Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10632 del 02/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 02/05/2017, (ud. 24/01/2017, dep.02/05/2017),  n. 10632

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28091-2015 proposto da:

M.L.N.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114, presso lo studio

dell’avvocato LUIGI PARENTI, che la rappresenta e difende giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.S.L. (OMISSIS) – SAVONESE C.F. (OMISSIS) in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

NICOLO’ TARTAGLIA 5, presso lo studio dell’avvocato SANDRA AROMOLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO SPOTORNO, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 276/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 21/09/2015 r.g.n. 655/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2017 dal Consigliere Dott. DI PAOLANTONIO ANNALISA;

udito l’Avvocato ANTONINO SALMERI per delega Avvocato LUIGI PARENTI;

udito l’Avvocato MARIO SPOTORNO.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Genova ha respinto il reclamo proposto, della L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, dal dirigente medico M.L.N.M. avverso la sentenza della Tribunale di Savona che, all’esito del giudizio di opposizione, aveva confermato l’ordinanza con la quale era stato rigettato il ricorso volto ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato alla M. dalla ASL Savonese il (OMISSIS).

2. La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la giusta causa di licenziamento perchè la reclamante aveva tenuto, nel periodo compreso fra il mese di marzo 2006 e l’agosto 2007, plurime condotte contrarie alle responsabilità e ai doveri propri del dirigente medico, condotte che erano state dimostrate attraverso la prova testimoniale.

3. In particolare era emerso che la M.:

a) non aggiornava il registro informatico del reparto e non compilava le lettere di dimissioni dei pazienti;

b) si era rifiutata di sostituire un collega nel turno;

c) era solita comunicare in ritardo le assenze per malattia;

d) aveva un atteggiamento caratterizzato dalla assoluta mancanza di collaborazione, tanto che si era rifiutata di utilizzare l’ecodoppler, sebbene detto rifiuto potesse essere giustificato solo in parte dalla tendinite del polso sinistro dalla quale era affetta;

e) utilizzava a fini strumentali la malattia per sottrarsi alle mansioni non gradite o ai turni più gravosi;

f) aveva manifestato una ingiustificata conflittualità nei confronti della Asl di appartenenza, accusandone i dirigenti di non rispettare la convenzione stipulata con la Università di Pisa;

g) aveva maturato un debito orario di oltre 18 ore;

h) aveva utilizzato a fini personali la carta intestata della ASL.

4. Il giudice del reclamo ha, poi, escluso la eccepita tardività della contestazione, rilevando che i termini invocati dalla M. non si riferivano ai dirigenti e non potevano trovare applicazione le norme sul procedimento disciplinare dettate dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, perchè successive ai fatti di causa. Ha aggiunto che allorquando la contestazione si riferisce ad una pluralità di episodi la tempestività va valutata non con riferimento al singolo addebito, bensì in relazione “al superamento di quella soglia oltre la quale il comportamento inadempiente del lavoratore è divenuto non più tollerabile”.

5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M.L. sulla base di due motivi. La Asl Savonese ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente deve essere respinta l’eccezione di tardività del controricorso perchè, a seguito delle decisioni della Corte costituzionale n. 477 del 2002, nn. 28 e 97 del 2004 e 154 del 2005 e dell’affermarsi del principio della scissione fra il momento di perfezionamento della notificazione per il notificante e per il destinatario, deve ritenersi che la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, ove tempestiva, sia idonea ad evitare alla parte la decadenza correlata all’inosservanza del termine perentorio entro il quale la notifica va effettuata.

Nel caso di specie la ASL Savonese ha provveduto a richiedere la notifica il 4 gennaio 2016, nel rispetto del termine fissato dall’art. 370 c.p.c. (per il principio della scissione sopra richiamato il termine decorre dalla data in cui si è perfezionata la notifica del ricorso e, quindi, dal 25.11.2015), sicchè non rileva che l’atto sia stato ricevuto dal difensore della M. solo il giorno successivo.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″. Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe dovuto cogliere le contraddizioni nelle quali era incorsa la teste Me. ed avrebbe dovuto considerare che i compiti amministrativi rifiutati non erano conformi al ruolo di dirigente. Aggiunge che all’epoca dei fatti non erano state emanate direttive volte a disciplinare le modalità di comunicazione delle assenze, per cui non esisteva un parametro rispetto al quale misurare la tempestività della notizia, data, comunque, sempre prima dell’inizio del turno di lavoro. Precisa che la lettera inviata alla Università di Pavia si limitava a riferire fatti realmente accaduti ed era stata motivata dalla necessità di giustificare l’assenza al corso di specializzazione del 25/6/2007.

Sottolinea che per prassi tutto il personale utilizzava la carta intestata della Asl e che il debito orario, mai contestato prima, era compensato dai crediti accumulati in anni precedenti. Evidenzia, infine, che la malattia, effettivamente esistente, non era mai stata strumentalizzata e che non rispondeva al vero quanto riferito dai colleghi in merito al rifiuto di eseguire esami strumentali per mezzo dell’ecodoppler.

