Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10629 del 02/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 02/05/2017, (ud. 11/01/2017, dep.02/05/2017),  n. 10629

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4083-2011 proposto da:

AZIENDA DI SERVIZI ALLA PERSONA ISTITUTI MILANESI MARTINITT E

STELLINE E PIO ALBERGO TRIVULZIO, C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO

PLACIDI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIORGIO BARBINI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO

GHERA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GUGLIELMO BURRAGATO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 728/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/08/2010 1632/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2017 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato VITTORIA LUCIANO per delega GIORGIO BARBINI;

udito l’avvocato FEDERICO GHERA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 26 agosto 2010), in accoglimento dell’appello proposto da M.P. avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 3569/2008, dichiara l’illegittimità dell’anticipata risoluzione del PAT – Azienda di Servizi alla Persona Istituti milanesi Martinitt e Stelline e Pio Albergo Trivulzio (d’ora in poi: PAT) – dal contratto di lavoro a termine stipulato con il M. e, per l’effetto, condanna il PAT suddetto a corrispondere al M., a titolo risarcitorio, la complessiva somma di euro 74.373,05 oltre accessori di legge.

La Corte d’appello di Milano, per quel che qui interessa, precisa che:

a) la qudstione giuridica da risolvere è quella di stabilire se il contratto a termine di durata triennale, stipulato tra il M. e il PAT il 10 gennaio 2006 fosse soggetto alla autorizzazione della Azienda Ospedaliera (A.O.) di (OMISSIS), di cui il M. era dipendente (ex art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001) ovvero non fosse soggetto ad autorizzazione perchè considerato per “fictio juris” non retribuito, in base al precedente art. 53 cit., comma 6, lett. e), secondo cui gli incarichi per i quali è prevista l’aspettativa senza assegni, in linea generale, non sono soggetti ad una autorizzazione preventiva, potendo quindi tale atto intervenire anche dopo l’assegnazione dell’incarico;

b) quest’ultima è la configurazione da privilegiare, in considerazione della specificità della disciplina del rapporto dei dirigenti, per il quale il cumulo del rapporto di lavoro con altro incarico è la regola;

c) ne consegue che anche se, per ipotesi, il PAT avesse “scoperto” soltanto dopo la stipula del contratto a termine in oggetto che il dirigente era legato da un contratto a tempo indeterminato con la A.O. di (OMISSIS) non avrebbe comunque potuto, per ciò solo, ritenere il contratto a termine nullo per mancanza di una preventiva autorizzazione della A.O. datrice di lavoro del M., perchè nessuna norma sancisce una simile nullità, come è confermato dalla Circolare del Dipartimento della Funzione pubblica richiamata dal M.;

d) in altri termini, il contratto in oggetto rientrava tra quelli per i quali il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 23-bis prevede il collocamento in aspettativa del dirigente, collocamento che, dal CCNL per il personale dirigenziale sanitario non medico, è configurato come un diritto del dirigente;

e) l’incarico previsto nel contratto rientrava quindi tra quelli non retribuiti ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 6, lett. e), ed era pertanto sottratto al regime autorizzatorio di cui al successivo comma 7;

f) quindi il contratto in oggetto non poteva considerarsi nullo per effetto della mancata autorizzazione preventiva della A.O. di (OMISSIS) e, pertanto, il PAT non poteva risolverlo prima della scadenza pattuita;

g) peraltro, nella specie non è emersa la esistenza di ostacoli alla concessione dell’aspettativa – la cui mancanza è alla base della anticipata risoluzione in parola – che inoltre risulta essere stata richiesta dall’interessato con fax del 27 febbraio 2006, cioè quasi un mese prima dell’anticipata risoluzione del PAT, avvenuta il 22 marzo 2006.

2. Il ricorso dell’Azienda di Servizi alla Persona Istituti milanesi Martinitt e Stelline e Pio Albergo Trivulzio (d’ora in poi: PAT) domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con controricorso, M.P..

Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Profili preliminari.

1. Preliminarmente devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso, proposte dal controricorrente.

1.1. Al riguardo va, in primo luogo, ricordato che, per costante e condiviso indirizzo di questa Corte, nel giudizio di cassazione è preclusa la proposizione di nuove questioni di diritto o di temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito soltanto quando esse presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto, mentre deve ritenersi consentito dedurre per la prima volta in tale sede questioni di diritto che lascino immutati i termini, in fatto, della controversia così come accertati e considerati dal giudice del merito (Cass. 14 ottobre 2005, n. 20005 e nello stesso senso: Cass. 16 ottobre 2014, n. 21920; Cass. 26 marzo 2012, n. 4787; Cass. 30 marzo 2000, n. 3881; Cass. 9 maggio 2000, n. 5845; Cass. 5 luglio 2002, n. 9812; Cass. 5 giugno 2003, n. 8993; Cass. 21 novembre 1995, n. 12020).

