Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10628 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 13/05/2011, (ud. 12/04/2011, dep. 13/05/2011), n.10628

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE

FORNACI 126, presso lo studio dell’avvocato GINEFRA ANTONIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato SAPORITO Antonella, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI GAVIRATE, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA LEONE IV 99, presso lo studio dell’avvocato

FERZI Carlo, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

DAVERIO FABRIZIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2001/2007 del TRIBUNALE di MILANO, depositata

il 14/06/2007 R.G.N. 1693/07;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

12/04/2011 dal Consigliere Dott. ULPIANO MORCAVALLO;

udito l’Avvocato FERZI CARLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO

1. F.G., agente di polizia municipale del Comune di Gavirate, impugnava mediante procedura arbitrale, ai sensi degli artt. 2 e 6 del contratto collettivo del 23 gennaio 2001, tre sanzioni disciplinari, consistenti nella sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, comunicate in data 11 aprile 2006. Con il susseguente lodo arbitrale venivano confermate tutte le sanzioni irrogate dal Comune.

2. Tale decisione veniva impugnata dal dipendente dinanzi al Tribunale di Milano, che, con sentenza del 14 giugno 2007, rigettava il ricorso rilevando che, trattandosi di arbitrato irrituale soggetto alla disciplina di cui all’art. 412 ter c.p.c., il lodo non poteva essere impugnato per motivi diversi da quelli relativi alla sua validità, mentre nella specie il F. aveva riproposto le stesse ragioni sollevate nel giudizio arbitrale; in ogni caso, anche a voler configurare talune censure, come quelle relative alla mancata affissione del codice disciplinare e all’esercizio del diritto di difesa, come relative alla violazione di norme imperative, le medesime si rivelavano comunque infondate alla stregua dei principi elaborati dalla giurisprudenza.

3. Di questa decisione il dipendente domanda la cassazione deducendo due motivi di impugnazione. Il Comune di Gavirate resiste con controricorso. Motivazione semplificata.

Diritto

IN DIRITTO

1. In via preliminare il Collegio rileva la inammissibilità dei due motivi di ricorso perchè – avverso sentenza pubblicata il 11 giugno 2007, per la quale trova applicazione la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 10 del 2006 – l’illustrazione delle censure di violazione di legge e di vizio di motivazione non si conclude con le formulazioni e le indicazioni prescritte dall’art. 366 bis c.p.c.. In particolare, in calce al primo motivo viene formulato un quesito del tutto generico, limitato alla sola richiesta alla Corte di accertare che il giudice di merito abbia omesso di verificare se il lodo irrituale avesse violato norme inderogabili di legge o disposizioni dei contratti collettivi, senza specificare l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie, il secondo motivo, invece, non contiene l’indicazione specifica di cui alla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., limitandosi a dedurre l’insufficienza della motivazione (asseritamente riferita, in via esclusiva, al prevalente orientamento giurisprudenziale e alla genericità delle censure mosse al lodo arbitrale) senza alcun riferimento alla fattispecie. Nè, peraltro, tali indicazioni potrebbero essere integrate dallo argomentazioni sviluppate nei motivi (cfr. Cass., sez. un., n. 2658 del 2008; n. 27847 del 2008).

2. Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese del giudizio, secondo il criterio della soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 45,00 per esborsi e in Euro duemila per onorario, oltre a spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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