Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10636 del 23/05/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 10636 Anno 2016
Presidente: VALITUTTI ANTONIO
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 11976-2011 proposto da:

PALUMBO BRIZIA (CF. PLMBRZ55D52F101C), ROSA GIOVANNI
(C.E. RSOGNN54B21F101W), domiciliati in ROMA, PIAZZA
CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato
RICCARDO MARZO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –

2016
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contro

BANCO DI NAPOLI S.P.A., già SANPAOLO BANO DI NAPOLI
S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, Via

Data pubblicazione: 23/05/2016

QUATTRO FONTANE 15, presso l’avvocato MAURIZIO DE
LORENZI, rappresentato e difeso dall’avvocato SILVIO
VALENTE, giusta procura in calce al controricorso;
controricorrente-

avverso la sentenza n. 40/2011 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 31/03/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO
PIETRO LAMORGESE;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato MARCO
ANNECCHINO, con delega, che ha chiesto il rigetto del
ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

di LECCE, depositata il 18/01/2011;

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Svolgimento del processo
1.- Il Tribunale di Napoli, con sentenza 18 maggio 2004, ha
accolto le domande proposte da Rosa Giovanni e Palumbo
Brizia nei confronti del Banco di Napoli (d’ora in avanti,

credito derivante da un’operazione relativa a due assegni
circolari del Monte dei Paschi di Siena, girati per
l’incasso, su richiesta di Rambaldi Gennaro, sul conto del
Rosa presso la predetta Banca, di cui era dipendente, e
incassati dallo stesso Rosa, il quale aveva poi consegnato
il denaro al Rambaldi; ne era seguita la richiesta di
rientro della Banca, la quale aveva addebitato al
correntista l’importo di E 30.057,79, essendosi gli assegni
rivelati di provenienza illecita. Gli attori avevano
dedotto, tra l’altro, la responsabilità del Banco di
Napoli, prospettata anche a norma dell’art. 2049 c.c., per
non avere

immediatamente informato il Rosa della

provenienza illecita degli assegni, e chiesto di dichiarare
nulla la fideiussione prestata dalla Palumbo.
2.- La Corte d’appello di Napoli, con sentenza 18 gennaio
2011, ha accolto il gravame della Banca e ha rigettato le
domande del Rosa e della Palumbo. La Corte ha escluso che
si fosse formato il giudicato interno, eccepito sotto il
profilo della mancata impugnazione del capo della sentenza
del Tribunale che aveva ritenuto la Banca responsabile per
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la Banca), che aveva agito in via monitoria a tutela del

l’incasso degli assegni, avendo la stessa Banca, in
appello, contestato, in radice, l’esistenza di proprie
responsabilità nella vicenda; nel merito, ha premesso che
l’accreditamento, sul conto del cliente, dell’importo di un

intendersi sempre effettuato “salvo incasso”,
ricollegandosi la relativa clausola ad un mandato conferito
alla Banca per la realizzazione del credito portato dal
titolo, con l’effetto che il rimettente ne acquista la
disponibilità solo dopo che il titolo sia stato
effettivamente pagato, non rilevando la richiesta del
“benefondi”; correttamente, pertanto, la Banca aveva
addebitato la somma sul conto del correntista, poiché non
v’era stato alcun accordo derogatorio della clausola “salvo
incasso” ed era emerso dall’attività istruttoria che la
Banca non aveva dato il consenso ad eseguire prelievi sul
conto, né aveva indotto nel Rosa un affidamento in ordine
all’effettivo accreditamento del titolo; ha poi ritenuto
valida la fideiussione rilasciata dalla Palumbo.
3.- Rosa e Palumbo hanno proposto ricorso per cassazione
avverso questa sentenza, sulla base di sei motivi, cui si è
opposta la Banca con controricorso.
Motivi della decisione
1.- I ricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità del
controricorso, perché erroneamente notificato presso la
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assegno trasferito alla Banca per l’incasso, debba

