Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1063 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. III, 17/01/2019, (ud. 20/07/2018, dep. 17/01/2019), n.1063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15802/2015 proposto da:

C.P., R.G., D.C.V., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA RIDOLFINO VENUTI, 30, presso lo studio

dell’avvocato SILVIA CRETELLA, rappresentati e difesi dall’avvocato

MARIO CRETELLA giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS), MINISTERO DELL’UNIVERSITA’ E

RICERCA SCIENTIFICA E TECNOLOGICA, MINISTERO DELLA SANITA’ –

MINISTERO DELLA SANITA’ (OMISSIS), PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI

MINISTRI, MINISTERO PUBBLICA ISTRUZIONE (OMISSIS) in persona del

Rettore pro tempore, domiciliati ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui sono difesi per

legge;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4959/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 15/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/07/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. FULVIO TRONCONE, che ha chiesto

il rigetto del ricorso principale.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

C.P., D.C.V., R.G., convenivano in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della pubblica istruzione, dell’Università e della Ricerca, il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero della salute, l’Università degli studi di Napoli Federico II, la seconda Università degli studi di Napoli, esponendo di essersi laureati in medicina e chirurgia per poi specializzarsi tra il 1985 e il 1998 in varie e specificate discipline. Chiedevano la condanna delle controparti al pagamento della giusta retribuzione non percepita per il periodo di frequenza delle scuole di specializzazione, quale infine prevista dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, ovvero al risarcimento dei danni da tardiva o incompleta attuazione delle direttive CEE n. 75/362, 75/363, 82/76, 93/16;

il tribunale rigettava la domanda accogliendo l’eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dai convenuti, con pronuncia riformata sul punto dalla corte di appello che richiamava la giurisprudenza di legittimità secondo cui la prescrizione era decennale – da inadempimento di una specifica obbligazione “ex lege” di natura indennitaria stante l’antigiuridicità alla stregua del solo ordinamento comunitario – decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, che aveva solo parzialmente colmato la lacuna determinando la borsa di studio spettante ai soli beneficiari, anteriori al recepimento dell””acquis communautaire”, che fossero stati riconosciuti tali delle sentenze irrevocabili del giudice amministrativo. La corte territoriale, però, disattendeva le domande nel merito, rilevando che, in mancanza della produzione del fascicolo di parte attorea di primo grado con la relativa documentazione, non era riscontrabile la prova della frequenza a tempo pieno del corso di formazione, senza svolgimento di attività libero professionale esterna o lavorativa anche in convenzione o precarietà con il servizio sanitario nazionale, nonchè del conseguimento del diploma di specializzazione;

avverso questa decisione ricorrono per cassazione C.P., D.C.V. e R.G., formulando un motivo e depositando memoria;

resistono con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Pubblica Istruzione, dell’Università e della ricerca, il Ministero iell’economia e delle finanze, il Ministero della salute, l’Università degli studi di Napoli Federico II, la seconda Università degli studi di Napoli;

il pubblico ministero ha formulato conclusioni scritte;

Rilevato che:

con l’unico motivo di ricorso si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso rappresentato dalla sentenza di primo grado che aveva dato atto del deposito della documentazione attestante la frequenza dei corsi, il conseguimento del diploma mai contestato, il quale ultimo, a sua volta, implicava lo svolgimento della sottesa attività come rilevato dallo stesso tribunale. La documentazione non reperita dalla corte di appello, inoltre, risultava riportata nell’indice della stessa depositato dagli attori in secondo grado. La corte territoriale, al contempo, sarebbe incorsa in un’insanabile contraddizione nel rilevare prima che il diritto non era prescritto, e subito dopo che non ne sussisteva la prova;

Rilevato preliminarmente che:

sono inammissibili le deduzioni della difesa erariale in ordine alla impossibilità di riconoscere comunque agli attori i requisiti dello svolgimento a tempo pieno dei corsi, in quanto introdotto solo con decreto ministeriale 11 maggio 1995, e quello afferente al vincolo di incompatibilità, stabilito dal D.Lgs. n. 257 del 1991, solo a decorrere dall’anno accademico 1991-1992. Si tratta, infatti, di deduzioni non oggetto del necessario ricorso incidentale condizionato;