Pertanto deve considerarsi ammissibile la proposizione da parte dell’Azienda di Servizi alla Persona Istituti milanesi Martinitt e Stelline e Pio Albergo Trivulzio (d’ora in poi: PAT) ricorrente della tesi giuridica relativa all’inapplicabilità nella specie del Capo 2^ del D.Lgs. n. 165 del 2001, in quanto – anche se in ipotesi effettuata per la prima volta nel giudizio di cassazione – comunque essa introduce un argomento giuridico il cui esame non comporta alcuna modifica dei termini fattuali del giudizio come accertati e valutati dalla Corte d’appello.

1.2. Quanto alle rationes decidendi – asseritamente decisive – che, ad avviso del controricorrente, non sarebbero state impugnate in questa sede dal PAT, si osserva quanto segue:

a) dalla lettura della sentenza impugnata si desume che la Corte d’appello si è limitata ad affermare che l’autorizzazione della Azienda Ospedaliera (A.0.) di (OMISSIS) poteva anche essere successiva alla stipula del contratto e non ha espressamente sostenuto che anche il PAT avrebbe potuto chiedere direttamente tale autorizzazione (vedi p. 7 della sentenza);

b) in ogni caso le suindicate affermazioni sono state fatte nell’ambito della ricostruzione della vicenda che ha portato la Corte territoriale a considerare l’incarico in discussione come non retribuito e la contestazione di tale ricostruzione rappresenta il fulcro del ricorso del PAT, il che porta a ritenere implicitamente contestata anche la statuizione sulla autorizzazione postuma, visto che dal punto di vista logico-giuridico, una simile autorizzazione successiva è incompatibile con la configurazione dell’incarico “de quo” come retribuito, sostenuta dal PAT;

c) è esatto che nella sentenza impugnata è stato ritenuto che il contratto “de quo” non avrebbe potuto considerarsi nullo per assenza di preventiva aspettativa data la mancanza di una disposizione normativa prevedente simile causa di nullità;

d) tuttavia, tale affermazione viene fatta solo incidentalmente, visto che per la Corte territoriale nella specie non sarebbe emersa la esistenza di ostacoli alla concessione dell’aspettativa – la cui mancanza è alla base della anticipata risoluzione in parola – richiesta dall’interessato con fax del 27 febbraio 2006, cioè quasi un mese prima dell’anticipata risoluzione del PAT, avvenuta il 22 marzo 2006;

e) è quindi, evidente, che anche tale affermazione – che nella ricostruzione della Corte d’appello non ha carattere decisivo – è stata comunque implicitamente contestata dal PAT, che ha offerto della vicenda una ricostruzione antitetica rispetto a quella sostenuta dalla Corte d’appello.

2. Ne deriva che tutte le suindicate eccezioni di inammissibilità sono da respingere.

2 – Sintesi dei motivi di ricorso.

3. Il ricorso è articolato in tre motivi.

1. Con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 23-bis, comma 1, e del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15-septies, comma 4, e successive modifiche.

Sulla premessa secondo cui dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 13 si desumerebbe che tutto il Capo 2^ dello stesso decreto si applicherebbe soltanto alle Amministrazioni statali, si sostiene che non sarebbe applicabile nella specie l’art. 19, comma 6 Decreto, in base al quale i dipendenti pubblici avrebbero un vero e proprio diritto ad essere collocati in aspettativa per l’assunzione di incarichi dirigenziali.

Si aggiunge che, pertanto, diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, il suddetto principio non ha valenza generalizzata, rappresentando un’eccezione rispetto alla regola generale dettata dall’art. 23-bis cit., secondo cui il collocamento in aspettativa per l’espletamento di altro incarico presso una struttura pubblica o privata può essere concesso al dirigente solo previa apposita domanda.

Infine si sostiene questa ultima regola è quella che si applica anche ai dirigenti sanitari non medici, in quanto dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15-septies, comma 2 si desume che il successivo comma 4, che prevede il collocamento automatico del dirigente in aspettativa si applica soltanto ai dirigenti medici, contrariamente a quel che si sostiene nella sentenza impugnata.

3.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, commi da 6 a 8.

Si deduce la legittimità della risoluzione anticipata del rapporto, in quanto il mancato collocamento in aspettativa del M. porterebbe a ricondurre l’incarico in oggetto tra quelli retribuiti, per la cui assunzione si richiede, a pena di nullità, l’autorizzazione dell’Ente di appartenenza.

Si contesta, quindi, la statuizione della Corte milanese secondo cui ai sensi dell’art. 53 cit., comma 6, lett. e), in linea generale, sarebbe da qualificare come non retribuito l’incarico dirigenziale al cui conferimento la legge non riconnetta l’automatico collocamento in aspettativa del dipendente.

Al riguardo si precisa che, invece, dalla suddetta disposizione e dall’art. 18 del CCNL Dirigenza non medica Comparto Sanità (Dirigenza SPTA) dell’8 giugno 2000, dovrebbe desumersi che l’incarico per il cui conferimento è previsto il collocamento in aspettativa, previa domanda dell’interessato, qualora tale domanda sia mancata e quindi non vi sia stato il collocamento in aspettativa deve considerarsi retribuito.