Cancelleria di questa Corte, sebbene nel ricorso fosse
indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata,
presso il quale l’atto avrebbe dovuto essere notificato a
mezzo p.e.c., a norma dell’art. 25 della legge 12 novembre

giudiziario presso la Corte d’appello di Lecce, che sarebbe
incompetente ad effettuare la notifica a mezzo posta presso
la Corte di Cassazione in Roma.
L’eccezione è infondata in entrambi i profili.
1.1.- Il primo, perché la notifica del controricorso è
avvenuta in data (3 giugno 2011) precedente all’entrata in
vigore, in data 1 gennaio 2012, della predetta normativa
(art. 36 delle legge n. 183 del 2011).
1.2.- Con il secondo profilo è dedotta la violazione
dell’art. 117, coma 2, del dPR 15 dicembre 1959, n. 1229,
secondo cui gli ufficiali giudiziari possono eseguire, a
mezzo del servizio postale, senza limitazioni territoriali,
soltanto la notificazione degli atti relativi ad affari di
competenza delle autorità giudiziarie della sede alla quale
sono addetti. Si tratta, tuttavia, di una disposizione la
cui violazione non è sanzionabile con la inammissibilità
dell’atto notificato, non solo perché la norma non la
prevede specificamente, ma anche perché il controricorso ha
raggiunto lo scopo cui è destinato (art. 156, coma 3,
c.p.c.), di portare le difese della Banca a conoscenza del
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2011, n. 183, e perché notificato dall’ufficiale

ricorrente. Inoltre, non costituisce causa di nullità il
compimento della notifica da parte dell’ufficiale
giudiziario territoriale, anziché da parte di quello di
Roma, atteso che, ai sensi dell’art. l della legge 20

controricorso dinanzi alla Corte di Cassazione può essere
effettuata anche dall’ufficiale giudiziario del luogo ove
ha sede il giudice che ha pronunciato il provvedimento
impugnato, a mezzo del servizio postale (v. Cass.
n.23172/2014).
2.- Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la
violazione di numerose disposizioni processuali (artt. 112,
324, 342 c.p.c.) e sostanziali (artt. 2697, 2909 c.c.) e
del principio del giusto processo (art. 111 Cost.), nonché
la insufficienza e contraddittorietà della motivazione: la
Banca appellante non avrebbe censurato adeguatamente la
sentenza di primo grado, sulla quale sarebbe calato il
giudicato, nella parte concernente l’affermazione della
propria responsabilità, in relazione all’operato dei propri
dipendenti, i quali non avevano assunto precise
informazioni sulla provenienza degli assegni; inoltre, la
Corte di merito non avrebbe pronunciato sull’eccezione di
giudicato, né esaminato alcune circostanze rilevanti,
costituenti punti decisivi della controversia, che
dimostrerebbero la responsabilità della Banca circa la
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gennaio 1992, n. 55, la notificazione del ricorso e del

mancata utilizzazione degli strumenti informativi, messi a
disposizione dalla Centrale rischi o da altre fonti
attendibili, per verificare la provenienza illecita degli
assegni e circa il fatto di avere comunque consentito al

somme.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 112
c.p.c., 2043 e 2049 c.c., 111 Cost. e la omessa e
contraddittoria motivazione su diversi fatti decisivi. Si
imputa alla Corte di merito di avere sovvertito il
giudicato formatosi sulla responsabilità della Banca, di
avere di omesso di assumere le dovute informazioni sulla
provenienza illecita degli assegni e di informare
tempestivamente il Rosa. In particolare, quest’ultimo non
aveva interesse ad effettuare il prelievo della somma prima
di avere la certezza del buon esito dell’operazione, cioè
dell’incasso dell’assegno e del definitivo accredito sul
suo conto corrente; in base alla prassi bancaria, riferita
da un teste (Accoto), nessun prelievo avrebbe potuto essere
effettuato prima dell’effettivo incasso dell’assegno e,
tuttavia, il funzionario della Banca aveva informato il
Rosa della regolarità dell’assegno e autorizzato il
prelevamento della somma (poi versata al Rambaldi). Tali
fatti, ad avviso dei ricorrenti, dimostrerebbero
l’erroneità del percorso argomentativo dei giudici di
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correntista, seppure dopo qualche giorno, di disporre delle

appello, i quali erroneamente avevano escluso che
dipendenti della Banca avessero creato nel Rosa un
ragionevole affidamento che la stessa Banca, mettendo a
disposizione l’importo dell’assegno prima dell’effettiva

