Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10633 del 02/05/2017

Cassazione civile, sez. lav., 02/05/2017, (ud. 24/01/2017, dep.02/05/2017),  n. 10633

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17806-2016 proposto da:

P.O. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO COSTANTINI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI LECCE, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GIUSEPPE DONATI 115 (C/O ROSCI), presso lo studio dell’avvocato

MARIA ANTONIETTA CAPONE, rappresentata e difesa dagli avvocati MARIA

GIOVANNA CAPOCCIA, FRANCESCA TESTI, giusta delega in atti, (memoria

di costituzione del 27/09/2016);

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 979/2016 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 20/01/2016 r.g.n. 15340/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2017 dal Consigliere Dott. DI PAOLANTONIO ANNALISA;

udito l’Avvocato ANTONIO COSTANTINI;

udito l’Avvocato MARIA GIOVANNA CAPOCCIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. P.O., risultato nell’anno 1999 idoneo ma non vincitore all’esito del concorso indetto dalla Provincia di Lecce per l’assunzione di dirigenti, adì l’autorità giudiziaria ordinaria con un primo ricorso, risalente all’anno 2002, chiedendo che venisse accertato il suo diritto a essere assunto quale dirigente, in fOrza dello scorrimento della graduatoria, ancora valida ed efficace, essendosi nel frattempo rese disponibili altre posizioni dirigenziali.

2. Il Tribunale e la Corte di Appello di Lecce respinsero la domanda e questa Corte, con la sentenza 6/3/2009 n. 5588 confermò, con diversa motivazione, la pronuncia di rigetto, evidenziando, da un lato, che si era formato giudicato implicito sulla giurisdizione del giudice ordinario; dall’altro che la posizione giuridica soggettiva del P. andava qualificata di interesse legittimo, con la conseguenza che non potevano essere disapplicati dal giudice ordinario gli atti, all’epoca non impugnati in sede amministrativa, con i quali la Provincia aveva fatto ricorso a forme diverse di reclutamento, manifestando la volontà di non volersi avvalere dello scorrimento.

3. Il P. propose, allora, il 13.8.2009 un nuovo ricorso, sempre per ottenere l’accertamento del diritto ad essere assunto quale dirigente nonchè la condanna della Provincia di Lecce al risarcimento dei danni subiti, e in quella sede domandò la declaratoria di nullità della delibera dirigenziale n. 1737 del 2003 di indizione di un nuovo concorso, perchè la stessa non era stata preceduta dalla necessaria procedura di mobilità del D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 34 bis. Le nomine effettuate con la Delibera n. 299 dell’11 maggio 2004 erano anch’esse nulle e conseguentemente andava dichiarato il suo diritto all’assunzione, attesa la perdurante validità della precedente graduatoria.

4. In corso di causa il ricorrente domandò, con due ricorsi ex art. 700 c.p.c., la tutela cautelare del suo diritto e nel primo dei due ricorsi dedusse anche che la amministrazione con delibera n. 105 del 27/4/2009 aveva bandito un nuovo concorso per due posti di dirigente dell’area amministrativa, concorso poi non espletato perchè la stessa Provincia aveva ritenuto di ricorrere a un avviso pubblico (n. 82040 del 23 ottobre 2009) per reperire una professionalità esterna alla quale affidare l’incarico, mediante contratto a termine, di responsabile dei servizi finanziari.

5. Entrambi i ricorsi cautelari, previa riunione, vennero respinti dal Tribunale, in quanto le domande proposte andavano a sindacare il potere discrezionale della amministrazione e, quindi, esulavano dalla cognizione del giudice ordinario. Poichè detta ordinanza venne confermata dal Collegio in sede di reclamo, proposto ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c., il P. depositò regolamento preventivo di giurisdizione, ex art. 41 c.p.c., deciso da questa Corte con la ordinanza n. 21065 del 13 ottobre 2011, che dichiarò inammissibile il ricorso in quanto sulla giurisdizione del giudice ordinario si era formato giudicato implicito nel precedente giudizio.