3.3. Con il terzo motivo si denuncia omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si sostiene la sostanziale mancanza di motivazione dell’affermazione della Corte territoriale secondo cui dalla qualificazione come aspettativa senza assegni D.Lgs. n. 502 del 1992, ex art. 15-septies (inserito dal D.Lgs. n. 299 del 1999) di tutto il periodo di assenza dal servizio compreso dall’1 marzo 2002 al 22 marzo 2006 – contenuta nella deliberazione della Azienda Ospedaliera di (OMISSIS) che ha disposto il rientro in servizio del M. dopo la prematura cessazione dell’incarico conferitogli dal PAT – si desumerebbe che il M. era stato, sia pure tardivamente, autorizzato al collocamento in aspettativa e che, quindi, non vi erano ostacoli per la relativa concessione da parte della datrice di lavoro.

Al riguardo si afferma che, nella premessa della suddetta delibera, si contempla soltanto l’aspettativa concessa per l’incarico assunto dal M. presso il (OMISSIS) e che, comunque, la suddetta qualificazione non può certamente valere a sanare la posizione del M. nei confronti del PAT che ha interrotto il rapporto prima dell’adozione della citata delibera, in base a presupposti di fatto evidenziati dalla stessa A.O. di (OMISSIS).

2 – Esame delle censure.

4. L’esame congiunto di tutti i motivi di censura – reso opportuno dalla loro intima connessione – porta al rigetto del ricorso, nei limiti di seguito esposti.

5. Come esattamente affermato dalla Corte territoriale nel presente giudizio la questione giuridica centrale da risolvere è quella di stabilire quale sia la configurazione da dare al contratto a termine stipulato per un triennio tra il M. e il PAT il 10 gennaio 2006 e di conseguenza quale ne sia il regime giuridico.

Per chiarezza espositiva è bene ricordare che:

a) M.P., dirigente amministrativo in servizio dall’1 novembre 2000 presso l’Azienda Ospedaliera (A.O.) di (OMISSIS) in data 10 gennaio 2006 recedette anticipatamente da un rapporto di lavoro con l’Azienda Ospedaliera (OMISSIS), instaurato il 4 febbraio 2003 previa concessione da parte della datrice di lavoro dell’aspettativa senza assegni D.Lgs. n. 502 del 1992, ex art. 15-septies e s.m.i., poi proseguito a decorrere dal 14 febbraio 2005, sulla base dell’originario collocamento in aspettativa, considerato dalla A.O. di (OMISSIS) efficace per tutta la durata del rapporto di lavoro con l’A.O. (OMISSIS);

b) lo stesso 10 gennaio 2006 il M. stipulò con il PAT il contratto della durata triennale “de quo”, con decorrenza dallo stesso 10 gennaio 2006, per un incarico di Dirigente non sanitario responsabile di U.O. complessa presso il PAT;

c) con riguardo a tale ultimo contratto il M. non ha preventivamente richiesto alcuna autorizzazione nè il collocamento in aspettativa e solo il 27 febbraio 2006 con un fax ha domandato il collocamento in aspettativa ma presumibilmente non con riguardo a tutta la durata del rapporto instaurato con il PAT, visto che il 6 aprile 2006 la A O di (OMISSIS) si è limitata a “confermare” l’aspettativa del M. dal primo marzo 2002 al 22 marzo 2006;

d) così il 23 marzo 2006 il PAT ha interrotto il rapporto per mancanza della preventiva autorizzazione della A.O. di (OMISSIS), sostenendo anche di non sapere che il M. era un dirigente amministrativo della A.O. di (OMISSIS);

e) il Tribunale di Milano, in primo grado, ha respinto la domanda del M. di risarcimento dei danni subiti dal PAT per il suddetto recesso anticipato, sull’assunto che fosse necessaria la preventiva autorizzazione della A.O. di (OMISSIS), che era onere del solo M. richiedere e non anche del PAT, che non era “ufficialmente” a conoscenza del rapporto di lavoro che legava il M. con la A.O. di (OMISSIS), visto che questo on risultava dal curriculum che il dirigente aveva dato al PAT;

f) la Corte d’appello di Milano ha ribaltato tale decisione dichiarando l’illegittimità dell’anticipata risoluzione del contratto in oggetto e, per l’effetto, ha condannato il PAT medesimo a corrispondere al M., a titolo risarcitorio, la complessiva somma di Euro 74.373,05 oltre accessori di legge.

6. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta sul principale assunto secondo cui il suindicato contratto rientrava tra quelli per i quali il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 23-bis prevede il collocamento in aspettativa del dirigente, collocamento che, dal CCNL Area Della Dirigenza Ruoli Sanitario, Professionale, Tecnico e Amministrativo (d’ora in poi: Dirigenza SPTA) del SSN, stipulato l’8 Giugno 2000 sarebbe configurato come un vero e proprio diritto del dirigente. A ciò la Corte d’appello ha aggiunto che l’incarico previsto nel contratto stesso rientrava tra quelli “non retribuiti” ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 6, leett. e), ed era pertanto sottratto al regime autorizzatorio di cui al successivo comma 7, sicchè il contratto “de quo” non poteva considerarsi nullo per effetto della mancata autorizzazione preventiva della A.O. di (OMISSIS) e, quindi, il PAT non avrebbe potuto risolverlo anticipatamente.