mancato incasso. Sarebbe, quindi, irrilevante
l’incontestata inesistenza di un accordo derogatorio alla
clausola “salvo incasso”, anche perché il Rosa aveva
manifestato la volontà di effettuare il prelievo solo dopo
che avesse avuto l’assoluta certezza del buon esito
dell’operazione.
Il terzo motivo denuncia la violazione di numerose
disposizioni (artt. 112 c.p.c., 1241, 1710, 1175, 1375,
2043, 2049 c.c., 1 e 26 del r.d. n. 1736 del 1933, 111
Cost.) e vizio di omessa motivazione, per avere
erroneamente escluso la responsabilità della Banca, a
titolo contrattuale ed extracontrattuale, per avere
assicurato al proprio cliente la copertura dell’assegno,
poi risultato rubato.
2.1.- I suddetti motivi, da esaminare congiuntamente, sono
infondati nella parte in cui denunciano la violazione del
giudicato interno, dal momento che la questione della
responsabilità della Banca apparteneva senz’altro al

thema

decidendum del giudizio di appello. La sentenza impugnata
ha adeguatamente argomentato che la Banca, nell’atto di
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riscossione, avesse accettato il rischio di un possibile

appello, aveva contestato, in radice, l’esistenza di
proprie responsabilità nella vicenda (ravvisate, invece,
dal primo giudice), evidenziando la correttezza del suo
comportamento, che sarebbe dimostrato, a suo avviso, dal

volte alla banca trattaria per avere notizie circa la
regolarità degli assegni.
2.2.- I motivi sono fondati nel resto.
La sentenza impugnata, al fine di escludere la dedotta
responsabilità della Banca, ha richiamato la giurisprudenza
di questa Corte (v., tra le altre, la sentenza n. 18118 del
2003) la quale ha ritenuto che la clausola “salvo incasso”
(ex art. 1829, richiamato dal 1857 c.c.), inerente al
versamento di un titolo di credito (tratto da un altro
istituto di credito) da parte del cliente sul conto
corrente bancario, produca un effetto sospensivo (e non
risolutivo) del trasferimento della proprietà del titolo,
in attesa che il mandato sia compiutamente adempiuto dalla
banca con l’effettiva riscossione della somma, sicché il
cliente acquista la disponibilità della somma solo dopo che
il titolo sia stato effettivamente pagato. La sentenza
impugnata ne ha tratto la conclusione che, non essendovi
stata una deroga pattizia alla clausola “salvo incasso”, la
Banca fosse nella condizione legale di versare il denaro a
rischio e pericolo del correntista.
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fatto che un proprio funzionario aveva telefonato per due

Tuttavia, il principio secondo cui l’accreditamento sul
conto corrente del cliente dell’importo di un assegno,
tratto su un altro istituto di credito, deve intendersi
effettuato “salvo incasso”, implica soltanto che la banca,

a disposizione del cliente la relativa somma portata dal
titolo (v. Cass. n. 1946 del 1999), ma non significa che,
qualora lo faccia, seppure su richiesta del cliente, sia
automaticamente esente da responsabilità, anche nel caso in
cui non abbia accertato preventivamente il buon fine di
quel titolo e non abbia informato il cliente.
Tra le obbligazioni gravanti su un operatore professionale,
qual è la banca, vi è, infatti, anche quella di proteggere
la sfera patrimoniale del correntista, evitando di esporlo
a richieste successive e pregiudizievoli di rientro, non
solo in virtù degli obblighi di buona fede e correttezza
nei confronti del contraente (artt. 1175 e 1375 c.c.) e di
controllo dell’operato dei propri dipendenti (ai fini
dell’art. 2049 c.c.), ma anche in base al principio secondo
cui la deroga alla clausola “salvo incasso” è desumibile da
ogni circostanza di fatto che può consistere anche in un
inequivoco comportamento della stessa banca (v. Cass. n.
18118 del 2003 cit.).
Spetta al giudice di merito ricostruire adeguatamente il
quadro fattuale, dando conto delle circostanze indicative
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prima dell’effettiva riscossione, non è obbligata a mettere

della esistenza o inesistenza, in concreto, di un legittimo
affidamento del cliente in ordine alla disponibilità dei
fondi.
La risposta negativa data, al riguardo, dalla Corte leccese