6. Nell’anno 2009, inoltre, il ricorrente impugnò dinanzi al TAR Lecce la determinazione dirigenziale n. 1737 del 24 marzo 2003, con la quale la Provincia di Lecce aveva bandito la procedura concorsuale per l’assunzione di tre dirigenti amministrativi e la delibera di Giunta Provinciale n. 299 dell’11 maggio 2004, con la quale l’ente territoriale aveva disposto di assumere i vincitori del concorso, e chiese anche in quella sede la condanna dell’amministrazione provinciale al risarcimento del danno derivato dalla mancata assunzione. In quel giudizio, a seguito di presentazione di motivi aggiunti, contestò, poi, la legittimità della deliberazione di Giunta provinciale n. 272 del 19 ottobre 2009, dell’avviso pubblico n. 82040 del 23 ottobre 2009, del Decreto del Presidente della Provincia di Lecce n. 1 del 5 gennaio 2010, con il quale era stato conferito l’incarico di responsabile del “Servizio finanziario – provveditorato e economato”, della deliberazione di Giunta provinciale n. 31 dell’11 febbraio 2010. Il ricorso venne dichiarato inammissibile, nella parte in cui riproponeva le domande già avanzate dinanzi al giudice ordinario, e il Tribunale Amministrativo evidenziò che la preclusione derivante dal giudicato non poteva essere superata a seguito della prospettazione di un vizio, ossia la violazione del D.Lgs n. 165 del 2001, art. 34 bis, non denunciato nel precedente giudizio. Vennero, invece, respinte nel merito le domande formulate con i motivi aggiunti. Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4736 del 6 settembre 2012, rigettò l’appello, evidenziando che la presunta nullità dell’atto per violazione dell’art. 34 bis era deducibile già nel contesto del precedente contenzioso.

7. Il giudizio instaurato nell’anno 2009 dinanzi al Tribunale di Lecce venne definito con la sentenza n. 2711 del 2012, che accolse l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Provincia di Lecce per violazione del principio del ne bis in idem.

La sentenza fu confermata dalla Corte di Appello, la quale ritenne formato il giudicato sulla inesistenza del diritto allo scorrimento della graduatoria del 1999, perchè la Corte di Cassazione aveva affermato, con la sentenza n. 5588/2009, che l’ente, mediante l’adozione del bando pubblicato il 15/3/2003, aveva manifestato la volontà di non volersi avvalere della precedente graduatoria per coprire posti vacanti. Il giudice di appello escluse anche di poter valutare la denunciata violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 34 bis, perchè detto profilo di legittimità della determinazione n. 1737/2003 era stato dedotto nel giudizio amministrativo e ritenuto inammissibile dal TAR, con sentenza ormai passata in giudicato a seguito della sentenza del Consiglio di Stato che aveva rigettato l’appello del P..

La Corte di Appello osservò, inoltre, che non poteva essere accolta neppure la domanda, proposta in corso di causa con un ulteriore ricorso ex art. 700 c.p.c., del 20.1.2012, con la quale il diritto allo scorrimento della graduatoria era stato fatto valere in relazione all’avviso pubblico per la mobilità esterna del 30 dicembre 2011, perchè, a prescindere dalla questione della perdita di efficacia della graduatoria del 1999, la procedura di mobilità prevale anche sullo scorrimento della graduatoria. Aggiunse che alle stesse conclusioni era pervenuto il TAR Lecce con la sentenza n. 1412 del 2012; che l’appello proposto dal P. era stato dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse dal Consiglio di Stato con sentenza n. 4782 del 25 giugno 2013; che risultava ancora pendente il giudizio di revocazione. Detto giudizio si è poi concluso con la sentenza n. 274 del 22 gennaio 2015, che ha dichiarato inammissibile il ricorso.