7. Tale ricostruzione non è condivisibile, pur dovendo muoversi dalla premessa secondo cui la complessiva lettura della normativa di riferimento e la relativa giurisprudenza di legittimità smentiscono la esegesi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 23-bis, comma 1, e del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15-septies, comma 4, e successive modifiche sostenuta dal PAT ricorrente nel primo motivo, comportandone l’infondatezza.

Deve anche essere preliminarmente chiarito che, ai fini degli incarichi di cui al presente giudizio, la normativa di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992 rimane sullo sfondo, visto che la contrattazione di Comparto – come confermato anche dall’art. 27 del CCNL 8 giugno 2000, Dirigenza SPTA – per effetto della specifica delega conferita dal D.Lgs. n. 502 cit., art. 15-ter, comma 1, ha col tempo calibrato criteri e procedure di conferimento degli incarichi non dissimili da quelli previsti dal D.Lgs. n. 165 del 2001.

Sempre, per la ricostruzione del quadro normativo di riferimento, va, in primo luogo, precisato che l’indubbia l’applicabilità alla presente fattispecie dei principi di cui alle disposizioni del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, commi da 7 a 13 risulta “ictu oculi” dalle seguenti circostanze:

a) il comma 6 dell’art. 53 stesso stabilisce che “i commi da 7 a 13 del presente articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, compresi quelli di cui all’art. 3, con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali. Gli incarichi retribuiti, di cui ai commi seguenti, sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso.” Quindi il comma elenca gli incarichi i cui compensi sono, eccezionalmente, esclusi dalla disciplina generale e tra questi include quelli per il cui svolgimento il dipendente è collocato in aspettativa (lett. e);

b) secondo il citato art. 1, comma 2: “Per amministrazioni pubbliche si intendono le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale”.

8. Detto questo, deve essere sottolineato che l’incarico in oggetto – in analogia con quello precedentemente conferito al M. dall’A.O. (OMISSIS) – in linea teorica dovrebbe farsi rientrare tra quelli eccezionalmente esclusi dalla normativa sugli incarichi retribuiti e, in particolare, fra gli incarichi di cui alla all’art. 53 cit., comma 6, lett. e) come confermano, in primo luogo, la Circolare del Dipartimento della Funzione pubblica richiamata dal M. (n. 10 del 16 dicembre 1998) e poi la successiva normativa primaria e secondaria in materia, che, anche se non applicabile “ratione temporis”, comunque può rilevare dal punto di vista evolutivo (vedi, in particolare: la L. 6 novembre 2012, n. 190, “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” e successive modifiche nonchè circolari esplicative).

Deve, peraltro, aggiungersi che – come correttamente si sostiene nel secondo motivo dal tenore letterale della lett. e) richiamata si evince che il procedimento per il conferimento di un simile incarico, per essere legittimo, presuppone che per il relativo svolgimento il dipendente sia stato “posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo”.

9. In altri termini, tali posizioni devono essere state già richieste dall’interessato e concesse da parte della Amministrazione datrice di lavoro prima dell’assunzione dell’incarico, in base alla normativa generale in materia di incarichi stabilita dalla legge a partite dal T.U. di cui al D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e dalla contrattazione collettiva di settore, disciplina ben nota al M. che per l’incarico svolto presso l’A.O. (OMISSIS) l’aveva applicata con grande scrupolo, come è dimostrato dal fatto che, dopo il primo biennio, il dirigente, avendo avuto il rinnovo dell’incarico, aveva correttamente presentato una richiesta alla A.O. di (OMISSIS) di proseguimento del collocamento in aspettativa e la A.O. datrice di lavoro aveva risposto che il collocamento in aspettativa già concesso era efficace per tutta “la durata del rapporto con la A.O. (OMISSIS)”.

Del resto, pure in base al CCNL della Dirigenza SPTA dell’8 giugno 2000 (art. 16) tutti i dirigenti sanitari devono rispettare un orario di lavoro e se hanno l’incarico di direzione di una struttura complessa – quale era quello che avrebbe dovuto svolgere il M. presso il PAT in base al contratto in oggetto – devono assicurare la propria presenza in servizio e organizzare il proprio tempo di lavoro, articolando in modo flessibile il relativo orario per correlarlo alle esigenze della struttura cui sono preposti ed all’espletamento dell’incarico affidato (art. 17).

Questo vuol dire che i dirigenti – al pari di tutti i dipendenti – devono essere presenti sul luogo di lavoro e porre le proprie energie a disposizione dell’ente datore di lavoro, potendo sottrarsi a tali doveri solo con uno specifico provvedimento del datore di lavoro stesso, provvedimento che, per gli incarichi esterni in argomento – retribuiti o non retribuiti – è rappresentato dalla concessione dell’aspettativa.

