Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10637 del 04/06/2020

Cassazione civile sez. I, 04/06/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 04/06/2020), n.10637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5561/2019 proposto da:

D.S., elettivamente domiciliato in Roma presso la Corte di

cassazione, difeso dall’avvocato Mariani Stefania;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– resistente –

avverso la sentenza n. 1628/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 06/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/02/2020 da Dott. DI MARZIO MAURO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – D.S., cittadino della (OMISSIS), ricorre per tre mezzi, nei confronti del Ministero degli interni, contro la sentenza del 6 agosto 2018, con cui la Corte d’appello di Ancona ha respinto l’appello avverso ordinanza del locale Tribunale di rigetto, in conformità alla decisione della competente Commissione territoriale, della sua domanda di protezione internazionale o umanitaria.

2. – Non spiega difese l’amministrazione intimata, nessun rilievo potendosi riconoscere ad un “atto di costituzione”, depositato al fine della partecipazione all’udienza pubblica eventualmente fissata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): Violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 4 della Direttiva 2011/95/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 nonchè art. 10 Direttiva 2013/32/UE, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27 in merito allo speciale regime probatorio vigente nella materia di che trattasi e agli ampi poteri/doveri di collaborazione posti in capo all’organo Amministrativo prima, ed al Giudice nei due gradi di giudizio poi, nell’esame della domanda di protezione internazionale.

Il secondo motivo denuncia violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27 in relazione alla ritenuta insussistenza di esposizione a un danno grave in capo al ricorrente, nonostante questi fosse stato minacciato apertamente quanto alla propria incolumità personale e alla vita, in un contesto di violenza incontrollata da parte di privati cittadini e di corpi di polizia e/o militari e/o paramilitari.

Il terzo motivo denuncia violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): Violazione o falsa applicazione dell’art. 4 della Direttiva 2011/95/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 nonchè art. 10 Direttiva 2013/32/UE, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e 27 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e art. 2 Cost., in merito alla ritenuta insussistenza dei seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato per l’accoglimento dell’istanza di rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. – Il ricorso è inammissibile.

2.1. – E’ inammissibile il primo motivo.

Si tratta di una censura frutto di una evidente operazione di taglia-incolla effettuata a prescindere dalla motivazione della sentenza impugnata, giacchè la Corte d’appello ha confermato il rigetto della domanda di protezione internazionale non già perchè il richiedente non ne avesse provato i presupposti, e tanto meno perchè egli non fosse credibile, bensì perchè, esclusa la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento dell’asilo, quanto alle ipotesi di protezione sussidiaria contemplate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) la vicenda da lui narrata aveva carattere strettamente privato (avrebbe cagionato l’aborto di una donna nel corso di una colluttazione), che non lo esponeva alla pena di morte, poichè trattandosi di lesione volontaria aggravata dall’evento non voluto e, dunque, preterintenzionale, egli rischiava al più, la reclusione da uno a cinque anni e un’ammenda, escludendo inoltre la sussistenza in (OMISSIS) di una situazione di conflitto armato generalizzato.

Nel corpo del motivo inoltre si richiamano, in modo evidentemente non pertinente rispetto al nucleo della censura, fonti diverse da quelle utilizzate in sede di merito (fonti dalle quali peraltro neppure risulta una situazione di conflitto armato generalizzato): il che evidenzia ulteriormente l’inammissibile tentativo di ribaltare il giudizio di merito al riguardo svolto dalla Corte territoriale, tanto più che neppure risulta che dette fonti fossero state introdotte in fase di merito.

La stessa censura sostiene l’assunto secondo cui “i report ritenuti utili ai fini della decisione avrebbero dovuto essere evidenziati dalla Corte e sottoposti al contraddittorio delle parti”: affermazione, questa, priva di base normativa, avendo questa Corte già chiarito che, in tema di protezione internazionale, l’omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (“country of origin information”) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poichè in tal caso l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione (Cass. 11 novembre 2019, n. 29056).

2.2. – E’ inammissibile il secondo motivo.

Anche in questo caso la censura si disinteressa della motivazione svolta dalla Corte d’appello.

Il ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto “accertare se le autorità ivoriane fossero effettivamente in grado di (o realmente volessero) offrire adeguata protezione al ricorrente in relazione a tali minacce”.

Il che è ciò che la Corte d’appello ha fatto, sulla base di un giudizio di merito non sindacabile in questa sede, giacchè effettuato nel rispetto del dovere di individuazione e citazione delle pertinenti fonti, osservando che la (OMISSIS) è oggi una Repubblica democratica governata dal governo liberamente eletto che cerca di ristabilire il ruolo della legge, essendo la situazione di sicurezza stabile, sebbene fragile.

Per tale via, quanto all’ipotesi contemplata dalla lettera c), la Corte territoriale ha aggiunto che in (OMISSIS) non sussiste una situazione di conflitto armato generalizzato.

2.3. – Il terzo motivo è inammissibile.

Si tratta della stereotipata riproposizione, da pagina 15 a pagina 22, di considerazioni di ordine generale sulla protezione umanitaria, senza che neppure una riga sia dedicata alla specifica condizione individuale di vulnerabilità di D.S., quantunque questa Corte abbia già affermato che la natura residuale ed atipica della protezione umanitaria se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. maggiore (Cass. 7 agosto 2019, n. 21123).

Si fa ad un certo punto soltanto riferimento alla “integrazione lavorativa in Italia del richiedente”, ma non una parola è detta sulle concrete ragioni, non si sa dove dedotte in giudizio, che militerebbero nel senso di detta integrazione: ancora una volta nel disinteresse di quanto osservato in sentenza, laddove è invece detto che il richiedente risulta titolare di un modesto impegno lavorativo destinato ad esaurirsi nell’arco di una mensilità, non essendo così dimostrato alcun effettivo e radicato inserimento nella realtà socioeconomica locale.

3. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2020

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