8. Il ricorso per cassazione proposto dal P. avverso la pronuncia della Corte di Appello di Lecce citata al punto 7, è stato respinto da questa Corte che, con sentenza n. 979 del 2016 ha ritenuto non fondati i cinque motivi formulati dal ricorrente. La Corte, richiamata la motivazione della sentenza n. 5588 del 2009, ha in sintesi osservato che:

a) il diritto soggettivo allo scorrimento della graduatoria era stato escluso dal precedente giudicato, per cui cadevano tutte le censure che ” a pioggia” erano state mosse agli atti adottati nel tempo dalla Provincia per coprire un posto rispetto al quale il P. non vantava alcun diritto;

b) la decisione assunta dalla amministrazione provinciale nell’anno 2003 era già stata valutata dalla Corte, che aveva escluso che l’atto potesse essere affetto da nullità derivata da carenza di attribuzione, sicchè, evidentemente, la questione era entrata a far parte del thema decidendum, sebbene il ricorso originario fosse stato proposto nell’anno 2002, e non poteva essere più ridiscussa;

c) si era inoltre formato il giudicato anche in sede amministrativa, perchè il TAR aveva ritenuto inammissibile il ricorso con il quale era stata denunciata la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 34 bis, e il Consiglio di Stato nel 2012 aveva rigettato l’appello del ricorrente;

d) la questione della illegittimità dello scorrimento della graduatoria del concorso bandito nel 2003, anzichè di quello espletato nel 1999, non poteva essere esaminata in quanto il P. non aveva dedotto e comprovato di averla prospettata nel giudizio di merito;

e) una volta escluso il diritto soggettivo allo scorrimento, non potevano essere invocati i principi di correttezza e buona fede, nè il ricorrente aveva interesse a dolersi della legittimità dei contratti a termine stipulati con il Dott. I.;

f) la Corte territoriale solo ad abundantiam aveva osservato che l’istituto della mobilità prevale sullo scorrimento e che, in ogni caso, il TAR aveva accertato che la precedente graduatoria non era più efficace e che difettava l’interesse ad agire del P., il quale non aveva impugnato la graduatoria finale della procedura di mobilità;

g) anche sulla carenza di interesse si era formato giudicato, avendo il Consiglio di Stato nell’anno 2013 dichiarato inammissibile l’appello del ricorrente;

h) l’eventuale motivo di astensione del giudice doveva essere fatto valere dalla parte in via di ricusazione e non poteva essere invocato in sede di gravame.

Ha, quindi, condannato il P. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.

9. Di questa sentenza P.O. chiede la revocazione sulla base di cinque motivi. La Provincia di Lecce ha notificato e depositato memoria di costituzione, con allegata procura in calce, chiedendo il rigetto del ricorso e dichiarando di volere partecipare all’udienza di discussione.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente domanda la revocazione della sentenza in punto di spese giudiziali. Rileva che nella memoria ex art. 378 c.p.c., era stata eccepita la inammissibilità del controricorso, perchè la procura risultava rilasciata dal Presidente della Provincia di Lecce e non menzionava la autorizzazione a resistere in giudizio che doveva essere deliberata, ai sensi dell’art. 5 del Regolamento, dalla Giunta Provinciale. L’errore revocatorio è consistito nella omessa lettura degli atti, che ha portato ad ignorare del tutto la eccezione di inammissibilità del ricorso. Detta eccezione viene, quindi, ribadita dal ricorrente che, in sede rescissoria, dalla stessa fa derivare la impossibilità di condannare il P. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

2. Nella premessa al secondo motivo il P. evidenzia che il rigetto della domanda è stato fondato sull’intrecciarsi di due giudicati, per cui, a suo dire, la insussistenza di uno solo di essi avrebbe consentito di accogliere il ricorso. Evidenzia, quindi, che erroneamente sono state ritenute coperte da giudicato le statuizioni contenute nella sentenza n. 4736 emessa il 6 settembre 2012 dal Consiglio di Stato. Premesso che chi eccepisce il giudicato esterno ha l’onere di depositare la sentenza corredata da idonea certificazione dalla quale risulti che la pronuncia non è soggetta ad impugnazione, il ricorrente rileva che l’errore revocatorio si è verificato in quanto la Corte ha supposto il passaggio in giudicato, non avvedendosi della mancanza, in calce alla copia prodotta, della attestazione prescritta dall’art. 124 disp. att. c.p.c..