10. Ma vi è di più, in base all’art. 13 dello stesso CCNL:

a) l’assunzione dei dirigenti, con la quale si costituisce il rapporto di lavoro, avviene mediante la stipulazione del contratto individuale ed ha come presupposto l’espletamento delle procedure selettive o concorsuali, individuate dalla contrattazione collettiva o dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15-septies;

b) il contratto individuale è regolato da disposizioni di legge, normative comunitarie e dal dai contratti collettivi nel tempo vigenti anche per le cause di risoluzione del contratto di lavoro e per i termini di preavviso;

c) l’azienda, prima di procedere all’assunzione, mediante il contratto individuale, invita l’interessato a presentare la documentazione prescritta dalla normativa vigente, assegnandogli un termine non inferiore a trenta giorni.

d) nei contratti individuali di lavoro stipulati per i dirigenti “indipendentemente dal ruolo di appartenenza, il dirigente, sotto la sua responsabilità, deve dichiarare, fatto salvo quanto previsto in tema di aspettativa dall’art. 19, di non avere altri rapporti di impiego pubblico o privato e di non trovarsi in nessuna delle situazioni di incompatibilità richiamate dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 58 dalla L. n. 662 del 1996 e dalla L. n. 448 del 1998, art. 72” (comma 7);

e) nella stipulazione dei contratti individuali le aziende non possono inserire clausole….. in contrasto con norme di legge (comma 12).

11. La lettura di tale normativa contrattuale non solo conferma, in modo evidente, che il M. aveva l’onere di richiedere l’aspettativa preventivamente ma dimostra che anche il PAT aveva l’onere di richiedere al dirigentè tutta la “documentazione prescritta dalla normativa vigente”, accertandosi che dalla stessa risultasse, in primo luogo, che il M. avesse dichiarato sotto la propria responsabilità di non avere altri rapporti di impiego pubblico o privato in corso e di non trovarsi in alcuna delle situazioni di incompatibilità richiamate dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 58 (poi divenuto D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53 applicabile nella specie), dalla L. n. 662 del 1996 e dalla L. n. 448 del 1998, art. 72.

A tal fine era necessario che il PAT accertasse innanzi tutto che il M. era in regola con la disciplina in tema di aspettativa, dettata dalla legge (vedi, per tutti: T.U. n. 3 del 1957, D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 23-bis, comma 2) nonchè dalla contrattazione collettiva di settore (vedi, spec., art. 19 del CCNL della Dirigenza SPTA cit. e art. 10 del coevo CCNL integrativo del suddetto CCNL).

Ciò significa che il PAT aveva l’onere di appurare che il M. aveva presentato regolare e formale domanda di aspettativa e che tale domanda era stata accolta, avendo superato il relativo vaglio da parte della A.O. di (OMISSIS).

12. Se a questo si aggiunge che l’incarico che il M. avrebbe dovuto svolgere presso il PAT era quello di direzione di una struttura complessa si deve tenere conto anche della, più rigorosa, disciplina dettata per tale tipo di incarichi, in particolare dall’art. 29 del CCNL cit. secondo cui, fra l’altro:

a) gli incarichi di direzione di struttura complessa sono conferiti ai dirigenti sanitari con le procedure previste dal D.P.R. n. 484 del 1997 nel limite del numero stabilito dall’atto aziendale, ed ai dirigenti degli altri ruoli nel limite e con le modalità da definirsi nel medesimo atto;

b) il contratto individuale regola, fra l’altro, gli oggetti e gli obiettivi generali da conseguire;

c) per il raggiungimento degli obiettivi annuali sono assegnate specifiche risorse con le procedure previste dall’art. 62, comma 4, del CCNL 5 dicembre 1996;

d) le aziende formulano, in via preventiva, i criteri per il conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa ai dirigenti dei ruoli professionale, tecnico ed amministrativo, indicando i requisiti richiesti – tra i quali – quello dell’esperienza professionale ed il positivo superamento di apposite verifiche con le medesime cadenze di quelle previste per i dirigenti del ruolo sanitario;

e) l’esperienza professionale dirigenziale richiesta per gli incarichi della suddetta tipologia, conferibili a decorrere dall’entrata in vigore del CCNL de quo, non può essere inferiore a cinque anni.

13. Da ciò si desume che il PAT – anche se il M. non lo avesse dichiarato nel curriculum vitae consegnato al momento del conferimento dell’incarico – aveva comunque l’onere di accertare non soltanto, in base alla disciplina generale, che il dirigente non si trovasse in una situazione di incompatibilità e avesse ottenuto l’aspettativa ma, in applicazione della specifica disciplina del CCNL per gli incarichi di direzione di struttura complessa, che avesse un’esperienza professionale dirigenziale non inferiore a cinque anni in ambiti rilevanti ai fini dell’incarico nuovo.

14. Ne consegue che l’incarico di cui al contratto stipulato tra il M. e il PAT non poteva essere conferito, in quanto, indipendentemente dalla sua configurazione come incarico retribuito o non retribuito, in ogni caso non poteva essere contrario alla normativa in materia di aspettativa che risponde ad una basilare esigenza di ordine pubblico secondo cui, in linea generale, il pubblico dipendente non può assentarsi dall’ufficio senza una specifica autorizzazione da parte della P.A. datrice di lavoro.

Tale regola, applicata agli incarichi del tipo di cui si tratta, comporta che il dipendente è tenuto a riprendere servizio presso l’Amministrazione da cui dipende appena viene a terminare l’incarico per il quale ha ottenuto la aspettativa, non potendo non comunicare alla datrice di lavoro la cessazione di un incarico e contemporaneamente – nella specie, addirittura nello stesso giorno – dare inizio ad un nuovo incarico senza alcuna previa specifica richiesta di aspettativa.

