Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10636 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/05/2011, (ud. 25/01/2011, dep. 13/05/2011), n.10636

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma in via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ ISTITUTO MERCURIO di FAZIO LEOPARDO & C. sas;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 169/52/06, depositata il 29 dicembre 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25 gennaio 2011 dal Relatore Cons. Antonio Greco.

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenute che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“La sas Istituto Mercurio di Fazio Leopardo & C. impugnò l’avviso di accertamento del reddito ai fini dell’ILOR per l’anno 1996, effettuato sulla base dei parametri di cui alla L. 28 dicembre 1995, n. 549, eccependo l’illegittimità del D.P.C.M. 29 gennaio 1996, per essere stato omesso il prescritto parere del Consiglio di Stato.

Il ricorso era accolto in primo grado.

La Commissione tributaria regionale della Campania, rigettando l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Napoli (OMISSIS), con la sentenza n. 169/52/06, depositata il 29 dicembre 2006, ha confermato la decisione in ordine alla mancanza del parere del Consiglio di Stato, ritenendo altresì che correttamente erano stati disapplicati i parametri, considerato che questi sono semplici indizi che, solo se accompagnati ad altri elementi, possono generare quelle presunzioni aventi carattere di gravita precisione e concordanza, “presupposti questi che l’Ufficio, nella specie, non aveva assolutamente superato”.

Avverso la sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione.

La società contribuente non ha svolto attività nella presente sede.

Il ricorso contiene due motivi, che rispondono ai requisiti prescritti dall’art. 366-bis cod. proc. civ..

Con il primo motivo l’amministrazione ricorrente censura la decisione per avere ritenuto illegittimi i D.P.C.M. 27 gennaio 1996 e 27 marzo 1997 in quanto adottati senza previo parere del Consiglio di Stato;

con il secondo motivo, denunciando la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181 e segg., e del D.P.C.M. 27 gennaio 1996, assume la legittimità dell’avviso di accertamento che fondi la rettifica del reddito imponibile facendo esclusivo riferimento alla discrasia emersa tra i dati contenuti nella dichiarazione e quanto risultante dal confronto con gli indici contenuti nei cd. redditometri.

Questa Corte ha chiarito che “il D.P.C.M. 29 gennaio 1996 (sulla “Elaborazione dei parametri per la determinazione di ricavi, compensi e volume d’affari sulla base delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio sull’attività svolta”, determinati ai sensi della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 181) non viola la L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17 per essere stato emanato senza il parere preventivo del Consiglio di Stato, in quanto non è un atto di natura regolamentare – nè attuativo di legge, ai sensi del comma 1, nè delegificante, ai sensi del comma 2, non essendo espressione di una potestà normativa, secondaria rispetto a quella legislativa, attribuita all’amministrazione, e non disciplina in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma è solo un provvedimento amministrativo a carattere generale, in quanto espressione di una semplice potestà amministrativa, essendo rivolto alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nei provvedimento, ma determinabili” (Cass. n. 16055 del 2010, n. 27656 del 2008).

In ordine al secondo motivo, questa Corte ha affermato che “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello standard, nè costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata”. Tale procedura, di accertamento costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente – contraddittorio che risulta attivato nel caso in esame – pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza dì condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Cass., sezioni unite, 15 dicembre 2009, n. 26635).

In conclusione, si ritiene che, ai sensi degli artt. 375 e 380-bis cod. proc. civ., il ricorso possa essere deciso in Camera di consiglio in quanto manifestamente fondato”;

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie;

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto sopra enunciati, il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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