2.1. Rileva, poi, il P. che la questione relativa alla legittimità della delibera n. 299 del 2004, con la quale la Provincia di Lecce aveva deliberato, per coprire una nuova vacanza, la utilizzazione della graduatoria formata all’esito del concorso appena concluso (ossia quello indetto con la determina n. 1737/2003) anzichè di quella risalente all’anno 1999, non preclusa da giudicato per le ragioni anzidette, non poteva essere ritenuta domanda nuova in quanto il ricorrente aveva formulato la domanda di risarcimento del danno proprio a far tempo dal 1 luglio 2004, ossia dalla data di assunzione dei vincitori del concorso e dell’idoneo Calamia. Richiama giurisprudenza di questa Corte per evidenziare che corrisponde agli obiettivi della P.A. la utilizzazione prioritaria delle graduatorie di data anteriore.

3. Il terzo motivo denuncia nuovamente l’errore revocatorio consistito nella errata supposizione del giudicato amministrativo, che avrebbe poi condizionato l’omesso esame della domanda fondata sulla illegittimità della Delib. n. 299 del 2004, domanda che non poteva essere ritenuta questione nuova in quanto trattata nella sentenza del Consiglio di Stato ed anche nella motivazione della decisione oggetto di revocazione.

4. Con il quarto motivo si addebita alla sentenza di avere ignorato il contenuto della ordinanza di questa Corte n. 21065/2011, con la quale le Sezioni Unite si sono espresse non solo in relazione al giudicato implicito sulla giurisdizione, ma anche sulla “unitarietà dei due procedimenti”. Il ricorrente sostiene che, in presenza di un unitario processo, nessuna statuizione del primo giudizio poteva considerarsi definitiva, ciò perchè il secondo giudizio costituiva la naturale prosecuzione del primo, in esito al quale la Corte non aveva potuto disporre la translatio iudicii poichè all’epoca non era ancora entrato in vigore la L. n. 69 del 2009, art. 59.

Aggiunge che, una volta ricostruito in detti termini il rapporto fra i due giudizi, doveva essere disapplicata la determina dirigenziale n. 1737/2003, emessa in carenza di potere, perchè non preceduta dalla procedura di mobilità prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 34 bis.

5. Il quinto motivo denuncia l’errore revocatorio consistito nell’avere supposto che la domanda con la quale il diritto alla assunzione era stato fatto valere in relazione all’avviso pubblico per la mobilità esterna n. 105292 del 30/12/2011 fosse stata respinta dalla corte territoriale con la motivazione indicata a pag. 11, ossia perchè coperta dal giudicato formatosi a seguito della pronuncia di questa Corte n. 5588 del 2009. In realtà la terza istanza cautelare era stata ritenuta infondata per le ragioni indicate a pag. 12 della sentenza.

Inoltre un ulteriore errore revocatorio viene ravvisato nell’avere supposto un insussistente giudicato esterno formatosi a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 4782 del 2013, ancora sub judice al momento della proposizione del ricorso, perchè impugnata per revocazione.

Quanto ai profili rescissori si evidenzia che la Corte di Appello per mero errore materiale aveva fatto riferimento alla cessazione dell’efficacia della graduatoria alla data del 31/12/2009, anzichè al 31/12/2011, e, comunque, non aveva statuito sul punto, come evidenziato dalla stessa Corte territoriale con la ordinanza del 23 maggio 2014 che aveva respinto la domanda di revocazione della sentenza n. 561/2014. Nulla, quindi, impediva e impedisce di disapplicare l’avviso pubblico del 2011, emesso in carenza di potere, perchè non preceduto dalla necessaria procedura di mobilità.