3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ” violazione di legge e falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3″ nonchè “erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha rilevato l’illegittimità e/o inefficacia del licenziamento per violazione del principio di immediatezza ai fini della contestazione disciplinare e del successivo provvedimento di licenziamento”. Nella premessa la M. rileva che gli addebiti sono correlati e discendono dalla condotta omissiva del direttore sanitario, il quale non aveva accolto la sua richiesta di essere esonerata, a fini precauzionali e per motivi di salute, dall’attività di diagnostica strumentale. Richiama, poi, la L. n. 300 del 1970, art. 7, violato nella fattispecie in quanto le condotte, asseritamente tenute tra il marzo 2006 e l’agosto 2007, erano state contestate solo con la lettera del 27 agosto e il licenziamento era stato poi irrogato il 10 marzo 2008. La Corte territoriale, pertanto, avrebbe dovuto ritenere non tempestivo il procedimento disciplinare, perchè nel giudizio era emerso con chiarezza che la ASL aveva avuto conoscenza dei fatti nella immediatezza del loro verificarsi e, comunque, quanto meno dal 5 aprile 2007, allorquando il responsabile della struttura aveva inviato la comunicazione all’ufficio organizzazione, gestione e formazione del personale, che si era poi occupato del procedimento disciplinare. Evidenzia che le condotte, in quanto istantanee, dovevano essere contestate immediatamente dal datore di lavoro, tanto più che quest’ultimo aveva precisato, sia nella lettera di contestazione che in sede giudiziale, che ogni singolo addebito era di gravità tale da giustificare il recesso. Aggiunge, infine, che, sebbene la valutazione del principio di immediatezza debba essere effettuata in base al criterio della relatività, nella fattispecie non sussistevano ragioni obiettive che giustificassero il tempo trascorso fra la compiuta conoscenza del fatto e la contestazione.

4. Il primo motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata è stata pubblicata il 21 settembre 2015, sicchè è applicabile alla fattispecie l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo modificato dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 22.9.2014 n. 19881 e Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge. Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.”.

Nessuna di dette ipotesi ricorre nella fattispecie, poichè la Corte territoriale ha dato ampio conto delle ragioni per le quali doveva essere esclusa la asserita illegittimità del licenziamento, evidenziando che tutte le plurime condotte addebitate alla M. erano state provate attraverso la prova testimoniale assunta e la produzione documentale.

4.1. Una volta esclusa la violazione di legge per difetto assoluto di motivazione, neppure denunciata nella fattispecie, la ammissibilità delle censure prospettate nel ricorso va valutata alla luce del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che non riguarda la motivazione della sentenza ma concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

Il motivo, quindi, è validamente formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, solo qualora il ricorrente indichi il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

Dette condizioni non ricorrono nella fattispecie, poichè il ricorso si risolve, in relazione a tutte le questioni prospettate, in una inammissibile critica del ragionamento decisorio seguito dalla Corte territoriale quanto agli accertamenti di fatto e ne sollecita la revisione, non consentita in sede di legittimità.

5. Anche il secondo motivo presenta profili di inammissibilità nella parte in cui denuncia la violazione di imprecisati contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro e, per sostenere la asserita tardività del procedimento disciplinare, richiama gli atti di detto procedimento, senza rispettare gli oneri di specificazione e di allegazione imposti dall’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6 e art. 369 c.p.c., n. 4.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, mediante la puntuale indicazione delle norme o delle disposizioni contrattuali che si asseriscono violate, nonchè sulla base di specifiche argomentazioni, intese a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie (fra le più recenti in tal senso Cass. 15/01/2015 n. 635).

Va, poi, evidenziato che i requisiti imposti dall’art. 366 c.p.c. rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, perchè solo la esposizione chiara e completa dei fatti di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori e degli atti processuali rilevanti consentono al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure.

Gli oneri sopra richiamati sono altresì funzionali a permettere il pronto reperimento degli atti e dei documenti il cui esame risulti indispensabile ai fini della decisione sicchè, se da un lato può essere sufficiente per escludere la sanzione della improcedibilità il deposito del fascicolo del giudizio di merito, ove si tratti di documenti prodotti dal ricorrente, oppure il richiamo al contenuto delle produzioni avversarie, dall’altro non si può mai prescindere dalla specificazione della sede in cui il documento o l’atto sia rinvenibile (Cass. S.U. 7.11.2013 n. 25038).

La ricorrente, quindi, avrebbe dovuto riportare nel ricorso, quanto meno nei suoi elementi essenziali, il contenuto della comunicazione inviata all’UPD il 5 aprile 2007 e la lettera di contestazione, precisando da chi e in quale sede erano stati prodotti i documenti rilevanti ai fini della verifica della fondatezza della eccezione di tardività.

5.1. Osserva, poi, il Collegio che il giudice del merito ha correttamente applicato il principio di diritto, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la tempestività della contestazione, ove non vengano in rilievo termini di decadenza espressamente imposti dal legislatore o dalle parti collettive, deve essere intesa in senso relativo e, qualora il comportamento del lavoratore consista in una serie di fatti che, convergendo a comporre una fattispecie unitaria, esigono una valutazione complessiva, è rispettata se l’avvio del procedimento segue l’ultimo di detti fatti, non rilevando la distanza temporale da quelli precedenti (Cass. 22.3.2010 n. 6845; Cass. 17.12.2008 n. 29480; Cass. 20.10.2007 n. 22066).

Per il resto la valutazione espressa dalla Corte territoriale in merito all’avvenuto rispetto del principio di tempestività attiene al giudizio di fatto che può essere sindacato in sede di legittimità solo qualora la decisione incorra nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, del quale non ricorrono nella fattispecie i presupposti per le ragioni già indicate nel punto 4.1.

6. Il ricorso va, pertanto, rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2017

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