Al contempo l’interessato se intende assumere un altro incarico esterno alla Amministrazione di appartenenza deve considerare che potrebbero esservi comunque delle cause preclusive, come può accadere, ad esempio, in caso di incarichi che presentano una situazione di conflitto d’interesse e così via.

Tali preclusioni – che si verificano per gli incarichi che interferiscono con l’attività ordinaria svolta dal dipendente pubblico in relazione al tempo, alla durata, all’impegno richiestogli, tenendo presenti gli istituti del rapporto d’impiego o di lavoro in concreto applicabili per lo svolgimento dell’attività – possono riguardare non solo incarichi retribuiti, ma anche incarichi non retribuiti.

Pertanto, il possibile verificarsi di simili evenienze determina l’obbligo per il dipendente alla luce del principio della buona fede – di comunicare, in ogni caso, anche se non è prescritta la preventiva autorizzazione, la proposta di conferimento dell’incarico onde mettersi in regola con il dovere di non assentarsi dall’ufficio e mettere l’Amministrazione di appartenenza nelle condizioni di valutare se esistono, o meno, cause preclusive allo svolgimento dell’incarico stesso.

E la relativa valutazione non è rimessa solamente al prudente apprezzamento del dipendente candidato all’incarico, ma coinvolge anche l’Amministrazione destinataria che, insieme con l’interessato, deve porre l’Amministrazione di provenienza in condizione di valutare “abitualità, professionalità e conflitto di interesse” dell’incarico nonchè la sussistenza degli altri requisiti previsti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 6.

15. In base all’art. 53, comma 2, cit. “le Pubbliche Amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative”.

Questa norma vale per ogni tipo di incarico e dimostra come anche le Amministrazioni che attribuiscono gli incarichi siano corresponsabili della legittimità del relativo conferimento pure con riguardo al rispetto della procedura da seguire, il che, del resto, è del tutto conforme agli artt. 97 e 98 Cost., sulla cui base va letta la disciplina generale in materia di incarichi dei dipendenti delle Amministrazioni pubbliche in genere e, nella specie, quella del Settore sanitario.

Di ciò, del resto, si ha conferma anche nella citata Circolare del Dipartimento della Funzione pubblica richiamata dal M. (n. 10 del 16 dicembre 1998) applicabile “ratione temporis” – cui, peraltro, ha fatto seguito una normativa sempre più stringente della materia degli incarichi esterni – da cui si desume chiaramente che la deroga all’obbligo di ottenere la preventiva autorizzazione per i casi di cui all’art. 53, comma 6, lett. da a) ad f-bis), non significa certamente che l’incarico può essere assunto “de plano” senza informarne l’ente datore di lavoro, visto che in essa si specifica che “restano comunque fermi gli obblighi derivanti dal contratto e quindi dalla necessità di giustificare l’eventuale assenza dal lavoro mediante gli usuali istituti contrattuali”.

E’ noto che le circolari non sono fonti di diritto oggettivo, però il loro immotivato mancato rispetto da parte delle Amministrazioni destinatarie può dare luogo ad una figura tipica di eccesso di potere dell’atto amministrativo (Cass. 12 gennaio 2016, n. 280; Cass. 14 dicembre 2012, n. 23042; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1577; Cass. 6 aprile 2011, n. 7889). Comunque, nella specie, la suddetta precisazione ha solo valore di chiarificazione del regime legislativo.

16. Vi è anche da dire che la responsabilità dell’Amministrazione destinataria rileva pure dal punto di vista della trasparenza e finanziario-contabile, in quanto anche gli incarichi che per “fictio juris” – secondo l’espressione della Corte milanese – sono considerati non retribuiti in ogni caso fanno lievitare i costi del servizio pubblico interessato, perchè, quanto meno, prevedono un rimborso spese e in ogni caso sguarniscono di figure dirigenziali le Amministrazioni di provenienza le quali, a loro volta, per le proprie esigenze possono essere spinte a ricorrere ad incaricati esterni, verificandosi così situazioni spesso non rispettose dei vincoli di bilancio e del patto di stabilità e di analoghi strumenti del contenimento della spesa, quando non penalmente illecite (vedi D.Lgs. 8 aprile 2013, n. 39, art. 16 che pure se non applicabile nella specie “ratione temporis” si può tenere presente come indice della evoluzione del quadro normativo).

17, Da questo punto di vista va ricordato che in base al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53 (nel testo che qui rileva):

a) entro il 30 aprile di ciascun anno, i soggetti pubblici o privati che erogano compensi a dipendenti pubblici per gli incarichi di cui al comma 6 sono tenuti a dare comunicazione all’Amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi dei compensi erogati nell’anno precedente (comma 11);

b) entro il 30 giugno di ogni anno le Amministrazioni di appartenenza sono tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica o su apposito supporto magnetico, per ciascuno dei propri dipendenti e distintamente per ogni incarico conferito o autorizzato, i compensi, relativi all’anno precedente, da esse erogati o della cui erogazione abbiano avuto comunicazione dai soggetti di cui al comma 11 (comma 13);

c) le Amministrazioni che omettono gli adempimenti di cui ai commi da 11 a 14 non possono conferire nuovi incarichi fino a quando non adempiono (comma 15);

d) il Dipartimento della Funzione pubblica, entro il 31 dicembre di ciascun anno, riferisce al Parlamento sui dati raccolti e formula proposte per il contenimento della spesa per gli incarichi e per la razionalizzazione dei criteri di attribuzione degli incarichi stessi (comma 16).