6. E’ opportuno premettere all’esame di tutte le censure che l’errore rilevante ex art. 395 c.p.c., n. 4, consiste nella erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione della esistenza o della inesistenza di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa, a condizione che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito. Muovendo da detta premessa questa Corte ha evidenziato che: l’errore non può riguardare la attività interpretativa e valutativa; deve avere i caratteri della assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo nel senso che tra la percezione erronea e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata sicuramente diversa; deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte, poichè l’errore che inficia il contenuto della decisione impugnata in cassazione deve essere fatto valere con le impugnazioni esperibili avverso la sentenza di merito (Cass. 5.7.2004, n. 12283; Cass. 20.2.2006, n. 3652; Cass. 9.5.2007 n. 10637; Cass. 26.2.2008, n. 5075; Cass. 29.10.2010, n. 22171; Cass. 15.12.2011, n. 27094).

E’ stato precisato, inoltre, che ” il nesso causale tra errore di fatto e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialità e decisività dell’errore revocatorio, non è un nesso di causalità storica, ma di carattere logico – giuridico, nel senso che non si tratta di stabilire se il giudice autore del provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non avesse commesso l’errore di fatto, bensì di stabilire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessità logico – giuridica.” (Cass. 29.3.2016 n. 6038 e negli stessi termini Cass. 18.2.2009 n. 3935).

Nessuno dei pretesi errori che P.O. addebita alla sentenza di questa Corte n. 976 del 20.1.2016 presenta i requisiti sopra indicati, che soli possono giustificare il ricorso al mezzo di impugnazione straordinario.

7. Quanto all’asserito difetto di rappresentanza della Provincia di Lecce, che non sarebbe stato rilevato dalla Corte nonostante la espressa eccezione formulata nella memoria ex art. 378 c.p.c., va detto che l’omesso esame dello scritto difensivo di per sè non è sufficiente a giustificare la revocazione della sentenza, quando non risulti che dallo stesso sia derivato l’errore su un elemento innovativo decisivo, legittimamente introdotto dalla parte (Cass. 7.11.2016 n. 22561).

Nella specie difetta la necessaria decisività in quanto il P., nel formulare la eccezione perchè il rilascio della procura da parte del Presidente non era stato preceduto dalla autorizzazione della Giunta, ha fatto leva solo sul Regolamento per il funzionamento della Giunta Provinciale, nel testo vigente alla data del 2.7.2014, e, quindi, su un atto che, in assenza di una specifica previsione statutaria, non può derogare alla norma di attribuzione del potere di rappresentanza contenuta nel D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 50.

Questa Corte ha al riguardo affermato che, nel nuovo quadro delle autonomie locali, ai fini della rappresentanza in giudizio dell’ente, l’autorizzazione alla lite da parte della giunta non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all’azione, a meno che una diversa previsione sia contenuta nello statuto. L’art. 6 del richiamato decreto legislativo, infatti, riserva alla autonomia statutaria anche la specificazione delle attribuzioni degli organi e dei modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente.

Il criterio legale, invece, non può essere derogato solo in sede regolamentare perchè “la disciplina delle materie che l’art. 7 del testo unico affida al regolamento deve avvenire nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dello statuto: ciò vale a dire che il potere di autorganizzazione attraverso lo strumento regolamentare deve svolgersi all’interno delle previsioni legislative e statutarie, così ponendosi un rapporto di subordinazione, pur se non disgiunto da un criterio di separazione delle competenze, tra statuto e regolamento.” (Cass. S.U. 16.6.2005 n. 12868 e negli stessi termini, con riferimento alla provincia, Cass. 28.3.2014 n. 7402). Il regolamento, pertanto, rileva solo se lo statuto contenga un espresso rinvio, quanto ai modi di esercizio del potere di rappresentanza, alla normativa regolamentare.

8. Il secondo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente perchè entrambi fanno leva sulla mancanza della attestazione prescritta dall’art. 124 disp. att. c.p.c., in calce alla copia della sentenza n. 4736 emessa dal Consiglio di Stato il 6 settembre 2012. Si sostiene che l’errore di percezione avrebbe indotto la Corte a ritenere formato il giudicato sulle statuizioni del giudice amministrativo, in difetto delle condizioni necessarie affinchè il giudicato medesimo possa dirsi provato.

