Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10630 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 13/05/2011, (ud. 14/04/2011, dep. 13/05/2011), n.10630

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14931-2007 proposto da:

P.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPONIO

LETO 2, presso lo studio dell’avvocato STRONATI CLAUDIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato DI NAPOLI PAOLO, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa,

dall’avvocato GIAMMARIA GIACOMO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

sul ricorso 14952-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa,

dall’avvocato GIAMMARIA GIACOMO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.T.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 461/2006 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 18/05/2006 r.g.n. 799/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato ANNARITA IACOPINO per delega PAOLO DI NAPOLI;

udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega GIAMMARIA GIACOMO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale e rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Con distinti ricorsi, P.T. e Poste italiane spa chiedono l’annullamento della sentenza della Corte d’appello dell’Aquila, pubblicata il 18 maggio 2006, che in parziale riforma della sentenza di primo grado, dopo aver confermato la declaratoria di nullità della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro stipulato tra le parti il 6 novembre 1998, ha dichiarato che nulla è dovuto alla lavoratrice per gli intervalli non lavorati.

2. La P. con un unico motivo, censura la sentenza su questo specifico punto, assumendo che la Corte ha erroneamente ritenuto che non sia stata data la prova della messa in mora del datore di lavoro, in quanto tale prova sarebbe stata data con l’offerta della prestazione lavorativa fatta “compilando un facsimile predisposto dalle Poste ed accedendo così ad una graduatoria da cui le Poste attingevano per assumere personale”. La ricorrente inoltre sottolinea di aver anche prestato ulteriormente lavoro alle dipendenze della società Poste italiane in epoca anteriore e successiva al contratto de quo e cioè dal 2 giugno 1997 al 30 settembre 1997 ed ancora dal giugno 2003 al settembre 2003″.

3. Il ricorso è inammissibile, perchè la denunzia di violazione o falsa applicazione di legge, a tacer d’altro, si risolve in una diversa valutazione nel merito della decisione, senza peraltro indicare vizi della motivazione.

4. Poste italiane spa, con il suo ricorso, che assume la veste di ricorso incidentale, formula a sua volta un unico motivo, concernente la pretesa legittimità della clausola di apposizione del termine apposta ad un contratto stipulato in data 6 novembre 1998.

5. Anche questo ricorso non può essere accolto per le ragioni più volte esposte in cause analoghe concernenti contratti a termine stipulati da Poste italiane spa per esigenze eccezionali in data successiva all’aprile 1998.

6. Cass. n. 18272 del 2006; Cass. n. 13728 del 2009 e una lunga serie di altre decisioni ricordano che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco all’autonomia collettiva, la quale, pertanto, non è vincolata all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti collettive hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997.

7. Partendo da questo principio la giurisprudenza di questa Corte, dopo aver ribadito la legittimità della formula adottata nell’accordo integrativo, caratterizzata, in particolare, dalla mancata previsione di un termine finale, ha ritenuto tuttavia viziate le decisioni dei giudici di merito che avevano affermato la natura meramente ricognitiva dei cd. accordi attuativi e conseguentemente il carattere non vincolante degli stessi quanto alla determinazione della data entro la quale era legittimo ricorrere a contratti a termine, atteso che con tale interpretazione dei suddetti accordi si sono discostate dal chiaro significato letterale delle espressioni usate – ed in particolare di quella secondo cui per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30/4/98 (cfr.

accordo del 16 gennaio 1998); ciò, fra l’altro, in violazione del principio secondo cui nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453).

8. La stessa giurisprudenza ha ritenuto inoltre la sussistenza, nelle suddette sentenze, di una violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello per cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la statuizione secondo cui le parti non avevano inteso introdurre limiti temporali alla previsione di cui all’accordo del 25 settembre 1997 implica la conseguenza che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).

9. La giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378) ha, per contro, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo circa due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione deve comunque ritenersi conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

10. Il rigetto del ricorso della P., rende superfluo l’esame delle richieste, formulate da Poste italiane con la memoria depositata per l’udienza, concernenti l’applicabilità della L. n. 183 del 2010, art. 32.

11. Il rigetto di entrambi i ricorsi comporta la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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