18. Inoltre, il successivo art. 60 dello stesso D.Lgs. n. 165 del 2001 detta una serie di analitiche norme per il controllo del costo del lavoro del personale delle Pubbliche Amministrazioni, prevedendo fra l’altro che, con cadenza annuale, le Amministrazioni stesse e “gli enti pubblici economici e le aziende che producono servizi di pubblica utilità nonchè gli enti e le aziende di cui all’articolo 70, comma 4”, devono dare conto di ciò che spendono annualmente per il personale comunque utilizzato, con controllo anche della Corte dei conti ove previsto.

19. Tutto questo significa che il rispetto della normativa sulla aspettativa era, a vario titolo, posto a carico di entrambe la parti contrattuali (il PAT e il M.), da una complessa normativa prevedente una serie di vincoli diretti a salvaguardare una pluralità di interessi, tra cui quello dellèAmministrazione di provenienza, ma anche quello generale alla salvaguardia dei limiti di spesa che gravano su tutti gli enti pubblici anche per consentire al nostro Stato di rispettare gli obblighi assunti al riguardo in sede UE che comportano vincoli cogenti alle politiche di bilancio le quali, inevitabilmente, si traducono in limitazioni indirette all’autonomia di spesa dei singoli enti pubblici, come da tempo afferma la Corte costituzionale (vedi, tra le tante: sentenze n. 148 del 2012; n. 88 del 2006; n. 417 del 2005; n. 36 del 2004).

A ciò consegue la qualificazione come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica – come tali, vincolanti – delle disposizioni legislative statali volte a contenere entro limiti quantitativi e temporali prefissati la “spesa complessiva per il personale regionale e locale”, che è una delle più frequenti e rilevanti cause del disavanzo pubblico (Corte cost. sentenze n. 153 del 2015; n. 169 del 2007; n. 4 del 2004). Infatti, il suindicato contenimento, pur non riguardando la generalità della spesa corrente, ha tuttavia rilevanza strategica ai fini dell’attuazione del patto di stabilità interno, e concerne non una minuta voce di spesa, bensì un rilevante aggregato della spesa di parte corrente, nel quale confluisce il complesso degli oneri relativi al personale compresi quelli per il personale “a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzione” (sentenze nn. 139 del 2012; 108 e 69 del 2011, che richiamano la sentenza n. 169 del 2007).

20. Per tutte le suddette ragioni, alla riscontrata violazione – da parte sia del dirigente sia dell’Amministrazione che ha conferito l’incarico di direzione di struttura complessa “de quo” delle disposizioni che disciplinano gli incarichi esterni in argomento consegue la nullità – con conseguente inidoneità a produrre alcun effetto tra i contraenti – dell’attività negoziale conclusiva della procedura di attribuzione dell’incarico (nella specie, il contratto stipulato tra il PAT il M. il 10 gennaio 2006) e la illegittimità dei relativi atti prodromici, in quanto, come si è detto, il CCNL cit. stabilisce che nella stipulazione dei contratti individuali le aziende non possono inserire clausole in contrasto con norme di legge (art. 13, comma 12) e, nella specie, le disposizioni violate hanno il carattere di norme imperative, secondo la costante giurisprudenza costituzionale.

A tale conclusione si perviene per il fatto che l’intera procedura – nella quale anche gli atti di gestione del rapporto di lavoro devono essere valutati secondo i parametri propri del lavoro privato, visto che sono adottati dalla P.A. con i poteri e le capacità del datore di lavoro privato (vedi, per tutte: Cass. 1 ottobre 2015 n. 19626 e Cass. 8 aprile 2010, n. 8328) – per come è stata attuata e il contratto che ne è stato l’epilogo risultano diretti ad eludere norme imperative o, quanto meno, contrari a tale tipo di norme (arg. ex Cass. SU 25 ottobre 1993, n. 10603; Cass. 4 ottobre 2010, n. 20576; Cass. 29 maggio 2003, n. 8600).

21. La nullità stessa è rilevabile anche d’ufficio nel presente giudizio di cassazione in base all’orientamento affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 12 dicembre 2014, n. 26242 (consolidatosi nella successiva giurisprudenza vedi Cass. n. 8066 del 2016 cit.) secondo cui il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale come avviene nel presente ricorso – deve rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di nullità diversa da quella allegata dall’istante, perchè la domanda di nullità risulta pur sempre unica rispetto ai diversi, possibili vizi di radicale invalidità che affliggono il negozio essendo quella domanda pertinente ad un diritto autodeterminato, sicchè è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio.