L’errore prospettato esula dall’ambito del vizio revocatorio, perchè non può essere ritenuto interno al solo giudizio di legittimità. Invero la Corte di Appello di Lecce ha fondato la pronuncia di rigetto della impugnazione anche sul giudicato esterno formatosi in sede amministrativa, in relazione al quale la Corte territoriale ha ampiamente motivato alle pagine 9 e 10 della sentenza.

Il ricorrente, pertanto, avrebbe dovuto contestare la formazione (e la prova) del giudicato già con il ricorso del 3.6.2014, con il quale, invece, lo stesso ha censurato la decisione del giudice di appello solo sotto il profilo della interpretazione del giudicato medesimo e dei suoi effetti, asserendo, da un lato, che la pronuncia in rito “non radica nessun tipo di giudicato”, dall’altro che la sentenza del giudice amministrativo non impedisce la prospettazione davanti all’autorità giudiziaria ordinaria della questione della inesistenza della potestà in capo alla pubblica amministrazione (pag. 19-20 del ricorso del 3.6.2014).

Poichè la questione della formazione, della rilevanza e della interpretazione del giudicato era entrata a far parte del tema controverso nel corso del giudizio di appello opera il principio, già richiamato, secondo cui l’errore revocatorio deve avere carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla sentenza della Corte di Cassazione, con la conseguenza che, ove il dedotto errore di fatto sia stato causa determinante della sentenza pronunciata in grado di appello, in relazione ad atti o documenti esaminati dal giudice di merito, o che quest’ultimo avrebbe dovuto esaminare, la parte che si assume danneggiata dall’errore è tenuta a proporre impugnazione contro la decisione di merito, non essendole consentito addurre tale errore in un momento successivo (fra le più recenti in tal senso Cass. 18.2.2014 n. 3820).

9. Analoghe considerazioni portano a ritenere inammissibile il quarto motivo, con il quale si sostiene che la Corte avrebbe ignorato il contenuto della ordinanza n. 21065/2011 che, a detta del ricorrente, si sarebbe espressa ” sulla unitarietà dei due procedimenti”.

La sentenza della Corte di Appello di Lecce fa esplicito riferimento a detta ordinanza (pag. 3 e 6), della quale si dà atto anche nella motivazione della sentenza oggetto di revocazione (pag. 1), sicchè sussistono i medesimi profili di inammissibilità sopra evidenziati.

Si deve aggiungere che il motivo prospetta una questione interpretativa mentre l’errore di fatto può assumere rilievo solo in quanto determini un errore di percezione di immediata ed oggettiva evidenza e non anche un errore di argomentazione o di giudizio.

Muovendo da detto presupposto questa Corte ha affermato che, poichè il giudicato, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, partecipa della natura dei comandi giuridici, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, essendo equiparabile a quella delle norme giuridiche, con la conseguenza che l’errore eventualmente commesso nella supposizione della formazione o della inesistenza del giudicato medesimo in relazione ad un punto controverso, esula con evidenza dai limiti del vizio revocatorio (Cass. 13.1.2015 n. 321).

10. L’avere questa Corte ritenuto formato il giudicato anche sulla sentenza del Consiglio di Stato n. 4783 del 2013, pur in pendenza di giudizio di revocazione, non integra errore di fatto perchè a pag. 5 della motivazione si dà atto che ” la Provincia in sede di memoria ex art. 378 c.p.c., ha precisato che i ricorsi in revocazione ancora pendenti (in sede civile ed amministrativa) sono stati definiti con il rigetto delle istanze del P. “. Lo stesso ricorrente alle pagine 40 e 41 precisa che la pronuncia n. 274/2015, con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione avverso la sentenza n. 4782/2013, è stata pubblicata il 20.1.2015 “dopo il deposito del ricorso e prima dell’udienza fissata per la data del 24.2.2015”. Il ricorso per cassazione, quindi, è stato deciso allorquando il giudicato sulla pronuncia del giudice amministrativo si era già formato e di ciò questa Corte, come si è detto, ha dato atto, poichè la circostanza era stata rappresentata dalla controricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c..

