottobre 2009, il condominio (OMISSIS), il B. e la S. hanno proposto regolamento di competenza.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

4. – Il pubblico ministero presso la Corte, nelle conclusioni espresse ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c., comma 1, ha chiesto, in accoglimento del ricorso per regolamento di competenza, la dichiarazione di competenza del Tribunale di Modena.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Risulta dall’atto di citazione che la domanda giudiziale, avanzata nei confronti dei comproprietari di un appartamento dello stabile condominiale, si incentra bensì sulla doglianza dello svolgimento, nell’appartamento dei convenuti, di attività materiali (di lavoro a domicilio di cucitura di pellami con appositi macchinari) produttive di rumori, scuotimenti e vibrazioni, causative di danni sia materiali (lesioni alle parti murarie) sia non patrimoniali alla salute di alcuni condomini; ma indica, a fonte degli obblighi di non fare e risarcitori cumulativamente azionati in giudizio, non il superamento della soglia della tollerabilità, prevista dall’art. 844 cod. civ. per la soluzione dei conflitti di vicinato, ma una specifica prescrizione contenuta nel regolamento di condominio di natura contrattuale, che fa divieto di esercitare simili attività rumorose nonchè di svolgere attività di carattere lavorativo.

Per questa sua impostazione, la domanda giudiziale – come ha puntualmente sottolineato il pubblico ministero nelle sue conclusioni scritte – si presenta estranea alla dimensione applicativa della norma generale sostanziale in tema di immissione di cui all’art. 844 cod. civ., norma di cui – con alcune varianti soggettive (per eccesso, essendovi inclusi anche i detentori) ed oggetti ve (per difetto, non essendovi comprese le controversie in tema di immissioni cd. industriali, ossia derivanti dalla produzione industriale, agricola o commerciale) – l’art. 7 c.p.c., comma 3, n. 3, è il riflesso sul piano processuale, come si desume dalla piena simmetria tra le due disposizioni nella elencazione delle immissioni.

La materia affidata al giudice di pace – cui è affidato il contenzioso della tolleranza e della convivenza – è esclusivamente quella delle immissioni, disciplinata e regolamentata secondo i meccanismi delineati dall’art. 844 cod. civ., il quale impone di valutare la normale tollerabilità e di tener conto, a tale fine, dei criteri del contemperamento delle contrapposte esigenze e della priorità di un determinato uso (Cass., Sez. 2^, 11 luglio 2007, n. 15583), laddove la domanda giudiziale avanzata si fonda sulla opponibilità di uno specifico divieto contenuto nel regolamento contrattuale condominiale.

Di qui l’estraneità del caso di specie alla regola di competenza stabilita dall’art. 7 c.p.c., comma 3, n. 3.

Tale estraneità deriva dal fatto che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2^, 15 luglio 1986, n. 4554;

Sez. 2^, 4 aprile 2001, n. 4963), quando l’attività posta in essere da uno dei condomini di un edificio è idonea a determinare il turbamento del bene della tranquillità degli altri partecipi, tutelato espressamente da disposizioni contrattuali del regolamento condominiale, non occorre accertare, al fine di ritenere l’attività stessa illegittima, se questa costituisca o meno immissione vietata ex art. 844 cod. civ., in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale possono imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva anche maggiori di quelle stabilite dall’indicata norma generale sulla proprietà fondiaria.

Ne consegue che quando si invoca, a sostegno dell’obbligazione di non fare, il rispetto di una clausola del regolamento contrattuale che restringa poteri e facoltà dei singoli condomini sui piani o sulle porzioni di piano in proprietà esclusiva, il giudice è chiamato a valutare la legittimità o meno dell’immissione, non sotto la lente dell’art. 844 cod. civ., ma esclusivamente in base al tenore delle previsioni negoziali di quel regolamento, costitutive di un vincolo di natura reale assimilabile ad una servitù reciproca (cfr. Cass., Sez. 2^, 25 ottobre 2001, n. 13164; Cass., Sez. 2^, 4 febbraio 2004, n. 2106; Cass., Sez. 2^, 8 marzo 2006, n. 4920).

L’enunciata ratio decidendi consente di ritenere assorbita l’ulteriore questione se la concorrente proposizione di una domanda di risarcimento del danno per equivalente, per un importo superiore alla soglia di cui all’art. 7 cod. proc. civ., comma 1, comporti l’attrazione in ogni caso della cognizione della causa intera presso il tribunale per ragioni di connessione, a norma dell’art. 40 c.p.c., comma 7; o se il citato art. 7, comma 3, n. 3, devolva alla competenza per materia del giudice di pace, senza limiti di valore, le azioni in tema di immissioni “interprivate” che oltrepassino la soglia della normale tollerabilità, non soltanto nei loro aspetti di carattere reale ai sensi dell’art. 844 cod. civ., ma anche nelle implicazioni risarcitorie di carattere personale, ex artt. 2043 e 2059 cod. civ..

2. – Va dichiarata la competenza del Tribunale di Modena.

Ciò sulla base del seguente principio di diritto: “Le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni, che l’art. 7 c.p.c., comma 3, n. 3, affida alla competenza per materia del giudice di pace, sono quelle che si muovono nella cornice applicativa dell’art. 844 cod. civ., in cui al giudice è commesso il compito di valutare il superamento della normale tollerabilità; si è al di fuori di tale ambito, e la causa rientra nella competenza del tribunale, allorchè si verta in tema di opponibilità della clausola di un regolamento condominiale che, imponendo limitazioni al godimento degli appartamenti di proprietà esclusiva, vieti in essi l’esercizio di certe attività lavorative, e si invochi, a sostegno dell’obbligazione di non fare, non la norma codicistica sulle immissioni, ma il rispetto della più rigorosa previsione regolamentare, costitutiva di servitù reciproche”.

3. – La sentenza impugnata è cassata.

La causa deve essere riassunta dinanzi al Tribunale dichiarato competente entro i termini di legge.

Il giudice del merito provvederà sulle spese del regolamento di competenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Modena, cassa la sentenza declinatoria, dispone la riassunzione nel termine di legge e rimette al giudice del merito la pronuncia sulle spese del regolamento di competenza.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2011

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