Rilevato altresì che:

il motivo di ricorso è in parte inammissibile, in parte infondato;

il prospettato vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, attiene ai fatti, non alle valutazioni di quelli effettuate, nel caso, dalla sentenza di primo grado appellata;

non è stata quindi idoneamente censurata, in tesi quale errore “in procedendo”, la “ratio decidendi” della sentenza di appello che ha affermato il difetto di prova per la mancata produzione del fascicolo di parte di primo grado in cui era contenuta la documentazione indicata dalle parti come decisiva al riguardo;

i ricorrenti evidenziano che la corte territoriale aveva sollecitato in più udienze la produzione del fascicolo attoreo, e affermano che in una successiva udienza l’esigenza sarebbe risultata assecondata poichè non era stata disposta alcuna ulteriore richiesta (pag. 7, ultimi due capoversi, del ricorso), sottolineando, altresì, che “la documentazione non reperita dal giudice di appello” era riportata nell’indice della propria produzione di seconde cure. Ma tutto ciò per un verso resta estraneo, come visto, al motivo formulato; per altro verso non esclude che non risulta in alcun caso esplicitamente evaso come necessario (Cass., 19/12/1990, n. 12067) – l’invito della corte territoriale alla produzione del fascicolo di primo grado, e dunque dei documenti rilevati come mancanti non solo in sede decisoria ma sin dai plurimi solleciti;

secondo la giurisprudenza di questa Corte, il potere del giudice d’appello di ordinare alla parte di produrre la copia di determinati documenti (oltre che di acquisire il fascicolo d’ufficio di primo grado) è da ritenere limitato, ex art. 123 bis disp. att. c.p.c., all’ipotesi dell’impugnazione contro sentenze non definitive, e non è esercitabile nel giudizio di appello avverso sentenze definitive, nel quale – è questo che qui rileva – la mancata produzione dei documenti è implicitamente riconducibile alla conclusiva volontà della parte di non ritenere necessario avvalersene, onde correttamente il giudice decide sul gravame – e, come sottolinea il pubblico ministero, sulla fondatezza della domanda in scrutinio – in base agli atti legittimamente a sua disposizione (cfr., da ultimo, Cass., 12/12/2017, n. 29716, pag. 5);

i ricorrenti, in memoria, citano Cass., Sez. U., 08/02/2013, n. 3033, nella quale (a pag. 10-11) si specifica che, leggendo il processo di appello quale impugnazione strettamente ancorata ai relativi motivi, la parte appellante, e come tale attrice, la quale invochi una valutazione delle prove documentali diversa da quella effettuata in prime cure – qui come visto favorevole ai deducenti – deve attivarsi, ex art. 76 disp. att. c.p.c., perchè al giudice di quel gravame sia materialmente consentito il riesame di quelle prove preteso con la censura. Questo, però – in linea generale, e salvo cioè il limite del giudicato interno su cui più avanti si dirà – per un verso conferma la necessità che la parte interessata metta il giudice di appello nelle condizioni di verificare la fondatezza delle sue (complessive) allegazioni; per altro verso, persistendo, come precisato dalla più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. U., 16/11/2017, n. 27199, pag. 6, richiamata dal pubblico ministero), la natura devolutiva, e non a critica vincolata, del giudizio di appello – connotato da un tale effetto non in questi termini limitato, cioè, dai motivi di gravame, in uno a quello sostitutivo inteso nel senso che, di norma, la sentenza emessa dal giudice di appello si sostituisce a quella impugnata, sia essa confermata o riformata – quanto sopra affermato non può escludere il potere e dovere del medesimo giudice di merito, nel perimetro delle censure allo stesso proposte, di verificare la fondatezza della domanda del bene della vita proposta dall’attore appellante. E dunque, in questa prospettiva, nel caso qui in scrutinio, il riscontro dei fatti costitutivi di quella, una volta superata, in riforma della sentenza di prime cure, l’eccezione di prescrizione accolta nella pregressa fase;