10.1. Per il resto il motivo non è di facile comprensione nella parte in cui denuncia l’errore che sarebbe stato commesso nel ritenere che la domanda subordinata di scorrimento della graduatoria in relazione all’avviso pubblico n. 105292 del 30.12.2011 fosse stata respinta dal giudice di appello per le ragioni indicate a pag. 12 della sentenza e non a pag. 11.

In ogni caso l’errore, anche a volerlo ritenere sussistente (ma in realtà anche a pag. 11 la Corte territoriale richiama l’avviso pubblico del 2011), è assolutamente privo di decisività perchè la decisione qui impugnata, oltre a rispondere puntualmente ai motivi di ricorso formulati, trova la sua principale ratio decidendi nel principio, più volte ribadito, secondo cui “posto che il P. non vantava alcun diritto allo scorrimento della graduatoria del concorso del 1999 in virtù di sentenza passata in giudicato cadono tutte le censure che “a pioggia” sono state mosse agli atti adottati nel tempo dalla Provincia, per coprire un posto rispetto al quale il P. non vantava alcun diritto in virtù della precedente graduatoria alla stregua di un accertamento, giusto o sbagliato che sia, conclusosi in via definitiva”. E’ a detto principio che la Corte ha fatto richiamo nell’esame anche del quarto motivo, aggiungendo che tutte le ulteriori argomentazioni sul difetto di interesse, sulla inefficacia della graduatoria, sulla prevalenza della mobilità rispetto allo scorrimento costituivano argomenti esposti solo ad abundantiam dal giudice di appello.

Deve essere qui ribadito che qualora la sentenza impugnata per revocazione si regga su autonome rationes decidendi, l’errore percettivo denunciato in relazione ad una sola di dette rationes, anche qualora ritenuto sussistente, è comunque privo del requisito indispensabile della decisività, ossia dell’idoneità a travolgere la ragione giuridica sulla quale si regge la sentenza impugnata (Cass. 25.3.2013 n. 7413).

11. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Quanto al regolamento delle spese premette il Collegio che la Provincia di Lecce ha notificato il 27.9.2016 a P.O. “memoria di costituzione”, recante in calce procura speciale rilasciata in pari data, con la quale ha chiesto alla Corte di rigettare il ricorso per revocazione, in quanto inammissibile e infondato, e di potere illustrare le ragioni della ritenuta infondatezza della impugnazione nel corso della discussione orale. Alla notificazione ha fatto seguito il deposito dell’atto, unitamente al fascicolo di parte, in data 1.10.2016.

Lo scritto difensivo, sebbene impropriamente denominato dalla parte, va qualificato controricorso, inammissibile perchè tardivo e privo del requisito richiesto dall’art. 366 c.p.c., n. 3, ma comunque idoneo a integrare un valido atto di costituzione e a consentire al difensore di partecipare alla discussione orale della causa (Cass. 28.5.2013 n. 13183).

Non è pertinente il richiamo, contenuto nella memoria ex art. 378 c.p.c., al principio di diritto affermato da Cass. S.U. 31.5.2016 n. 11379, perchè in quel caso si discuteva di un atto di costituzione depositato in cancelleria e non notificato al ricorrente, in un giudizio iniziato prima della riforma dell’art. 83 c.p.c., ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 9, che, a decorrere dal 4 luglio 2009, ha esteso il potere di autentica del difensore anche alla memoria di nomina di nuovo difensore.

Ne discende che, in considerazione della soccombenza e della valida partecipazione dell’Avv. Maria Giovanna Capoccia alla discussione orale della causa, P.O. deve essere condannato a rifondere alla Provincia di Lecce le competenze professionali relative al giudizio di revocazione, liquidate in relazione alle sole attività validamente compiute, ossia allo studio della controversia ed alla discussione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dal ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di revocazione, liquidate in Euro 2.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2017

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