Nè va omesso di sottolineare che tale rilevabilità d’ufficio nella specie non collide con il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ma è conforme ai principi del giusto processo, anche perchè oltre a collegarsi alla anzidetta censura di nullità del contratto “de quo” proposta – anche se per altra ragione – nel presente ricorso per cassazione, comporta il rigetto della domanda che introdotto – in primo grado – il presente giudizio (arg. ex Cass. 27 aprile 2011, n. 9395; Cass. 26 giugno 2009, n. 15093; Cass. 14 gennaio 2003, n. 435).

22. Da ultimo va precisato che non è neppure condivisibile la tesi della Corte d’appello secondo cui il citato CCNL della Dirigenza SPTA dell’8 giugno 2000 avrebbe configurato l’aspettativa, senza retribuzione e senza calcolo dell’anzianità, come un diritto da riconoscere in caso al dirigente.

Infatti, il menzionato CCNL integrativo del suindicato CCNL stabilisce non solo che l’aspettativa è concessa “al dirigente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a domanda”, ma ne condiziona la concessione a precisi limiti di durata, che variano a seconda della ragione della richiesta aspettativa (art. 10, comma 8, nonchè artt. 18 e 19).

E’ anche previsto che gli incarichi esterni non possano superare le percentuali definite dalla contrattazione integrativa (art. 4, comma 2, lett. c, del CCNL 8 giugno 2000.

Ne deriva che quello ad ottenere l’aspettativa è un diritto del dipendente la cui concessione da parte dell’ente datore di lavoro non è certamente automatica in quanto deve essere conforme non solo alla contrattazione collettiva, ma a tutte le suddette norme statali imperative contenenti principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica – come tali, vincolanti – finalizzate al contenimento della “spesa complessiva per il personale regionale e locale”, che è una delle più frequenti e incisive cause di disavanzo pubblico.

23. Senza contare che, nella specie, non risulta che la datrice di lavoro A.O. di (OMISSIS) sia stata posta in condizione di sapere preventivamente della conclusione del contratto tra il M. e il PAT avvenuta nello stesso giorno del recesso anticipato del dirigente dal contratto concluso con la A.O. (OMISSIS), per il quale aveva avuto il rinnovo con regolare aspettativa.

Eppure entrambi i contraenti avevano l’onere di curare che ciò fosse avvenuto ed entrambi erano tenuti a conoscere la disciplina normativa e contrattuale che regola gli incarichi in questione.

A fronte di questa situazione – come correttamente si deduce nel terzo motivo – appare poco convincente e logica l’affermazione della Corte milanese secondo cui dalla delibera della A.O. di (OMISSIS) che – pacificamente – contempla l’aspettativa del M. per tutto il periodo di assenza dal servizio compreso dall’1 marzo 2002 al 22 marzo 2006 in vista dell’imminente rientro in servizio del M. presso la stessa A.O. si dovrebbe desumere che il M. era stato, sia pure tardivamente, autorizzato al collocamento in aspettativa e che, quindi, non vi erano ostacoli per la relativa concessione da parte della datrice di lavoro.

Va, infatti, sottolineato che l’indicazione del 22 marzo 2006 (e non della data di conclusione del rapporto tra il PAT e il M.) come termine finale del suddetto periodo di aspettativa già, di per sè, collide con la suddetta ricostruzione.

24. Ma vi è da aggiungere che – diversamente da quanto si sostiene nella sentenza impugnata – la presenza di una simile indicazione conferma che, nella specie, la A.O. di (OMISSIS), quando è stata posta in condizione di apprendere dell’anticipato recesso del M. dal rapporto con la A.O. (OMISSIS) e quindi ha potuto riscontrare la grave violazione di norme imperative derivante dall’assenza ingiustificata dal servizio del M. a decorrere dal 10 gennaio 2006 in poi, nel disporre il rientro in servizio del dirigente, ha ritenuto di estendere la aspettativa senza assegni anche al periodo nel quale aveva avuto esecuzione il contratto con il PAT.

Come rileva il PAT ricorrente, ciò, presumibilmente, è stato fatto onde sottrarre l’interessato alle sanzioni previste per la mancanza commessa, che possono arrivare fino alla risoluzione del rapporto di lavoro senza diritto ad alcuna indennità sostitutiva di preavviso (art. 10, comma 7, CCNL integrativo cit.), sicchè è da escludere che un simile “gesto di clemenza” della datrice di lavoro possa valere a sanare la posizione del M. e/o – può aggiungersi – la posizione dello stesso PAT, che non ha rispettato la disciplina che regola partitamente la condotta delle Amministrazioni destinatarie degli incarichi in oggetto.

3 – Conclusioni.

25. In sintesi, il secondo e il terzo motivo di ricorso vanno accolti e il primo motivo va respinto. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata in relazione ai motivi accolti e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda introduttiva del giudizio di primo grado.

La complessità delle questioni trattate, la conclusione alterna adottata nelle decisioni del merito e l’assenza di specifici precedenti nell’ambito della giurisprudenza di legittimità giustificano la compensazione delle spese giudiziali per l’intero processo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda. Compensa, tra le parti, le spese giudiziali dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 11 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2017

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