Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1064 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. I, 17/01/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 17/01/2020), n.1064

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32921/2018 proposto da:

O.E., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Alessandro Praticò del foro di Torino che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto n. 4813 del 28/9/2018 del Tribunale di Torino;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 19/12/2019 dal consigliere relatore Dott. Giovanni

Ariolli.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. O.E., cittadino della (OMISSIS), ricorre per cassazione avverso il Decreto n. 4813/2018 con cui il Tribunale di Torino ha rigettato l’opposizione avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Torino che ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale ed umanitaria; svolgendo due motivi ne chiede l’annullamento.

2. Si è costituito con controricorso il Ministero dell’Interno, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità e/o rigettarsi il ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, artt. 2 e 3 C.E.D.U., oltre al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.p., n. 3, anche sotto il profilo dell’inosservanza dell’art. 132 c.p.c., n. 4.

La censura si articola in quattro rilievi: il primo attiene alla valutazione del narrato del ricorrente e all’esclusione della protezione internazionale in ragione di fatti di natura meramente privata; il secondo riguarda l’omesso apprezzamento del dichiarato alla luce della situazione generale della Nigeria (che avrebbe invece condotto ad un giudizio di credibilità); il terzo si riferisce all’aver fondato la valutazione di inattendibilità su parametri diversi da quelli normativi, venendo anche meno al dovere di cooperazione istruttoria; il quarto è relativo all’avere emesso una motivazione apparente, non osservando il disposto di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4.

Ciò premesso, ritiene il Collegio che il motivo sia inammissibile.

3.1. Quanto al primo rilievo, seppur il danno grave possa provenire anche da soggetti privati, il giudice del merito ha correttamente escluso che una mera situazione di minaccia avente carattere inter-privato in quanto dovuta a conflitti di carattere familiare ed interpersonale possa assurgere, di per sè e in mancanza di elementi dimostrativi di poter ricorrere nel caso concreto alla tutela statuale, a requisito legale per il riconoscimento della protezione sussidiaria, poichè altrimenti ogni vittima di reati commessi di fatto con l’uso della violenza si troverebbe nella condizione di poter accedere a tale forma speciale di protezione, con la conseguenza di far sostanzialmente coincidere il numero delle persone ammissibili con quelle coinvolte nell’area di operatività della giurisdizione penale in detti Paesi. Questa Corte ha, infatti, al riguardo precisato, che le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi, ma con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b), (in termini, Cass., ord. n. 9043/2019).

Peraltro, nel caso in esame, l’esclusione del presupposto fondante l’invocata protezione è stato anche decisamente ravvisato nell’inattendibilità del narrato del dichiarante, alla luce dell’evidente contraddittorietà tra l’affermare l’esistenza di un pericolo grave alla persona che l’avrebbe costretto ad allontanarsi dalla Nigeria e l’essere ivi rimasto per un periodo apprezzabile (nei tre mesi immediatamente successivi).

3.2. Quanto al secondo rilievo, va escluso che il giudizio sulla valutazione della credibilità del ricorrente risulti di per sè inficiato dalla mancata valutazione della “situazione generale della Nigeria” (alto tasso di criminalità della zona di provenienza del ricorrente, frequenza di vendette private, corruzione nella polizia nigeriana), in quanto l’inattendibilità del narrato è stata fondata dal giudice del merito sul rilievo dell’inesistenza della vicenda posta a base della domanda di protezione, di guisa che gli elementi fattuali relativi al contesto di riferimento, peraltro genericamente indicato, non si rivelano affatto decisivi ai fini del corretto svolgimento di tale giudizio.

3.3. Quanto al terzo rilievo, la doglianza è del tutto generica, in quanto le situazioni di fatto attinenti alla persona del richiedente che il Tribunale avrebbe pretermesso ai fini del giudizio di credibilità sono soltanto genericamente affermate ma prive di qualunque specificazioni con riguardo alla persona del ricorrente. Parimenti è ad affermarsi in ordine alla violazione del dovere di cooperazione istruttoria, ove si contesta genericamente di aver escluso la domanda di protezione sussidiaria sulla scorta di informazioni sulla situazione del Paese e della regione di provenienza del ricorrente che non sarebbero aggiornate, omettendo di specificare e documentare quali decisive e più aggiornate informazioni avrebbero imposto la deroga al principio dispositivo.

3.4. Quanto al quarto rilievo, del tutto inammissibile per insussistenza del presupposto di fatto su cui si articola la doglianza, è la dedotta omessa/apparente motivazione ovvero violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, risultando nel decreto impugnato esposte, anche mediante una specifica ripartizione nella trattazione logica degli argomenti oggetto di giudizio, le ragioni di fatto e di diritto in forza delle quali il Tribunale ha rigettato il ricorso del richiedente avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

4. Con il secondo motivo il ricorrente deduce “la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, artt. 2 e 10 Cost., art. 8 Conv. E.D.U., art. 360 c.p.c., comma 1, per avere motivato in maniera generica e senza sufficiente istruttoria nell’esame della domanda di protezione umanitaria”.

La censura risulta manifestamente infondata. L’inesistenza di un quadro di controindicazioni al rimpatrio risulta, infatti, essere stato motivatamente affermato in difetto dell’esistenza di una situazione di vulnerabilità del richiedente (alla luce anche della situazione del Paese di origine di cui si è dato puntualmente conto a proposito delle altre forme di protezione richiesta), nonchè di qualsiasi elemento attestante l’avvenuta integrazione sociale in Italia, stante anche l’assenza di allegazione di fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. maggiore. Il provvedimento impugnato si sottrae quindi tanto al rilievo di mancanza di motivazione che a quello di violazione del potere di cooperazione istruttoria, stante l’assenza di lacune (nel senso del dovere di allegazione da parte del richiedente di fatti ulteriori e specifici, vedi Cass. n. 21123/2019).

5. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna alle spese del ricorrente, secondo il principio della soccombenza, in favore del controricorrente Ministero dell’Interno, liquidate come in dispositivo.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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