Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1063 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. I, 17/01/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 17/01/2020), n.1063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32898/2018 proposto da:

D.S., elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’Avv. Guido Ernesto Maria Savio, del foro di Torino che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto n. 4987 del 5/10/2018 del Tribunale di Torino;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 19/12/2019 dal consigliere relatore Dott. Giovanni

Ariolli.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. D.S., cittadino del (OMISSIS), ricorre per cassazione avverso il Decreto n. 4987/2018 con cui il Tribunale di Torino ha rigettato l’opposizione avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Torino che ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale ed umanitaria; svolgendo due motivi ne chiede l’annullamento.

2. Il Ministero dell’Interno, non essendosi costituito nei termini, ha depositato una nota al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 1, in tema di protezione sussidiaria, sul rilievo che il Tribunale per un verso avrebbe escluso che tra i presupposti dell’invocata protezione possano rientrare anche ipotesi di danno grave riferibile a minacce di natura inter-privata e, per altro, non avrebbe tenuto conto della grave insicurezza e forte conflittualità che ancora oggi caratterizzerebbe l’intero territorio del Mali.

La doglianza è inammissibile.

3.1. Quanto al primo rilievo, seppur il danno grave possa ricondursi anche a soggetti privati, il giudice del merito ha correttamente escluso che una mera situazione di minaccia avente carattere inter-privato (dovuta a conflitti relativi a questioni sulla proprietà del bestiame intercorsi tra il ricorrente e lo zio) possa assurgere a requisito legale per il riconoscimento della protezione sussidiaria, poichè altrimenti ogni vittima di reati commessi di fatto con l’uso della violenza si troverebbe nella condizione di poter accedere a tale forma speciale di tutela, con la conseguenza di far sostanzialmente coincidere il numero delle persone ammissibili con quelle coinvolte nell’area di operatività della giurisdizione penale in detti Paesi. Questa Corte ha, infatti, al riguardo precisato, che le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi ma con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b), (in termini, Cass., ord. n. 9043/2019).

3.2. Quanto al secondo rilievo, va ribadito che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la speciale forma di protezione. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass., ord. n. 18306/2019). Nel caso di specie, il Tribunale, sulla scorta di fonti documentali autorevoli ed aggiornate, ha escluso che il richiedente possa essere esposto, nella zona di provenienza, al concreto e diffuso pericolo di perdere la propria vita o l’incolumità fisica (in termini proprio con riferimento al Paese di origine del richiedente, vedi Cass., 28189/2019). Di conseguenza, la doglianza in esame, a fronte del giudizio espresso nel provvedimento impugnato, mira nella sostanza a sostituire le proprie valutazioni con quella svolta, finendo per chiedere alla Corte una rivalutazione del materiale probatorio di carattere documentale, preclusa in questa sede ed di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

4. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, sul rilievo che il giudice del merito avrebbe ritenuto l’integrazione sociale “come elemento a se stante, isolato dal contesto, unico per valutare la sussistenza dei presupposti della protezione invocata”. La censura è manifestamente infondata: il Tribunale, infatti, ha precisato come il requisito dell’integrazione sociale – motivatamente escluso non potendo questo ravvisarsi in eventuali buone prospettive di inserimento in Italia – può assumere rilevanza a fronte di una acclarata situazione di vulnerabilità del soggetto richiedente e ciò in ossequio proprio all’orientamento espresso da questa Corte anche a S.U., secondo cui in tema di protezione umanitaria occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Cass., S.U. n. 29459/2019).

5. Da quanto precede deriva l’inammissibilità del ricorso.

5.1. Nulla per le spese, in difetto di attività difensiva svolta dal Ministero dell’Interno intimato nel presente giudizio di legittimità.

5.2. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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