nè risulta specificatamente censurata la diversa violazione dell’art. 115 c.p.c., in ordine alla mancanza di contestazione dei diplomi accennata in ricorso e ripresa nelle memorie dei ricorrenti – che avrebbe in ogni caso imposto di riportare il contenuto degli atti processuali della parte interessata attestanti la non contestazione (Cass., 12/10/2017, n. 24062, punto 2.2., primo capoverso);

non sussiste poi alcuna insanabile contraddizione tra l’esclusione della prescrizione del diritto risarcitorio e quella della prova della frequenza del corso, poichè l’estinzione prescrizionale può integrare una ragione liquida assorbente che, qualora superata, rende all’esito rilevante il vaglio sull’effettiva sussistenza del diritto (cfr., Cass., 18/10/2000, n. 13815, Cass., 24/07/2015, n. 15605, pagg. 5-6);

da ultimo, non si potrebbe discorrere di un giudicato implicito rilevandolo officiosamente in senso favorevole ai ricorrenti soccombenti rispetto al motivo formulato – sulla sussistenza del diritto, in relazione al fatto che, come anticipato, la sentenza di primo grado, prodotta con il ricorso, aveva rilevato la documentazione della frequenza dei corsi sfociati nel titolo di specializzazione, pur affermando, conclusivamente, la prescrizione della suddetta situazione giuridica soggettiva;

infatti, la corte territoriale, escludendo espressamente la sussistenza della prova della frequenza del corso di specializzazione e del conseguimento del diploma (pag. 10 della sentenza gravata), ha violato, implicitamente ma univocamente e necessariamente (cfr., Cass., Sez. U., 12/05/2017, n. 11799), il giudicato interno formatosi in senso speculare, ossia, come appena detto, sull’esistenza del supporto probatorio al diritto in questione;

la corte di merito, affermando la necessità, alla stessa devoluta, di verificare le prove della fondatezza della domanda in base alla documentazione indicata come versata in prime cure, ha in altri termini escluso – in una logica erronea che non coordina l’effetto devolutivo con il limite del giudicato interno – preclusioni a tale esame, non potendo in alcun modo, oggettivamente, ipotizzarsi abbia obliterato il tema (cfr. la ricostruzione di Cass., Sez. U., 11799 del 2017, cit., punto 9.3.3.1) che, pertanto, è divenuto punto impugnabile della decisione;

il suddetto giudicato aveva invece – preso forma in quanto l’amministrazione, vittoriosa in senso pratico ma soccombente virtuale sulla questione in parola, avrebbe dovuto proporre – come non risulta aver fatto appello incidentale condizionato (cfr., Cass., Sez. U., 19/04/2016, n. 7700), senza il quale si era appunto determinata la preclusione al nuovo esame di quel merito;

ne consegue, ulteriormente, che tale violazione, integrando un errore processuale afferente alla violazione dell’effetto preclusivo innescato dalla descritta sequenza procedimentale, avrebbe dovuto essere a sua volta censurata come tale dagli odierni deducenti, e, in mancanza di tale diversa censura, è sopravvenuto un giudicato interno in senso opposto;

la forza espansiva del giudicato – che, essendo inteso ad assicurare la certezza delle situazioni giuridiche e la stabilità delle decisioni, non è soggetto a eccezione di parte potendo essere rilevato d’ufficio in ogni stato e grado del processo – non può andare disgiunta dalle regole che governano il processo, sicchè il rilievo anche officioso del giudicato può risultare precluso quando la relativa questione sia a sua volta coperta da giudicato, poichè la decisione con cui il giudice ne abbia negato la sussistenza non abbia formato oggetto di specifico gravame e sia, perciò, a sua volta passata in giudicato (cfr., Cass., 13/03/2018, n. 6087, pagg. 3-4);

le spese vanno compensate stante la peculiarità della controversia e in applicazione del regime “ratione temporis” vigente (essendo iniziato il giudizio nel 2007).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Spese compensate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 20 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

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