comunicazione formale al Rosa della certezza della
regolarità e capienza dell’assegno, nonché sulla
circostanza, considerata di per sé indicativa di diligenza,
che la Banca aveva contattato telefonicamente il Monte dei
Paschi, ottenendo una risposta solo parzialmente positiva
(circa il fatto che si trattasse di assegni da esso
emessi).
Questa ratio è stata congruamente censurata dai ricorrenti,
sotto il profilo del vizio di motivazione su punti decisivi
della controversia, non esaminati o sottovalutati, che
avrebbero altrimenti, con elevata probabilità, condotto ad
una diversa soluzione giuridica della controversia (v.
Cass. n. 24092/2013 e 14973/2006, con riguardo all’art. 360
n. 5 c.p.c., nel regime precedente alla modifica introdotta
dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge
7 agosto 2012, n. 134).
Infatti, la Corte ha ritenuto irrilevante la circostanza,
invece importante, che egli avesse informato la Banca del
suo interesse a ricevere garanzie circa il buon fine degli
assegni e, soprattutto, non ha esaminato la circostanza,
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si basa, in sostanza, esclusivamente sulla mancanza di una

risultante dalla sentenza di primo grado, secondo cui erano
. stati trasmessi a tutte le banche, tramite la Centrale
rischi, gli estremi dell’accertamento della provenienza
furtiva degli assegni e del loro fermo, dei quali il Rosa

In definitiva, la Corte ha ritenuto sufficiente che la
Banca non avesse dato al Rosa assicurazioni circa il buon
fine degli assegni, mentre, al contrario, per poter
autorizzare il prelievo, avrebbe dovuto, prima, comunicare
formalmente al Rosa l’esito degli accertamenti compiuti,
dando conto della situazione al momento della richiesta, in
modo esatto e veritiero (anche specificando che i fondi non
.

erano immediatamente disponibili e che non v’era certezza
che lo sarebbero stati successivamente). Solo in presenza
di una simile comunicazione formale, che non risulta
esservi stata, sarebbe stato possibile escludere il
ragionevole affidamento del cliente, il quale, nella
specie, si era visto autorizzare il prelievo del denaro da
parte di un soggetto professionale, come la Banca, sul
quale faceva legittimo affidamento, essendo garante
dell’adempimento dell’obbligo di verificare il buon fine
della sottostante operazione (tale obbligo, secondo Cass.,
sez. un., n. 14712 del 2007, è preesistente, specifico e
operante nei confronti di tutti i soggetti interessati).

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non era stato informato.

La Corte di merito ha aggiunto che non sarebbe rilevante il
cosiddetto “benefondi”, che corrisponde all’uso
interbancario di chiedere e dare conferma, anche per le vie
brevi, dell’esistenza di idonea provvista per il pagamento

istituti di credito, idonea ad essere fonte di
responsabilità civile nei rapporti tra gli istituti di
credito, ma non a fondare l’esistenza di un obbligo di
accreditamento immediato in presenza di una clausola “salvo
incasso”. E’ un rilievo non decisivo, non risultando che il
“benefondi” vi sia stato e, comunque, inidoneo ad
escludere, in astratto, ogni responsabilità della Banca
girataria nei confronti del correntista, nel caso di
erronee informazioni eventualmente date dalla banca
trattaria. La giurisprudenza ha ritenuto configurabile la
responsabilità di quest’ultima (per avere dato informazioni
non corrispondenti alla situazione reale dell’assegno) nei
confronti della banca richiedente per i danni che possano
derivare a quest’ultima, in conseguenza del pagamento o
dell’accreditamento al presentatore dell’assegno sulla base
del non veritiero presupposto della sua copertura (v. Cass.
n. 10492 del 2001, n. 820 del 1979) e, quindi, anche in
conseguenza della sua esposizione nei confronti del
correntista sub specie damni.

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dell’assegno, trattandosi di una prassi interna agli

3.- Gli altri motivi di ricorso sono assorbiti: il quarto,
in ordine al rapporto di garanzia nei confronti della
Palumbo; il quinto, in ordine alla quantificazione del
quantum eventualmente dovuto dai ricorrenti; il sesto, in
ordine alla dedotta responsabilità aggravata della Banca, a
norma dell’art. 96 c.p.c.
4.- In conclusione, in relazione ai motivi accolti, la
sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte
d’appello, in diversa composizione, anche per le spese del
giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso e dichiara
assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata, in
relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’appello
di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del
giudizio di cassazione.
Roma, 31 marzo 2016.

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